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Over the fortress a Calais: cronaca dalla jungle

Report e fotografie del 15 aprile 2016

Arriviamo a Calais in un momento molto particolare, circa un mese fa è stata smantellata dalle autorità francesi senza nessun preavviso la zona sud del campo, soprannominato “the Jungle“.

In merito raccontiamo la testimonianza di I. , un uomo indiano arrivato sei mesi fa a Calais, con la speranza di ricongiungersi alla figlia in Inghilterra. I. viveva da diversi mesi in una baracca nella zona sud del campo quando, ritornando a casa, ha trovato i bulldozer davanti la sua abitazione pronti a demolirla. Le autorità non gli hanno permesso neanche di recuperare i suoi effetti personali. I., con lo sguardo rassegnato, ci racconta di aver provato più volte ad attraversare invano il confine. Al momento si trova bloccato al campo, poiché durante l’ultimo tentativo è rimasto ferito alla gamba, fuggendo dalla polizia che ispezionava il camion in cui si era nascosto.
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Il nostro primo contatto con Calais avviene giovedì alla Warehouse, una struttura situata nella zona industriale ben lontano dal centro cittadino, che è gestita dalle associazioni Auberge des Migrants e Help Refugees. In ragione dell’alto numero di volontari coinvolti, all’ingresso è situato un welcome desk, dove vengono fornite le prime informazioni necessarie per poi essere assegnati ad una della varie attività.
Queste sono realizzate da un grande numero di volontari e sono indirizzate a fornire i servizi primari al campo. Sulla base di questi servizi l’intera area è suddivisa in blocchi.

Un primo blocco della Warehouse è dedicato allo smistamento di vestiti donati e medicinali che vengono distribuiti nel campo, attività a cui ci siamo dedicate per qualche ora durante il pomeriggio. Adiacente si trova il blocco dedicato alla preparazione dei pasti per entrambi i campi di Dunkerque e Calais per un totale di quasi 3000 pasti al giorno.
Un magazzino esterno invece è adibito alla costruzione dei rifugi con diversi materiali.
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Nella giornata di venerdì, accompagnate da tre giovani sudanesi, arriviamo alla Jungle. K., L. e S., avevano appena tentato senza riuscirci di ottenere un passaggio di fortuna dal porto verso l’Inghilterra. La strada che porta al campo costeggia il porto, per questo motivo è circondata da un doppia recinzione di filo spinato, che dovrebbe impedire l’accesso degli abitanti del campo ai tir che vanno verso l’Inghilterra. All’ingresso del campo l’area è controllata da un gran numero di forze dell’ordine.

In attesa di incontrare Maya, attivista dell’Auberge des migrants, facciamo conoscenza con qualche ragazzo del campo e anche con alcuni volontari francesi, stupiti dalla massiccia presenza armata. All’arrivo di Maya iniziamo la visita del campo per la “via dei negozi e dei ristoranti” gestiti dagli abitanti stessi. Un lungo viale di baracche adibite alla vendita di scarpe, tabacchi, cibo, libri e parrucchiere. Abbiamo visitato i punti nevralgici del campo. La cucina comune, il centro legale, gli ambulatori medici gestiti da Medicines sans Frontieres e un autobus riadattato a spazio dedicato a soli donne e bambini.
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Arrampicandoci sulla cima di una duna di sabbia, oltre che rimanere colpite dalla estensione del campo, è di impatto la presenza di un centro di accoglienza recintato è completamente diverso in forma e colore dalla Jungle. Si tratta di una struttura costituita da numerevoli containers con 12 letti ciascuno, costruita dal Governo francese e costata 18.000 milioni di euro. Qui i migranti accedono tramite un meccanismo di riconoscimento di impronte digitali.

La peculiarità di questo posto è che i migranti ospitati non sono necessariamente richiedenti asilo ma possono usufruirne anche se irregolari. Maya ci racconta che la conformazione della spazio esclude qualsiasi forma di socialità e vita comunitaria. Inoltre è interdetto l’accesso ai volontari, impedendo in questo modo l’attivazione di qualsiasi di intervento. Per questo motivo molte persone preferiscono vivere nel campo piuttosto che nella struttura governativa, benché questa sia riscaldata.
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Proseguendo verso est, Maya ci accompagna in una zona riservata alle famiglie che vivono in caravan. La popolazione del campo è composta per il 5% da donne, inoltre si conta la presenza di circa 500 minori di cui 200 minori stranieri non accompagnati. La maggior parte di questi ha tra i 14 e 18 anni, tuttavia ci sono stati riportati anche casi di bambini di sei anni che viaggiavano senza la presenza di un adulto.

Durante la nostra visita, Maya ci mostra con orgoglio i bagni chimici, una delle più grandi vittorie del campo. Infatti dopo una causa legale, le associazione hanno ottenuto che fosse compito dello Stato francese provvedere alla loro installazione e gestione.

Il fango e le pozza d’acqua rappresentano gli elementi costanti del campo, tuttavia non manca l’impegno congiunto di volontari e abitanti per migliorare la situazione. Infatti nonostante la grave situazione di precarietà, nel campo abbiamo potuto percepire un clima di grande convivialità ed ospitalità. La nostra visita continua domani.

Irene Serangeli, Susanna Revolti, Elena Simonetti, Denise Battaglia, Chiara Ioriatti, staffetta #overthefortress a #calais