Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La Pasqua dei profughi di guerra ed il progetto #Overthefortress

Riccardo Bottazzo, YUOung, 28 marzo 2016

Te lo trovi davanti all’improvviso, il campo profughi di Idomeni, che ti pare di cascare dentro un oceano di tende.

La strada che da Salonicco porta al confine con la Macedonia scorre facile in mezzo a verdi vallate, leggermente ondulate, con la sagoma ancora innevata del monte Olimpo a chiudere l’orizzonte. A metterti sull’avviso che non stai andando verso un confine qualunque ma verso un confine di guerra – come stanno diventando oramai tutti i confini – sono i campi profughi che sorgono attorno al villaggio di Idomeni, dove si trova ancora in grosso dei rifugiati in fuga da guerre e povertà. Ce ne sono tre, sino ad ora, ognuno gestito da una diversa onlus, con un numero di migranti che va dai 1.500 ai 3.000 ciascuno. Impossibile avere numeri certi per la grande fluidità della situazione. Gli accordi che l’Europa ha siglato col Governo Turco, hanno aggiunto altra disperazione a gente già disperata. I richiedenti asilo – circa 45 mila – che avevano raggiunto la Grecia credendo, sperando di essere oramai arrivati in Europa, hanno scoperto improvvisamente che il confine è chiuso e che non si aprirà più. Il loro futuro sarà il rimpatrio forzato, gestito per di più da un governo che, per dirla eufemisticamente, non ha mai dimostrato sensibilità nei confronti dei diritti umani. E proprio al Governo di questo Erdogan, lautamente stipendiato dall’Ue, spetterà il compito di fare il “lavoro sporco”, selezionando a sua totale discrezione i rifugiati “buoni” da far accogliere dall’Europa, da quelli “cattivi” da rispedire in patria.

#overthefortress: un progetto in aiuto dei profughi di guerra

Quello che le attiviste e gli attivisti della carovana # Overthefortress trovano nel grande campo di Idomeni, sono 14mila persone, in maggioranza donne e bambini, che ancora stentano a credere che la civile Europa, l’Europa dei diritti, l’Europa dove non ci sono guerre, abbia cinicamente deciso di rispedirli tutti al “via”.

All’appello di #Overthefortess, lanciato dal Progetto Melting Pot Europa, di raggiungere Idomeni col duplice intento di portare aiuti e di denunciare una politica criminale che trasforma i richiedenti asilo in carne da macello, hanno aderito quasi trecento attivisti italiani. Ragazze e ragazzi dei centri sociali del nord est e di tante altre regioni italiane, donne e uomini di tante associazioni per i diritti umani ed anche una rappresentanza del Giovani Verdi Europei, venuti a portare il loro sostegno ad una iniziativa volta a denunciare la costruzione di una Fortezza Europa che nega i diritti fondamentali, non solo a chi è fuori ma anche a chi è dentro ed è povero, dei suoi confini

Circa 190 persone hanno risposto a questo appello, e si sono imbarcate dal porto di Ancona venerdì 25, per poi raggiungere Idomeni in autobus e con cinque furgoni al seguito carichi di materiale come medicinali, vestiti, giocattoli per i bambini e, naturalmente, scarpe, indispensabili a chi ha camminato tanto e tanto dovrò ancora camminare.

Altri, hanno raggiunto il confine lungo la rotta balcanica.

Perché abbiamo deciso di trascorrere la pasqua in un campo profughi invece di andare in vacanza in qualche bel posto di villeggiatura o rimanere nelle nostre case? – mi spiega una ragazza di 20 anni o poco più -. Se davvero mi fai questa domanda vuol dire che non puoi capire la risposta!

Ci sono cose che non hanno bisogno di un perché ma che vanno semplicemente fatte. A qualunque costo. Il primo giorno, gli attivisti italiani trovano il campo aperto. E per i profughi è una festa. Le medicine sono importanti. I vestiti anche – qui la notte fa ancora tanto freddo e le tende sono piene di bambini – e non parliamo delle scarpe. Ma la cosa più importante è parlare. famiglie intere di afgani, yazidi, iracheni, pakistani, siriani, curdi… ciascuna ha la sua storia da raccontare che va ascoltata.

Il giorno dopo, all’arrivo per la seconda giornata di distribuzione di materiali, gli attivisti di #Overthefortress trovano ad attenderli un cordone di polizia in assetto da guerra davanti a due blindati. Le ragazze che guidano la carovana cercano il dialogo ma i militari rispondono loro che stanno eseguendo gli ordini. Ordini che dicono semplicemente “Vietato aiutare i profughi“.

E’ una risposta inconcepibile oltre che inaccetabile – denuncia Marta Canino del Laboratorio Morion di Venezia – Oramai in Europa è diventato illegale fare la cosa giusta! Chi si batte per i diritti e per aiutare chi sta male rischia la denuncia. ‘Vietato aiutare i profughi’ ci hanno detto. Proprio come per i nazisti era vietato aiutare i rom e gli ebrei. Ma noi continueremo ugualmente in quello che è giusto, ad ogni costo e senza paura. La nostra Europa non ha confini“.

Per cinque ore, le ragazze e i ragazzi di #Overthefortress e lo schieramento di polizia si fronteggiano senza che nessuno arretri. Le attiviste aprono i pacchi e, per far vedere che la loro sola intenzione è distribuire gli aiuti, sistemano lunghe file di scarpa davanti agli scudi. Comincia anche a piovere di brutto e tira freddo. Si gela, ma nessuno si muove. “Abbiamo portato cinque camion carichi di aiuti sino a qua e non torneremo in Italia con quello che tantissima gente ci ha regalato proprio perché la portassimo ai profughi”.

Sono le due e un quarto del pomeriggio, quando sono i poliziotti a cedere. In fretta, salgono sui blindati e sgomberano la strada.

L’arrivo della carovana di #Overthefortress al campo, è un trionfo. La distribuzione comincia immediatamente. Le ragazze ed i ragazzi tentano di recuperare il tempo perso ma si finisce ugualmente a sera inoltrata. La carovana esce dal campo con i camion vuoti, mentre davanti alle loro piccole tende i profughi cominciano ad accedere i primi fuochi per scacciare il freddo che, quando tramonta il sole, ancora morde.

Nei pullman, quasi tutti cadono addormentati. Prima di abbandonarmi anche io al sonno, penso a quella risposta che se fai la domanda sbagliata non potrai mai capire.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.