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Skype non è la soluzione: vogliamo servizi faccia a faccia per i rifugiati in Grecia

Una petizione di Rania Ali bloccata al campo di Idomeni

Rania è una ragazza di 20 anni scappata dalla Siria e bloccata al campo di Idomeni. Ha creato una petizione per richiedere alle autorità greche di avviare le pratiche per la richiesta di protezione internazionale “faccia a faccia” e non tramite il sistema Skype, che come già abbiamo denunciato non funziona e rappresenta l’ennesima violazione del diritto. Chiediamo a tutti e tutte di firmare la petizione e sostenere i diritti delle persone bloccate forzatamente in Grecia: http://chn.ge/1XZAXJG

Mi chiamo Rania Ali e vengo da Raqqa, in Siria. Ho 20 anni. In Siria studiavo economia, ma quando l’ISIS ha preso il controllo della nostra città la mia famiglia non ha avuto scelta: siamo dovuti fuggire. Siamo curdi, e per questo andiamo incontro a pericoli ancora più grandi.

Ora mi trovo nel campo di Idomeni, in Grecia, insieme a mio marito. Viviamo in una tenda nel fango, nella pioggia e sotto al sole da ormai più di un mese e mezzo. I confini sono stati chiusi. E la vita sta diventando un inferno quotidiano: crescono le frustrazioni e io e mio marito stiamo perdendo ogni speranza.

Per i rifugiati qui l’attuale sistema per fare richiesta per l’asilo, per i ricongiungimenti familiari o per una ricollocazione – per continuare le nostre vite al di là degli accampamenti in Grecia – può avere inizio solo con un appuntamento preso grazie a una chiamata via Skype con una capacità assai limitata.

Io e mio marito vogliamo fare richiesta per essere ricollocati in un altro Paese europeo. Ho provato a chiamare il Servizio per l’Asilo di Skype per 20 giorni. Senza alcuna risposta. Per noi rifugiati qui in Grecia la vita è ridotta a una routine: sonno e attesa, attesa e sonno. Aspettiamo in coda per il cibo, per andare in bagno, per ricaricare i nostri telefoni, e aspettiamo sospesi una chiamata Skype a cui nessuno risponde. Le nostre vite sono imprigionate in un limbo.

Skype è spesso frustrante. Cosa fare quando la tua vita dipende da una chiamata?

È una procedura crudele e senza senso per persone che vivono in questi accampamenti con accesso limitato all’elettricità, agli smartphone, ai computer e a internet.

Dopo aver fatto richiesta d’asilo o di ricollocazione potremmo dover aspettare molti altri mesi prima che venga presa una decisione sul nostro futuro. Ma almeno fateci cominciare l’attesa ora con una qualche certezza: che non rimarremo per sempre bloccati in questo accampamento in Grecia.

Chiediamo che i responsabili politici qui in Grecia, che hanno accesso alle risorse dell’Unione Europea, agiscano immediatamente per far fronte a questa crisi.

– Abbiamo bisogno che cambiate l’attuale, ampiamente inadeguato sistema di prendere appuntamenti con l’ufficio greco per le richieste d’asilo solo e unicamente attraverso una chiamata via Skype a cui nessuno risponde.
– Abbiamo bisogno che sostituiate Skype con un servizio faccia a faccia nei campi rifugiati qui in Grecia.
– Vogliamo che aumentiate le risorse impiegate per questo fondamentale servizio.
– E abbiamo bisogno che lo facciate ORA.

Perché più restiamo in attesa in questo limbo, più diventiamo persone disperate. Più le persone muoiono o scompaiono con i trafficanti, o addirittura si suicidano, più tutta Europa dovrebbe vergognarsi per lasciare 50.000 di noi senza nessuna altra possibilità che non sia una chiamata Skype a cui nessuno risponde.

Per favore firmate la mia petizione!