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CAS di Longobardi (Cz), visita della Campagna LasciateCIEntrare

Il 06 febbraio scorso abbiamo fatto visita al Centro di Accoglienza per richiedenti asilo politico di Longobardi, presso l’Hotel Gaudio. In tutte le visite effettuate nei vari CAS della Calabria, lo abbiamo più volte sottolineato, abbiamo conosciuto contesti in cui ciò che dovrebbe essere ordinario diventa straordinario e viceversa, situazioni in cui costantemente, e consapevolmente, i diritti basilari dell’essere umano vengono calpestati. Per questo motivo, quello che rileviamo all’interno del CAS di Longobardi ci lascia totalmente, e piacevolmente, spiazzati.
Al suo interno si respira un’aria di serenità, mai avvertita prima nel corso delle nostre visite all’interno dei CAS calabresi. Tutti i ragazzi con cui parliamo non si lamentano di nulla, se non degli esiti negativi della Commissione Territoriale che deve decidere sull’accettazione delle loro richieste di asilo e della mancanza di un lavoro.
All’interno del centro vi sono circa 120 migranti provenienti da Mali, Nigeria, Somalia, Gambia e Senegal tra uomini e donne. Al nostro arrivo incontriamo subito un mediatore culturale che ci invita ad entrare e ci fa parlare liberamente con i ragazzi. Avviciniamo un ragazzo senegalese che è qui da due anni, ha già ricevuto l’esito (negativo) della Commissione ed è in fase di ricorso. Chiediamo se siano previsti corsi di Italiano. Racconta che mentre prima i corsi venivano effettuati all’interno del centro, ora si svolgono a Paola: è iscritto in una scuola che frequenta ogni giorno. “La scuola è importante e l’insegnante è gentile. E’ un CPIA, quindi avrò un attestato di scuola media, che mi potrà essere utile.“ Sottolinea, tuttavia, che non è mai stato seguito da un legale per preparare la Commissione, ha solo poi firmato la “carta del ricorso”, una volta ricevuto il diniego.
Passano nel frattempo diversi migranti perché è ora di pranzo. “Ci siamo messi d’accordo con loro in modo che mangino ciò che preferiscono”, ci dice il mediatore. Un ragazzo ci offre un tè da lui preparato, e lo accettiamo volentieri.
Con loro continuiamo a parlare della situazione del centro e ci raccontano che al loro arrivo hanno ricevuto quel che d’appalto devono avere: kit all’entrata (vestiario, materiale per l’igiene personale, scheda telefonica) ed indumenti e scarpe per il cambio stagione. Ci dicono che i pocket-money vengono erogati ogni mese, che vengono accompagnati ad effettuare una visita medica al loro arrivo e i medicinali, in caso di bisogno, vengono forniti prontamente. Il mediatore ci conferma, tra l’altro, che un’associazione di Paola li sostiene per quanto concerne le questioni medico-sanitarie.
Incontriamo, quindi, il gestore Antonio Gaudio, che ci mostra uno degli appartamenti in cui alloggiano i migranti. Si tratta di casette a due piani dove un migrante, al momento della visita, sta dormendo al di sotto della scala che porta al secondo piano: un modo per aumentare il numero di persone che possono essere accolte. In ogni appartamento ci sono 4 persone. Sono appartamenti decorosi, rispetto ai tanti che abbiamo visto durante le nostre visite nei CAS calabresi.
“Quando ho cominciato ad occuparmi di accoglienza non ne sapevo nulla, poi con il tempo ho imparato” – ci dice – “Certo sarebbe bene poter avere maggiori informazioni. E più dettagli, che possano fare in modo che i migranti abbiano sempre un’informazione corretta e non perdano delle opportunità. Anche lavorative. Per esempio io non capisco bene questa cosa della possibilità di fare contratti anche se hanno un permesso di attesa commissione. E’ possibile no?”
Il gestore ci racconta che si è trovato anche in situazioni in cui la Prefettura mandava persone in esubero che lui si rifiutava di accogliere, “perché comunque per me una persona va accolta in maniera dignitosa. Non possono mandarmi un numero di persone a casaccio solo perché non sono in grado di trovare un posto!”.
Lo stesso Gaudio si è messo in contatto negli ultimi tempi con alcune realtà locali per favorire processi di inclusione sociale. Una cosa che ascoltiamo, ovviamente, con piacere, ricordando però che “le attività tese a favorire l’inclusione sociale” sono previste dall’appalto, e quindi il gestore è tenuto a fare in modo che vengano messi in moto processi siffatti, magari coordinandosi con gli enti locali. Eppure sono tutti elementi assenti nella stragrande maggioranza dei centri di accoglienza per migranti, che si trasformano semplicemente in dormitori o luoghi ghetto.
Ancora una volta, dunque, siamo costretti a constatare che l’accoglienza siffatta è del tutto affidata alla sensibilità delle persone che gestiscono i centri, e non all’efficacia del sistema.
Un sistema che, trincerandosi dietro la solita e infondata logica dell’emergenzialità, non esita ad affidare l’accoglienza di centinaia di migliaia di vite già segnate dai traumi della propria esperienza migratoria a persone senza nessuna esperienza o inclinazione particolare in questo ambito: l’unico requisito utile è quello relativo alla disponibilità dei posti. E anche qualora ci si trovasse di fronte ad una persona virtuosa, la stessa non viene adeguatamente formata e informata su come poter attuare pratiche che permettano finalmente di ottenere i più elementari diritti umani senza che questo appaia come la più sorprendente delle concessioni.
Un sistema che permette che l’importante e delicata attività dell’assistenza legale venga affidata ad avvocati spesso e volentieri incompetenti e/o senza la benché minima volontà di andare oltre l’ottenimento del gratuito patrocinio. E così accade che la stragrande maggioranza delle richieste di asilo vengano diniegate dalle competenti Commissioni territoriali. La preparazione alla Commissione non è infatti dettaglio di poco conto: si tratta di recuperare certificazioni utili al richiedente per dimostrare la veridicità di quanto dichiarato, ascoltare la storia del migrante che molte volte non è pienamente consapevole di cosa è davvero importante e cosa non lo è, aiutarlo a ricostruire il proprio vissuto, troppo spesso compromesso da traumi difficilmente collocabili e/o descrivibili. Fin troppe volte le risposte delle Commissioni recitano “la storia non è verosimile o il richiedente non presenta elementi sufficienti a verificare quanto dichiarato”. Una situazione che permette di lasciare persone che avrebbero magari diritto già ad un permesso nel limbo dell’attesa, o, peggio, di un mancato documento e quindi ad una presenza irregolare sul territorio, condannandolo allo sfruttamento lavorativo e all’illegalità.
Crediamo che l’accoglienza debba essere molto più che un bel posto ed un piatto caldo, così come regolamentato dalle norme relative ai richiedenti asilo politico, che debba necessariamente coinvolgere le comunità locali, tanto da far sì che la presenza di persone nuove, possa davvero trasformarsi in una possibilità di crescita e di contaminazione culturale per gli stessi e per le comunità che li accolgono.

Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »