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Calais. I container della vergogna

La Parisienne Liberee, Mediapart, Francia

Presentato come “umanitario”, il nuovo campo di Calais è circondato da un recinto video-sorvegliato, controllato da un sistema a riconoscimento biometrico, senza acqua, né docce, né possibilità di cucinare. I rifugiati dicono che sembra una prigione e molti rifiutano di andarci. Hanno ragione: dietro quelle file di container riscaldati si profila una trappola securitaria.

“Questa mattina installazione di container nella giungla di Calais” © twitter / G. Destombes
“Questa mattina installazione di container nella giungla di Calais” © twitter / G. Destombes

Nel mese di gennaio, tra le dune di Calais, dire che il clima è rude è un eufemismo. Fa freddo, è umido, c’è molto vento, poche infrastrutture e seri problemi sanitari. Dopo l’annuncio dell’arrivo delle prime nevi, si sentiranno allora tutti rassicurati nel sapere che i rifugiati di Calais, che sono sul nostro suolo inospitale in attesa di un’occasione per andare in Inghilterra, dormono finalmente al caldo.
Peccato che non sia così.
Oggi, solo poche decine di persone hanno accettato di recarsi nei container. “Sto bene nella mia baracca”: ha risposto così un abitante della “Giungla” intervistato dal quotidiano Libération. Infatti i rifugiati, che temono di essere costretti a chiedere l’asilo in Francia, vedono il campo di container come uno spazio carcerario – e bisogna ammettere che chi ha elaborato il progetto ha scelto un’estetica e procedure di sicurezza perlomeno inquietanti.

Il nuovo campo di container di Calais ©AP/SIPA
Il nuovo campo di container di Calais ©AP/SIPA

1. Un recinto video-sorvegliato con controllo biometrico degli accessi

Il campo di container è circondato da un reticolato e videosorvegliato. Gli accessi sono controllati biometricamente. I responsabili politici non fanno altro che cantarne le lodi: per accedere al campo non vi sarà bisogno di dare le impronte digitali. Ma di cosa si tratta esattamente?
Il campo è finanziato con fondi pubblici; eppure non sono riuscito a trovare da nessuna parte un budget con i dettagli delle spese collegate ai 20 milioni di euro annunciati, né il riferimento ai fornitori. Tuttavia, in un articolo de La Voix du Nord compare una foto del dispositivo di accesso (clicca qui)

Il nuovo campo umanitario da 1.500 posti sarà recintato. Per entrarvi, i migranti dovranno fornire un codice di accesso che sarà loro rilasciato grazie alla tecnologia biometrica in 3D. “Il dispositivo si baserà su un sistema scelto dall’operatore di Stato, la Vie Active – riporta la prefettura del dipartimento Pas-de-Calais – il quale sarà completato da un codice di accesso. Non si tratta di dare impronte digitali. È una questione di praticità e sicurezza. Non si tratta in nessun caso di registrare o conservare i dati delle persone. È solo un sistema di riconoscimento che permette l’accesso alla struttura”. La tecnologia utilizzata è “l’analisi morfologica della mano. Il lettore ne verifica dimensioni e forma”.

Tenendo conto che l’immagine non riporta né la fonte né una didascalia, bisognerebbe verificare se corrisponde al dispositivo effettivamente scelto. Parecchie aziende francesi sono in grado di costruire questo tipo di “lettore biometrico a riconoscimento palmare”: Synchonic o Axiom, per esempio. Quello presentato da La Voix du Nord è sviluppato dall’azienda francese Zalix Biométrie, una società del Gruppo Tranchant, che nel suo sito si definisce come “precursore e riferimento indiscusso nel campo della biometria”.
Considerando le dimensioni del campo di container, si può supporre che i modelli utilizzati avranno caratteristiche simili a quelle dello ZX-HP 3000 i cui dettagli sono visibili sul sito del costruttore. È conforme alla descrizione che ne fanno i responsabili politici e associativi quando parlano del controllo degli accessi al campo di container di Calais: riconoscimento morfologico della mano associato a un codice individuale. In un video promozionale del 2011 si può vedere il fondatore di Zalix Biométrie dare prova dei suoi prodotti. Circa al minuto 1’20 menziona rapidamente questo sistema di “biometria senza traccia” – che usa il riconoscimento della morfologia della mano e il codice individuale – e ne mostra il funzionamento.

I responsabili politici fanno ricadere la responsabilità della scelta delle modalità di accesso sull’associazione La Vie Active, che gestisce l’allestimento del campo. L’unico argomento usato a favore di questo sistema d’accesso è che sarebbe “pratico”.
In ogni caso, l’accesso al campo di container è quanto di più biometrico ci sia e i rifugiati – che se vogliono avere una possibilità di raggiungere l’Inghilterra devono sottrarsi all’identificazione sul suolo francese – hanno legittime ragioni a preoccuparsi nel vedere la propria mano diventare “una chiave biometrica (stringa di 300 caratteri), risultato del trattamento delle misure in un algoritmo specializzato e associato al codice della persona”.

2. Il costruttore è un ex ufficiale dell’intelligence militare

L’azienda scelta per fabbricare i container si chiama Logistic Solutions. Si trova a Grand Fougeray, tra Rennes e Nantes. Per quanto annunci una “vastissima gamma” di soluzioni logistiche per container e diverse formule di Life Camp, presenta comunque qualche particolarità.
Secondo il Journal de Vitré, nell’autunno del 2014 ha firmato, per 30 milioni di Euro, “il contratto più importante della sua storia”, associandosi con Sodexo Défense, per costruire un “campo base” sull’atollo di Mururoa. Nel giugno del 2015, il blog Lignes de défense menziona l’inaugurazione di questo “campo base del cantiere Telsite2”, un cantiere militare legato agli esperimenti nucleari francesi in Polinesia. Dovrebbe monitorare le faglie dell’atollo “mentre a Parigi marciscono i dossier sugli indennizzi delle vittime di malattie indotte dalle radiazioni e all’Assemblea della Polinesia francese è fermo un testo che vuole porre fine alle esenzioni dell’esercito dai diritti di dogana”, come sottolineato nel maggio 2015 da una breve de la Dépêche de Tahiti.
Insomma, come sarà ormai chiaro, qualche mese prima di diventare costruttore del campo “umanitario” per i rifugiati di Calais, Logistic Solutions onorava un grosso contratto militare. I container consegnati erano di certo più lussuosi.

zona di ristorazione con vista sul mare © Logistic Solutions
zona di ristorazione con vista sul mare © Logistic Solutions

Non c’è molto da stupirsi dato che Norbert Janvier, il padrone della Logistic Solutions, ha lavorato fino al 2006 alla Direction du renseignement militaire (DRM – Direzione dell’intelligence militare), secondo quanto riportato da Ouest France. Vi lascio apprezzare il suo percorso per come appare su Viadeo: vice-addetto alla difesa ad Ankara, agente di contatto specialista del Medio-Oriente per il ministero della Difesa, addetto alla difesa a Teheran, in missione all’ambasciata di Francia a Washington, infine direttore della srl Logistic Solutions.
Così il campo “umanitario” senza acqua, docce o cucina, sarà chiuso da un recinto video-sorvegliato, con accessi a controllo biometrico, e costruito da una società il cui padrone è un ex direttore dell’intelligence militare. Ma come? Veramente non volete andare in quei container?

Il campo di container, l’8 gennaio 2016 © Logistic Solutions
Il campo di container, l’8 gennaio 2016 © Logistic Solutions

3. Si, c’è l’elettricità

Nei container c’è l’elettricità, ed è più o meno tutto quello che hanno. Il fatto che il campo si trovi a pochi chilometri dalla centrale nucleare di Gravelines e dai suoi 6 reattori, è il minore dei mali.

La “giungla” di Calais, la centrale nucleare di Gravelines, il campo della vergogna di Grande-Synthe © nessun copyright
La “giungla” di Calais, la centrale nucleare di Gravelines, il campo della vergogna di Grande-Synthe © nessun copyright

