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L’ondata razzista contro i rifugiati è la vera crisi in Europa

Apostolis Fotiadis, The Guardian, 25 febbraio 2016

Photograph: Petros Giannakouris/AP

La disumana coalizione europea che cerca di intrappolare i rifugiati in Grecia non può continuare, ma è anzi necessario un piano umanitario di evacuazione di emergenza.

Giovedì 25 Febbraio 2016

Una coalizione disumana si sta costituendo in Europa. Un gruppo di leader politici si è incontrato questa settimana a Vienna con lo scopo di decidere come bloccare ai profughi il passaggio nei Balcani Occidentali. I Paesi coinvolti, incluse Macedonia, Croazia e Serbia, non vogliono correre il rischio di ospitare migliaia di persone abbandonate a sé stesse nelle loro già povere società. Essi si aspettano che, causando intenzionalmente un disastro umanitario in Grecia, saranno in grado di evitare che tutta la miseria del mondo continui a riversarsi nel loro cortile. Solo questa settimana, la Grecia ha pregato la Macedonia di riaprire i suoi confini per lasciar passare 4.000 rifugiati a cui era stato impedito il passaggio.

Nel frattempo, i paesi del gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia), che non sono stati invitati a prendere parte a questa discussione, sono anch’essi in prima fila nella campagna ideologica per la chiusura della rotta balcanica. La loro motivazione si basa su una retorica islamofobica, così come sostenuto dal Primo Ministro ungherese Viktor Orbàn, autodichiaratosi nemico della democrazia liberale e a favore del consolidamento di un fronte cristiano contro l’islamizzazione in Europa.

Nonostante abbia accettato 90.000 persone l’anno scorso, l’Austria è l’ultimo paese ad aver imposto quote sui richiedenti asilo e ad aver spinto i rifugiati verso la Germania. Cercando di evitare una sconfitta elettorale nell’imminente votazione contro il nazionalista Heinz-Christian Strache ed il suo Partito della Libertà, la terrorizzata leadership austriaca si è spostata da una posizione social-democratica di moderazione ad una di estremismo di destra nel giro di pochi mesi. Il Cancelliere Faymann è stato scavalcato da un’emergente stella nazionalista, il ventinovenne Ministro degli affari esteri Sebastian Kurz, che ha esercitato forti pressioni per chiudere i confini della Grecia dopo aver cercato inutilmente di costringere il governo greco a respingere le imbarcazioni nel Mar Egeo. La dichiarazione scaturita dopo l’incontro di ieri riduce la crisi dei rifugiati ad una mera questione di immigrazione illegale, ignorando cinicamente le sofferenze di migliaia di persone che fuggono dalla guerra.

Consideriamo per un minuto l’”invasione” contro cui questi leader si stanno spendendo. Le stime attestano che il 34% dei rifugiati sono bambini, migliaia dei quali non accompagnati. Un altro 20% sono donne. La stragrande maggioranza di queste persone sono famiglie in fuga da un conflitto armato. Quasi per metà essi sono siriani che scappano dall’estremismo islamico. L’afflusso di profughi ammonta a meno dello 0.5% della popolazione europea, il che non ha mai costituito un problema ingestibile per l’Europa, ma solo per gli Stati nazionali. Appellarsi a rimedi nazionali è una soluzione di comodo.

Coloro che cercano conforto nei leader più aggressivi dovranno aspettarsi un’enorme sorpresa. La dichiarazione formale su un’Europa che sta fallendo nella gestione collettiva di questa crisi sta per sferrare un duro colpo alle istituzioni europee. Ed il degrado di un sistema di istituzioni, non importa quanto inefficienti e malviste possano essere diventate, avrà delle forti ripercussioni sui nostri affari interni. L’ostilità nazionalista tra Stati porterà al deterioramento di decenni di stabili relazioni diplomatiche. Il rallentamento delle attività economiche che ne seguirà in tutto il continente avrà un impatto anche sulle buste paga. Quando altri problemi si presenteranno, i partner europei non saranno un fattore di stabilità a cui ricorrere. La sfiducia e la disonestà dilagheranno invece come un morbo.

Abbiamo raggiunto il punto di non ritorno senza avere un piano. La Grecia non può più continuare in questo modo: soprattutto perché gli ultimi sviluppi politici hanno costretto il suo inefficiente governo nella scomoda posizione di difendere il rispetto della Convenzione sui Rifugiati del 1951 nel disperato tentativo di veder arrivare una soluzione europea per l’afflusso di rifugiati in arrivo. L’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite in visita ad Atene questa settimana, ha disposto un maggiore coinvolgimento dell’UNHCR nelle operazioni di accoglienza in collaborazione con il governo greco. Egli dovrà mantenere gli impegni presi il prima possibile. La Commissione Europea dovrebbe fare l’unica cosa che le riesce bene: saldare il conto. Avrà molto da perdere se non lo farà.

Inoltre, un piano umanitario di evacuazione delle Nazioni Unite (da parte di Turchia e Grecia), che vada oltre l’UE, dovrebbe essere immediatamente realizzato. Se i tecnocrati dell’UE ed i capi di Stato non lo faranno a Bruxelles, si troverà un altro modo. La settimana scorsa il Portogallo si è offerto di accogliere rifugiati provenienti dalla Grecia. Ieri, le autorità regionali spagnole hanno raggiunto un accordo per il trasferimento di migliaia di migranti – scavalcando il lento sistema di redistribuzione dell’Unione Europea. Soluzioni decentrate, su piccola scala, sono più facili da finanziare, attuabili legalmente e costituiscono un precedente.

Le comunità democratiche possono arrivare dove gli stati non hanno potuto, reagendo alla vera crisi che l’Europa sta fronteggiando oggi: la ripercussione razzista e nazionalista in tutto il continente. Ci sono molte persone là fuori che ricordano bene come, in passato, i deboli siano stati accusati del fallimento dell’Europa e dove questo abbia portato. Combatteremo contro questa tendenza.