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Rotta balcanica: tappa ad Udine per incontrare l’Associazione Ospiti in arrivo

Report, foto e video di Eleonora Camba, Chiara Briani, Giorgia Liziero, Francesco Sartori, Enrica Magoni di Liberalaparola Padova

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Udine, febbraio 2016

Siamo partiti la mattina del 10 febbraio dalla scuola di italiano Liberalaparola del C.s.o. Pedro (PD) con direzione Udine, carichi degli aiuti umanitari raccolti durante l’inverno per la staffetta #overthefortress, e di tante domande sulla situazione migratoria che interessa la rotta balcanica.

Giunti alla meta ci attendeva Angela, dell’Associazione Ospiti in Arrivo, una realtà locale costituita dai numerosi volontari che, di fronte al vuoto delle istituzioni, si sono mobilitati per offrire un servizio di primissima accoglienza e hanno dato vita a una scuola di italiano autogestita.
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Ci si è profilato uno scenario che purtroppo accomuna tutta la penisola: una vastissima zona grigia si staglia tra l’arrivo dei migranti e l’inserimento nei progetti di accoglienza ufficiali. Tale situazione viene a crearsi a causa della non presenza delle istituzioni e, come spesso accade anche in altre città, sono i privati cittadini “accoglienti” a sopperirvi con le loro iniziative.

Le persone che attraversano la rotta balcanica, in maggioranza provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria e Bangladesh, giungono a Tarvisio, dove i primi rappresentanti delle istituzioni dovrebbero “intercettarli” per dare indicazioni e fissare loro un appuntamento con la questura di Udine (che dovranno raggiungere autonomamente). Il condizionale in questo caso è d’obbligo, perché non sempre quanto sopra descritto effettivamente avviene; spesso, infatti, i migranti giungono a Udine senza appuntamento e vengono rimandati a Tarvisio, dove incontrano molte difficoltà perché arrivano da Udine invece che dall’estero. Oltre al danno la beffa, dato che molti per ottenere il colloquio sono costretti a tornare in Austria e compiere nuovamente la traversata del “confine”.
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Giunti a Udine trovano ad accoglierli in stazione solamente i volontari di Ospiti in Arrivo, con un tè caldo e un bagaglio di prime informazioni utili. Una volta fatto il colloquio con la Questura (priva di mediatori culturali e non sempre adeguatamente attrezzata) i nuovi arrivati si trovano davanti all’ignoto: se sono “fortunati” vengono inseriti nella tendopoli allestita nell’ex-caserma Cavarzerani o trovano posto nel centro Caritas aperto da poco per far fronte all’emergenza; altrimenti sono costretti a pernottare all’addiaccio, d’estate nei parchi e d’inverno nel sottopassaggio della stazione.

Precarietà è la parola d’ordine di entrambe le opzioni: senza un tetto non vi è la possibilità di farsi recapitare documenti o eventuali comunicazioni, si è sottoposti alle intemperie, ai pericoli della strada, mentre nella tendopoli bisogna fare i conti con il sovraffollamento (a dicembre vi era un esubero di 350 posti rispetto alla capienza prevista), con i servizi igienici insufficienti e i lunghi periodi di attesa che possono arrivare fino a parecchi mesi. Tutto ciò infierisce ulteriormente sulla situazione psicologica ed emotiva di chi è partito da migliaia di chilometri di distanza per compiere un “viaggio della speranza”.

Quanto detto riguarda solo la primissima accoglienza. E poi? Cosa accade durante l’attesa della risposta della Commissione?
La ruota gira e il caso decide se la persona verrà inserita nel sistema SPRAR, in reti di cooperative dell’accoglienza oneste o meno, nel sistema AURA (UD) o presso un’altra tendopoli.

Le poche cose certe sono i trasferimenti ministeriali obbligatori senza preavviso e spesso senza sapere la destinazione, l’espulsione in caso di diniego e il costante rischio di esclusione dai percorsi di accoglienza anche per futili motivi.