Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

#OverTheFortress

Riccardo Bottazzo, Q Code Mag, 4 aprile 2016

Garitte militari ogni cento metri, blindati armati pronti a sbarrarti il passo, plotoni di poliziotti con scudi sempre alzati dietro a sbarre che, per te che sei un uomo come altri ma come altri non hai in tasca il documento giusto, non si alzeranno mai. E’ un muro che ti si para davanti dopo tanto camminare e che aggiunge disperazione alla disperazione, dolore al dolore. E dentro di te sai che tutta questa sofferenza è inutile perché non potrà arrestare il tuo andare. Perché dietro di te non è rimasto niente e il tuo futuro, qualunque esso sia, sta tutto davanti. “Se di qui non ci lasciano passare andremo in Albania – mi racconta una donna in fuga dalla Siria col marito e tre figli piccoli -. Abbiamo qualche soldo da parte e cercheremo di imbarcarci in un gommone per l’Italia e di lì raggiungere la Danimarca dove abbiamo degli amici che ci aiuteranno. Anche loro sono scappati da Aleppo. Là non è rimasto niente. Non solo la nostra casa. Tutto il quartiere è stato raso al suolo”.

Perché un confine non lo puoi chiudere. Non è mai successo in tutta la storia dell’umanità. La Fortezza Europa è un bluff male giocato. Puoi far soffrire la gente in fuga. Puoi alimentare la paura e farne un cavallo di battaglia per alimentare leggi liberticide contro i tuoi stessi cittadini. Ma non puoi chiudere un confine.

Il campo profughi di Idomeni, ai confini tra la Grecia e la Macedonia, è un oceano di tende che nessuna legge riuscirà ad impedirgli di riversarsi sull’Europa. Neppure quella che l’Unione Europea ha stipulato col Governo turco e che mercifica le vite dei migranti, affidando ad un feroce dittatore come Erdogan la facoltà di selezionare il migrante “buono” da inviare in Europa come un pacco postale e quello “cattivo” da ricacciare a forza nel suo Paese d’origine. Il tutto per una vagonata di miliardi che ci potevi gestire tutta il flusso migratorio per dieci anni. Un trattato che tutte, tutte le associazioni che si battono per i diritti dei profughi hanno bollato come “infame”, oltre che perfettamente inutile allo stesso fine che si proponeva. Quello di limitare l’afflusso di migranti in una Europa che oramai non è più “l’Europa dei popoli” – se mai lo è stata – ma delle banche. Al tempo della guerra in Bosnia, il verde Alex Langer scriveva che “l’Europa nasce o muore a Sarajevo”. Adesso sappiamo che l’Europa è morta in quei giorni, sotto le granate dei fascisti serbo bosniaci. Oggi stiamo solo seppellendo il suo cadavere.

Ma ci son cose che vanno fatte anche quando sembra che non ci sia più niente da fare. Anzi, diciamo meglio, è proprio questo il momento migliore per mettersi in marcia perché questo è il momento dei cambiamenti. Una marcia #OverTheFortress, una marcia oltre i confini della Fortezza Europa che ha spinto più di 250 ragazzi italiani dei centri sociali e altre associazioni, e alcuni pari età d’Oltralpe dei Giovani Verdi Europei a raggiungere, durante le vacanze pasquali, il campo profughi greco di Idomeni col duplice scopo di portare aiuti e di denunciare le violazione della politica europea in tema di diritti umani.

Un viaggio per terra e per mare in una Grecia divisa tra comitati di solidarietà ai migranti e manifestazioni dei fascisti di Alba Dorato e degli integralisti ortodossi che sfilano brandendo teste di maiale mozzate. Un viaggio ostacolato dalla stessa polizia greca che, il secondo giorno, ha bloccato l’ingresso al campo con un cordone di polizia in assetto antisommossa e due blindati. Le ragazze, in netta maggioranza nella carovana, e i ragazzi non si sono persi d’animo.

Le donne e i bambini della tendopoli di Idomeni – 12 mila persone in tutto secondo la stima più accreditata – attendevano la seconda distribuzione di medicinali, vestiti e scarpe, e nessuno dei carovanieri voleva deluderli. intanto che dall’altra parte della barricata si levavano voci di proteste e scontri, gli attivisti italiani si sono pacificamente accoccolati per terra davanti allo schieramento delle forze dell’ordine, tirando fuori dagli scatoloni e sistemando in fila, ai piedi dei poliziotti, il materiale che volevano distribuire. Immobili, senza cori e senza tentare di forzare il blocco, hanno tenuto duro sotto la pioggia per più di quattro ore. Sino a quando i poliziotti hanno lasciato il passo.

L’ingresso al campo è stata una festa. Per i generi di prima necessità che la carovana si apprestava a distribuire certamente, ma anche per qualcosa che chi non è mai entrato in un campo profughi non può capire e potrebbe addirittura scambiarla per rotorica.

Ed invece, proprio quando sei abbandonato davanti un muro di confine, comprendi il valore di un sorriso, di una stretta di mano, di una persona che si siede per terra, nel fango, accanto te, ed ascolta silenziosamente la tua storia. Capisci che, d’altra parte del muro invalicabile, c’è qualcuno che non ha paura di te, che è pronto ad accoglierti ed a stare dalla tua parte.

Per tutto il pomeriggio, le ragazze e i ragazzi vanno di tenda in tenda a chiedere di cosa abbiano bisogno. Quello che non hanno adesso, lo porteranno quanto torneranno a Idomeni. Giocano con i bambini, discutono con gli adulti, montano due gazzebi informativi e sistemano una rete wifi.

Se ne vanno che è notte fonda. la polizia ha fatto perdere loro un bel po’ di ore ma non li ha fermati. Tra le tende, i profughi cominciano ad accendere dei grandi falò per difendere i bambini dal freddo. Questa notte, perlomeno, avranno qualche coperta in più.

Mentre saliamo nei nostri sgangherati autobus per tornare in Italia, ripenso alle parole di don Lorenzo Milani. “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.