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Protezione sussidiaria ai cittadini nigeriani: esiste una violenza indiscriminata e diffusa che coinvolge l’intero Paese

Corte d'Appello di Trieste, sentenza n. 7 del 11 gennaio 2016

Pubblichiamo una recentissima sentenza della Corte d’Appello di Trieste che, oltre a fornire un quadro attuale della situazione socio politica in Nigeria, per cui non può che essere riconosciuta la protezione sussidiaria ai cittadini nigeriani che richiedano la protezione internazionale, ribadisce in maniera chiara il regime probatorio gravante sul richiedente protezione sussidiaria e conferma l’utilizzabilità dei rapporti internazionali redatti dalle maggiori organizzazioni operanti sui territori, perché fonti attendibili.

Più precisamente:
…va rilevato in Nigeria – che pacificamente costituisce lo stato d’origine della ricorrente – effettivamente sussiste come dedotto dall’appellante, una violenza indiscriminata e diffusa che coinvolge l’intero territorio dal Nord al Sud del Paese, teatro di plurimi conflitti interni non controllati dalle forze di polizia e, anzi, coinvolgenti gli stessi apparati statali“,
inoltre, “una verifica della situazione allo stato attuale (2014-2015) attraverso il rapporto Amnesty International e al rapporto 2015 relativo a Boko Haram ha permesso al Collegio di accertare che la situazione di conflitto non solo non è cessata ma, al contrario, si è sviluppata con modalità particolarmente violente – minacciando “la stabilità della più popolosa nazione africana oltre che la pace e la sicurezza dell’intera regione“, nel mentre tortura e maltrattamenti sono abitualmente praticati anche dai servizi di sicurezza nell’intero paese, ove si assiste a gravi e ripetute violazioni dei diritti umani. In definitiva… emerge un allarmante e desolante quadro per la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, in quanto il pericolo per qualsiasi cittadino nigeriano di essere vittima di attentati rischia di diventare una condizione costante della sua vita quotidiana“.

Dal punto di vista processuale il Collegio specifica che:
quanto al regime probatorio, si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli appellati, quando il grado di violenza indiscriminata è così elevato da ritenere che, se una persona rientrasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire tale minaccia, il rischio che corre il singolo non deve essere provato… restano con ciò assorbiti e superati i rilievi sollevati dagli appellati sulla credibilità delle allegazioni svolte dalla ricorrente in ordine all’esistenza di un rischio legato a singoli ragioni personali. In presenza della minaccia derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, si prescinde infatti dalla posizione personale del richiedente, posto che diversamente da quanto previsto per lo status di rifugiato, il principio della personalizzazione della minaccia o del danno non si applica alla protezione sussidiaria“;

e sulle prove prodotte:
la giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen. 32685/2010) e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU 28.2.2008 ric. n. 37201 Saadi c. Italia) hanno attribuito pieno valore probatorio ai documenti e rapporti elaborati anche da organizzazioni non governative, quali Amnesty International e Human Rights Watch, la cui affidabilità è generalmente riconosciuta sul piano internazionale“.

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Corte d’Appello di Trieste, Sentenza n. 7 del 11 gennaio 2016