4. Un metro quadrato per abitante

Dodici persone in 14 metri quadrati, fa 1,16 m2 per abitante. Moltiplicato per 125 container, significa che il campo avrà un’altissima densità. In altre parole, i rifugiati dormiranno ammassati l’uno sull’altro.
In un editoriale molto critico intitolato “A Calais, un campo degli anni ‘30” pubblicato da Libération nell’ottobre del 2015, un architetto scriveva:
“Abbiamo preso visione della pianta del campo la cui costruzione le [all’Associazione La Vie Active, n.d.t.] è stata affidata dallo Stato e che sarà allestito nei prossimi giorni. La pianta è perfino peggio di quanto si possa immaginare. Un campo chiuso di 74 container in fila, allineati secondo un orientamento che sfida il buon senso, dato che sono in una cattiva posizione sia per il sole che per il vento: gli abitanti non vedranno il sole in inverno e le “strade”, che misurano meno di 3 metri di larghezza, sono allineate in direzione dei venti dominanti, ovvero lungo l’asse sud-ovest. Non c’è nessun allacciamento all’acqua. (…) Nella stessa Calais, sono state costruite più di 500 baracche [in autocostruzione], per la maggior parte ben costruite, impermeabili e isolate e soprattutto adeguate agli abitanti. Su basi modulari, è possibile trovare delle disposizioni che sono nettamente più favorevoli alla qualità della vita. Gli architetti ci lavorano da decenni.
Manuel Valls ha inaugurato la settimana scorsa il memoriale del campo di Rivesaltes, costruito nel 1941 per accogliere i rifugiati spagnoli, ebrei, zingari e harki [soldati ausiliari nordafricani, n.d.t.]. Mentre se ne denuncia la forma concentrazionaria, a Calais ci si prepara a costruirne uno la cui configurazione architettonica sarà anche peggiore.”

Illustrazione realizzata da Cyrille Hanappe a partire dalla pianta progettata dal governo
Illustrazione realizzata da Cyrille Hanappe a partire dalla pianta progettata dal governo

Mi sono detto:
Dei container, per metterli su una barca?
Dei container di 14 m2 per 12 persone, come se i rifugiati fossero delle merci?
Dei container, come quelli nei quali gli stessi rifugiati muoiono schiacciati cercando di intraprendere una rotta marittima?
Dei container allineati, circondati da un reticolato, dove 1.500 persone stanno affiancate con poco più di un metro quadrato di spazio calpestabile. Basterebbe aggiungere del filo spinato sopra le reti, chiudere l’entrata e il sistema di accesso già presente… In 2 ore, ci sarebbe un campo di Rivesaltes a Calais.
Mi sono anche detto:
Non siamo ancora a questo punto. Oppure sì?

5. Rinchiudere, smistare, trasferire fino a dove?

Al di là dell’obiettivo ostentato e lodevole di collocare 1.500 persone “prioritarie” all’asciutto e al caldo, la costruzione di questo campo obbedisce a logiche politiche manifestatamente repressive.

Sarebbe troppo lungo raccontare in questa sede tutta la storia della “Giungla” che è menzionata regolarmente nelle pagine di Mediapart (si veda in particolare “Calais, giorno dopo giorno”). Ricordiamo semplicemente che gli abitanti di questa zona sono soggetti da diversi mesi a un doppio movimento che consiste simultaneamente nel:

– Rinchiudere i rifugiati, ossia collocarli in centri di permanenza lontano da Calais. Si legga in proposito l’articolo di Carine Fouteau: “Lo Stato francese rinchiude centinaia di migranti in transito a Calais”.

– Smistarli, ovvero inviare i rifugiati un po’ ovunque in Francia nei centri di accoglienza per soggiorni di breve durata, situati lontano da tutto, riducendo così a zero le loro speranze di raggiungere l’Inghilterra. Si legga in proposito l’articolo: “Come lo Stato allontana i migranti dalla “giungla”.

Il campo di container s’inserisce in pieno in questa strategia. Per costruirlo, è stato necessario distruggere le baracche e le tende di circa 500 persone allestite su una vasta superficie al centro della “Giungla”. Le persone che vi abitavano sono state collocate in tende provvisorie e classificate come “prioritarie” nell’accesso ai container. Ma lo Stato non intende fermarsi qua. Da qualche giorno, la polizia minaccia di mandare i bulldozer in una zona dove si trovano più di 1.000 persone. Se leggete l’inglese, vi raccomando caldamente questo articolo di The Guardian che menziona gli ultimatum della polizia e dà un’idea abbastanza precisa di quello che succede in questi giorni attorno ai container: Calais ‘Jungle’ residents defy bulldozers as police issue ultimatum to leave. (foto “Planned evictions area” © Calais Migrant Solidarity

L’obiettivo finale è proprio radere al suolo la “Giungla” e far restare solo i container. Non era così scontato all’inizio, ma il messaggio è sempre più esplicito. Infatti, la settimana scorsa, si poteva leggere nella Voix du Nord un articolo che a chiare parole titolava: “Calais : en 2016 après l’ouverture du camp humanitaire, la préfecture ne tolérera pas plus de 2 000 migrants”.

