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Secondo report della staffetta di Art Lab Occupato ad Idomeni – #overthefortress

Report, foto e video dal campo

Fotografie della staffetta di Art Lab Occupato, Parma

Sono ormai trascorsi quattro giorni dal nostro arrivo ad Idomeni.

La vita nel campo scorre caotica, imprevedibile, inarrestabile ma trovare il proprio posto nel marasma in fin dei conti è più semplice del previsto. Ad aiutare, il calore e la simpatia delle persone che da due mesi o più sono bloccate qui, che ti salutano, ti offrono un chai, condividono storie, sigarette ed informazioni. Persone che nonostante i forti limiti linguistici si sforzano di intrattenerti per qualche ora, quasi dovessero essere loro a distrarre te, loro a farti un piacere. Le storie sono quasi tutte le stesse: la fuga dalle bombe di Assad, Russia, Francia, USA, e dai tagliagole di Daesh. Le città distrutte. Familiari, parenti e amici morti o abbandonati ad un destino incerto per cercare una vita altrove. Poi la traversata in bus fino alla Turchia, da lì gli smugglers per arrivare in Grecia. Quest’ultimo un viaggio che costa caro, quasi 2000 euro a persona. E poi Idomeni.

Da giorni la polizia greca invita allo sgombero del campo, incitando i migranti a raggiungere i campi militarizzati gestiti dal governo diffondendo fogli che contengono informazioni tradotte in tre lingue, tra cui il greco, che chiaramente nessuno qui parla. Lingue che molte persone non sanno leggere, e frasi che sono di difficile interpretazione; alcuni mediatori infatti non riescono a capire se si parla di “campi” o di “campo”. Chiaramente questo alimenta il panico e l’insicurezza; molta gente ci chiede di tradurre, ma noi, purtroppo, non siamo in grado di farlo, perché tra quelle tre lingue non c’è nemmeno l’inglese.

E intanto le frontiere non si aprono, e la frustrazione aumenta vertiginosamente. Rawan ha due figli in Germania, uno di 16 l’altro di 20 anni. Sono partiti due anni fa e ora studiano a Monaco. Rawan non li vede da allora e non riesce a smettere di pensare a come arrivare in Germania per ricongiungersi con loro. Insieme al marito e alle altre due figlie è stata tra coloro che un mese fa ha sfondato la barriera della polizia e attraversato un fiume per raggiungere la Macedonia. Insieme agli altri è stata respinta violentemente dalla polizia. Ci racconta dei fucili puntati e continua a ripetere “it’is a miserable life”. Come darle torto. Ci dice che proverà ad avviare le pratiche di asilo, anche se non ha molta fiducia, considerato che gli appuntamenti si prendono su skype e nessuno risponde. L’alternativa sono i trafficanti che chiedono ottomila euro a persona per raggiungere Belgrado. Ma i soldi non ci sono e il viaggio è troppo pericoloso. Si dice infatti che circa 400 persone al giorno partano da sole o con gli smugglers. Tutti lo sanno e tutti lo raccontano.
L’attesa è diventata troppo lunga e sempre più persone che incontriamo affermano che cercheranno di attraversare il confine a giorni. Nel frattempo si susseguono vento, sole e pioggia; quest’ultima rende il campo di Idomeni un vero e proprio pantano, rendendoci difficile continuare i lavori che stiamo portando avanti. Abbiamo cominciato a montare delle docce da campo nelle zone che ne sono sprovviste e stiamo costruendo nuove grandi strutture che possano diventare luoghi di socialità, dove ci si possa incontrare in più persone e scambiare qualche chiacchiera.

Costruire nuove strutture è decisamente molto importante, perché permette di migliorare le condizioni di vita delle persone che sono costrette qui, ma ci rendiamo conto ogni minuto che passa che la cosa fondamentale è raccogliere le storie, le emozioni, le difficoltà e i desideri che occupano i loro pensieri ed i loro cuori. Riporteremo tutto questo quando torneremo nelle nostre città, ci uniremo all’urlo che sta facendo tremare le fondamenta di quest’Europa sempre più cieca, assieme: OPEN THE BORDERS!