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I rifugiati siriani nelle filiere di abbigliamento in Turchia

Un’analisi della condotta delle compagnie per affrontare il grave problema dello sfruttamento

Accedere alla fonte di 28 filiere della Turchia rivela che solo poche compagnie leader – incluse NEXT, White Stuff e C&A – stanno affrontando la difficile situazione dei rifugiati siriani nelle loro filiere, mentre per le altre, essi sono lontani dalla vista e dalla mente.

Rapporti preoccupanti denunciano le condizioni di alcuni rifugiati siriani assunti senza contratto, costretti a salari pietosi, lavoro minorile e abusi sessuali. C’è un rischio reale che questi abusi possano verificarsi nelle fabbriche tessili in Turchia, le quali riforniscono i principali canali commerciali europei. È stimato che dai 250.000 ai 400.000 rifugiati siriani lavorino illegalmente in Turchia e siano quindi probabilmente sottoposti a soprusi.

Tuttavia, l’inedita collaborazione tra i marchi in questione ha condotto il governo turco ad annunciare, verso la metà di gennaio 2016, che saranno rilasciati permessi di lavoro ai rifugiati siriani – la mancanza di questi ultimi è infatti un fattore determinante della vulnerabilità. Questo è un passo positivo nel quale i marchi hanno giocato un ruolo importante, il quale tuttavia non arriva senza restrizioni. Molti lavoratori rifugiati rischiano di rimanere nell’illegalità, lavorando nel mercato della forza-lavoro informale turco attualmente in forte espansione.

Alla luce di tali rischi, pochi marchi stanno prendendo misure decisive per proteggere i rifugiati nelle loro filiere – per esempio NEXT e H&M dovrebbero essere elogiati per il loro lavoro nell’evitare lo sfruttamento minorile – altri sembrano essere meno disposti ad agire.
Quattordici dei 28 marchi che il Resource Centre ha contattato non hanno ancora risposto, o hanno inviato brevi comunicazioni. Altri hanno assicurato politiche a tolleranza zero sull’occupazione dei lavoratori privi di documenti, come evidenza del fatto che non esistono nelle loro filiere.

Plauso al migliore: il piano di azione per i rifugiati siriani di NEXT.
Solo un marchio ha delineato un piano di azione specifico su questa problematica. Questo piano fornisce chiare procedure su cosa fare o non fare nel caso vengano identificati dei rifugiati siriani. Chiarisce che le fabbriche non dovrebbero espellere eventuali lavoratori siriani, che essi non devono essere soggetti a minacce e che non dovrebbero essere ostacolati nell’accesso alla sanità.

Risultati chiave dalla ricerca iniziale:
Mancanza di una politica specifica: Solo tre marchi hanno condiviso una specifica politica di comunicazione ai fornitori per quanto riguarda il trattamento dei rifugiati che proibisca discriminazioni e fornisca loro un supporto.
Occhio non vede, cuore non duole – il processo di controllo non adatto allo scopo: I marchi stanno conducendo, in generale, ispezioni più o meno annunciate sui loro fornitori di primo livello, con controlli meno minuziosi alla base della filiera. Solo quattro marchi hanno ammesso di aver individuato rifugiati siriani nelle loro fabbriche, sei marchi hanno affermato di non averne individuati, e la maggior parte ancora non hanno risposto a questa domanda specifica.
Mancanza di coinvolgimento dei partner della società civile locale: solo tre marchi riportano di avere un programma di coinvolgimento degli attori della società civile locali come ONG focalizzate sui rifugiati, le quali hanno una conoscenza approfondita dei bisogni di questa categoria vulnerabile per prevenire e rimediare agli abusi.
Coinvolgimento del governo: è un risultato importante, che i marchi abbiano con successo esercitato pressioni sul governo turco, sia direttamente che attraverso il FLA e ETI, per il rilascio di permessi di lavoro ai rifugiati siriani.