Tuttavia, leggendo l’articolo, si può vedere come il Prefetto Fabienne Buccio si dimostri più prudente: “Il nostro obiettivo ideale, e la strada è ancora lunga, è che Calais non superi i 2.000 posti”. Considerando che, malgrado le sottostime della Prefettura, nella zona vivono attualmente circa 6.000 persone, ci chiediamo, insieme a Calais Migrant Solidarity: «What about everybody else?».

Linea di demarcazione dipinta a spray dalla polizia © Calais Migrant Solidarity
Linea di demarcazione dipinta a spray dalla polizia © Calais Migrant Solidarity

6. “L’umanità non è possibile”

Un altro obiettivo, a brevissimo termine, della creazione del campo di container è tenere a distanza i movimenti di solidarietà che, parallelamente e in modo complementare al lavoro istituzionale dell’associazione La Vie Active, danno sostegno quotidiano ai rifugiati aiutandoli a mettere in pratica l’autocostruzione, allestendo scuole, luoghi di discussione, di preghiera, negozi, organizzando assemblee, incontri musicali, mostre fotografiche, ecc. Finché ci saranno collettivi come Calais Migrant Solidarity sul posto a testimoniare ogni giorno la situazione della “Giungla”, sarà difficile reprimere apertamente i rifugiati e fare una fredda distinzione tra i “buoni rifugiati” (che hanno la propensione a fare domanda di asilo in Francia per vedersela, il più delle volte, rifiutare e poi essere rispediti al paese di partenza) e i “cattivi migranti” (che si pensa vogliano beneficiare di vantaggi economici indebiti e con la propensione a essere rispediti direttamente al paese di partenza).

Oggi, nel Club di Mediapart, possiamo leggere la testimonianza di Florence P.:

Lunedì 11 gennaio, il campo appena installato di container dello Stato si è meritato un’importante copertura mediatica. Eppure i candidati non sembrano precipitarsi in questi ammassi di baracche di lamiera, allineate militarmente, con minuscole finestre, spazi esigui, senza comfort, docce o lavabi e con i letti a castello, come in prigione… Il campo statale è circondato da reticolati e agenti cinofili. Di notte si può entrare su presentazione del palmo della mano.
Il venerdì precedente, i rifugiati avevano saputo dalle associazioni, a loro volta informate dal Prefetto, che occorreva liberare uno spazio di 100 metri intorno alla “giungla” ed era necessario rimuovere i ripari, le baracche e le tende lì presenti. Il provvedimento riguarda almeno un migliaio di persone. Nessuna ordinanza di espulsione ha preceduto questa distruzione illegale… Una volta che hanno perso tutto, dove andranno?
”.

La lotta alle associazioni è iniziata molti mesi fa, con lo sgombero violento di molti squat nati dentro la città di Calais. Gli sgomberi, se da un lato hanno portato soddisfazione a un certo numero di abitanti di Calais in collera, hanno però contribuito ad aggravare la situazione nella “Giungla”, isolando ancor di più i rifugiati e aumentando il numero delle persone in condizioni di precarietà lì assembrate.

Ora che la Francia è stata dichiarata in stato di emergenza, le lingue si sciolgono e i progetti politici repressivi si fanno più minacciosi. Secondo Nord Littoral, il sindaco di Calais Natacha Bouchart (LR) lo scorso 18 dicembre avrebbe dichiarato: “Bisogna cacciare i parassiti dal paese”. Quali parassiti, esattamente? L’articolo non lo dice esplicitamente. L’eletta punta il dito sulle responsabilità dei trafficanti di uomini, degli attivisti e dei No border: “Sono una fautrice dell’umanità e della fermezza. Ma con queste persone, l’umanità non è possibile. I trafficanti di uomini, gli attivisti, i No Border servono la causa dei migranti.”

L’umanità non è dunque possibile. Siamo a questo punto.

