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Speciale Hotspot

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Gli “Hotspots“, secondo una scheda informativa diffusa l’8 settembre 2015 dalla Commissione Europea, sono un “metodo di gestione dei flussi migratori eccezionali per dare sostegno agli Stati membri in prima linea nell’affrontare le fortissime pressioni migratorie alle frontiere esterne dell’UE. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’Agenzia dell’UE per la gestione delle frontiere (Frontex), l’Agenzia di cooperazione di polizia dell’UE (Europol) e l’Agenzia per la cooperazione giudiziaria dell’UE (EUROJUST) lavoreranno sul terreno con le autorità dello Stato membro per aiutarlo ad adempiere agli obblighi derivanti del diritto dell’UE e a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo“.

La scheda precisa che “il metodo basato sui Hotspots contribuirà anche all’attuazione dei meccanismi temporanei di ricollocazione proposti dalla Commissione europea il 27 maggio e il 9 settembre: le persone che hanno evidente bisogno di protezione internazionale saranno individuate negli Stati membri in prima linea e trasferite verso altri Stati membri dell’UE nei quali sarà trattata la loro domanda d’asilo“.

L’Italia e la Grecia sono i primi due Stati membri in cui si sta attuando il metodo basato sui Hotspots.

In ciascuno di questi Hotspots vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1.500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali.

In questa rubrica di approfondimento vogliamo dare spazio alle gravi perplessità e forti preoccupazioni che operatori, avvocati e attivisti dei diritti umani hanno sia sulla natura giuridica di questo “nuovo” metodo sia sulle procedure adottate all’interno dei centri.

Al dicembre 2021 gli hotspots attivi sono 4: Lampedusa (AG), Pozzallo (RG), Messina e Taranto: dalle prime denunce pubbliche gli Hotspots più che a ricollocare i migranti in altri Stati membri dell’UE appaiono come dei luoghi dove si attuano dei metodi sommari e discrezionali di distinzione tra rifugiati e cosiddetti “migranti economici”: queste modalità stanno aumentando i respingimenti differiti – effettuati cioè dopo l’arrivo in Italia – di migranti appena sbarcati.

Alle persone, come reso noto dalla responsabile dello sportello informativo del Centro Astalli di Catania nei casi di Pozzallo in un’intervista a Redattore Sociale, viene notificato l’obbligo di allontanarsi dal territorio nazionale entro sette giorni, senza dargliene i mezzi e senza, come previsto dalla legge, valutarne la situazione individuale, compromettendo di fatto il diritto a chiedere asilo.


L’ASGI, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, ha richiesto al Ministero dell’Interno la cessazione di atti illegittimi negli Hotspots e di provvedere in modo generale a colmare eventuali lacune per prevenire interpretazioni o prassi non conformi alle norme vigenti, evitando una discrezionalità eccessiva, anche impartendo precise direttive o circolari o predisponendo norme regolamentari.
La stessa ASGI ricorda, inoltre, che la normativa italiana non consente in alcun modo di utilizzare la forza per vincere la resistenza passiva dei cittadini stranieri che si rifiutano di farsi identificare.


Il monitoraggio quotidiano delle associazioni siciliane, come Borderline Sicilia, sta facendo emergere la verità sul “sistema Hotspot”, un metodo di violazione e illegalità.

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