7. Venti milioni di euro e ancora senza acqua

Ritorno su questo punto perché mi sembra importante e significativo: il budget annunciato per il cantiere del campo, comprensivo della costruzione e delle spese di funzionamento, è di circa 20 milioni. Ciò equivale a 160.000 Euro di prezzo di costo per container, ovvero, per spingere la logica contabile fino in fondo, a un investimento di più di 13.000 Euro per rifugiato. Con questo denaro, non si sarebbe potuta trovare una soluzione diversa da questo campo di ammasso merci?

Sapendo che un container nuovo costa circa 4.000 Euro e che quelli usati nel campo sono vecchi container riciclati, che varranno approssimativamente 2.000 Euro al prezzo di acquisto, c’è da chiedersi se i soldi pubblici sono veramente ben utilizzati in questo progetto. Certo, si apre qualche possibilità di lavoro sul posto, ma com’è possibile che dentro a un budget tale non sia contemplato l’allaccio dei container a una rete idrica o la possibilità di prepararsi un thè e di cucinare? Dopo tutto, Logistique Solutions nel suo sito propone anche sistemi di approvvigionamento dell’acqua.

Saranno forse troppo cari perché un campo umanitario ne possa beneficiare?

Sistema di approvigionamento dell’acqua © Logistic Solutions
Sistema di approvigionamento dell’acqua © Logistic Solutions

In ogni caso, l’azienda è “pronta a cogliere la sfida” di allargare il campo se necessario. Lo riferisce in un post del suo blog del 6 gennaio 2016 intitolato “Il campo procede con i nostri container”: il campo “accoglierà 1.500 persone. Ne resteranno quindi circa 5.000 intorno. Fuori dal campo. Siamo pronti a cogliere nuove sfide in tempi record. Una specialità Logistic Solutions»

8. Mancavano solo i carri armati

Il sindaco di Calais reclama con insistenza il sostegno dell’esercito da mesi, preferibilmente quando i media accorrono numerosi a tenderle un microfono. Ebbene, è fatta, i carri armati sono lì. Tre “veicoli blindati a ruote della Gendarmeria” sono infatti presenti a Calais. Ufficialmente… per “assicurare la sicurezza delle forze dell’ordine”, ci dicono.

Blindati della gendarmeria © NC
Blindati della gendarmeria © NC

È vero che le “forze dell’ordine” che non danno tregua al campo, sono certamente minacciate in modo considerevole da rifugiati a cui viene distribuito un pasto al giorno. Per fortuna possono contare, in caso di bisogno, sull’aiuto di qualche irrequieto di estrema destra.

9. Noi, popoli uniti della giungla di Calais

Un campo chiuso da un recinto, videosorvegliato, con accesso a controllo biometrico, costruito da una società il cui proprietario è un ex militare della direzione dell’intelligence militare, senza acqua, docce, né cucina, assediato dalla polizia e da gruppetti di estrema destra, spalleggiati da tre carri armati.

Ecco, in sostanza, perché i rifugiati non hanno fretta di trasferirsi nel cosiddetto campo umanitario, nonostante muoiano di freddo, per malattie, incidenti legati ai tentativi di passaggio e di collera contro la politica inospitale della Francia.

Hanno pubblicato questa settimana un testo che dice:
Noi, popolo unito della Giungla di Calais, rifiutiamo le richieste del governo francese riguardanti la riduzione della superficie della Giungla. Abbiamo deciso di restare dove siamo e resisteremo pacificamente ai piani del Governo diretti a distruggere le nostre abitazioni. Lanciamo un appello affinché le autorità francesi e la comunità internazionale comprendano la nostra situazione e rispettino i nostri Diritti Umani Fondamentali”.

Di fronte a questa situazione d’emergenza, alcune manifestazioni di solidarietà avranno luogo il 16, il 23 e il 30 gennaio. Per i residenti nell’Île de France che desiderino andarci, sono previste delle partenze in bus il 23 gennaio.

10. Epilogo: container

Recipiente di forma, capacità e materia variabili, destinato a contenere merci sfuse o in lotti (fonte).
A.- Trasporti, impiego usuale. Cassa di grande capacità e di dimensioni standard, destinata a facilitare le operazioni di manutenzione, evitando soprattutto le rotture del carico da una modalità di trasporto a un’altra.
B.- Aeronautica militare. Fusto metallico cilindrico, destinato a essere paracadutato.
C.- Fisica nucleare. Recipiente in piombo, destinato a ospitare materie radioattive.

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