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Il fallimento dell’hotspot di Lampedusa: proteste in piazza per chiedere dignità e chiarezza

di Alberto Biondo, Borderline Sicilia Onlus

Domenica 8 maggio – Nelle scorse settimana avevamo già denunciato la disastrosa situazione dell’hotspot di contrada Imbriacola, a Lampedusa, determinata dalle lungaggini burocratiche che ostacolano il tempestivo trasferimento dei migranti nel resto d’Italia, la carenza di informativa ricevuta all’interno del centro e soprattutto le gravi condizioni di sovraffollamento e di carenze igienico-sanitarie, nonché di fatiscenza della struttura per mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il risultato del perpetrarsi di tali situazioni è stato ancora una volta l’esplosione di proteste da parte dei migranti presenti nel centro per chiedere dignità e chiarezza.
Da alcuni giorni nel centro cittadino dell’isola si susseguono diversi gruppi di migranti in protesta: subsahariani, egiziani, ognuno con la propria modalità e con la propria “cultura”. C’è chi protesta in modo silenzioso, non bevendo né mangiando, chi alza la voce e chi si incazza con lo Stato che lo tiene prigioniero.

Proteste che hanno raggiunto il culmine nella giornata di ieri, quando in mattinata un gruppo di circa 30 persone (eritrei, etiopi, yemeniti, somali e sudanesi) ha occupato la piazza antistante la chiesa di San Gelando].

Donne (di cui una in stato di gravidanza), uomini, insieme a diversi minori, hanno scritto un comunicato, tradotto da attivisti e volontari presenti sull’isola (come per esempio l’associazione Askavusa), col quale gridano di sentirsi in prigione senza comprendere la ragione, si lamentano delle condizioni del centro, esprimono il bisogno di andare via da Lampedusa prima possibile per raggiungere le mete del loro progetto migratorio.

A Lampedusa tutto questo appare impossibile, di fronte al fallimento annunciato dell’approccio europeo all’immigrazione che non ostacola soltanto l’accesso alla protezione internazionale da parte dei migranti. In queste ore l’isola di Lampedusa rivive le tensioni degli anni passati in cui la contrapposizione tra migranti e lampedusani rischia di acuirsi con l’avvento della stagione turistica. Ed è all’insegna di questa insofferenza che la scorsa notte è stata data a fuoco un’auto, probabilmente un regolamento di conti tra isolani, denunciato come atto vandalico ad opera dei migranti che protestano.

Manifestazioni di insofferenza più o meno taciuta, che non fanno altro che rafforzare il gioco dell’Europa, sempre più disumana, e con precise mire di militarizzazione dei territori del Mediterraneo, come dimostra la costante riproposizione stagionale dei soliti “problemi emergenziali” su un’isola che ogni anno viene sfigurata e depauperata in nome del “controllo e della sicurezza”.

Non è la prima volta che a Lampedusa si accende la miccia dell’intolleranza, nella stessa terra che ci ha abituati all’accoglienza, senza se e senza ma, di tante persone in difficoltà. La parrocchia di Lampedusa nel pomeriggio di ieri ha aperto le porte della chiesa ai manifestanti per offrire loro un riparo dalla pioggia, anche in attesa dell’arrivo in serata del cardinale Montenegro che ha parlato ai lampedusani cercando di calmare gli animi. Sono tanti i lampedusani che in queste ore si adoperano in piazza per rendere meno disagiata la permanenza dei manifestanti per strada, all’addiaccio, offrendo loro beni di conforto e coperte. La prima notte infatti l’hanno trascorsa sui marciapiedi antistanti la chiesa, compresa la giovane incinta, dato che in tarda serata le porte della chiesa sono state chiuse per essere riaperte stamattina.

Nonostante i numerosi tentativi fatti nella giornata di ieri, dalle forze dell’ordine, dal gestore del centro e da alcuni operatori di organizzazioni umanitarie, per far rientrare nell’hotspot i manifestanti, i migranti non intendono spostarsi dalla piazza ed intendono protestare ad oltranza. Non hanno paura della pioggia perché sono venuti dal mare ed hanno viaggiato a braccetto con la morte.

Gli unici ad interloquire con i migranti in protesta sono gli attivisti e volontari dell’isola, scoraggiati nelle loro legittime manifestazioni di solidarietà con chi protesta da polizia e carabinieri, che chiedono loro documenti e le ragioni della loro presenza in piazza.
Gli stessi attivisti e volontari impegnati in un’opera importante, di mediazione e sostegno ai tanti migranti che transitano sull’isola, ma che probabilmente dà fastidio ai poteri forti dello Stato.

I migranti non hanno intenzione di interloquire né con gli operatori di Save the Children, né con quelli dell’Unhcr (considerati parte del sistema che li tiene prigionieri), i quali nel pomeriggio di ieri hanno raggiunto in piazza i manifestanti per fornire loro l’informativa necessaria a far comprendere a ciascuno di loro come funziona la burocrazia in Italia. Resta il dubbio se la stessa informativa fosse già stata fornita nelle scorse settimane all’interno del centro.
I migranti sono consapevoli che dietro la privazione dei loro diritti c’è un business, con la connivenza delle Nazioni Unite, che legittima leggi e barriere razziste e assassine. Lo hanno sperimentato sulla propria pelle e visto sperimentare sulla pelle delle tante persone morte in mare o nelle vie della fuga dalle persecuzioni, dalle guerra, dalla fame.

Nel tardo pomeriggio di ieri altri migranti maghrebini, che nei giorni scorsi all’interno del centro hanno manifestato per gli stessi motivi, sono arrivati in piazza, prima rimanendo in disparte, pi unendosi al gruppo. Attualmente in tutto sono quasi 60 le persone che protestano.

Ad oggi nonostante i trasferimenti degli ultimi tre giorni al centro di contrada Imbriacola ci sono più di 600 migranti, in totale promiscuità. Fra loro ci sono persone che sono sull’isola da due o tre mesi, inspiegabilmente e soprattutto illegittimamente, dato che si sono sottoposti a tutti i rilievi identificativi, compresi quelli delle impronte digitali.

Appunto il rilascio delle impronte digitali è un altro nocciolo duro della questione: alcuni migranti denunciano l’uso della forza e pressioni psicologiche con chi si rifiuta di fornirle, ma che nonostante hanno resistito fino ad oggi e non intendono mollare.

Ieri pomeriggio, forse nel tentativo di sedare la protesta, le forze dell’ordine hanno assicurato ai manifestanti che lunedì prossimo saranno tutti trasferiti in Sicilia, anche chi non ha rilasciato le impronte.

Il fallimento era annunciato, le colpe sono chiare. E tutto questo viene sperimentato, come al solito e non a caso, a Lampedusa. I manifestanti sono guardati a vista ma nessuno li obbliga a rientrare, visto che non hanno la possibilità di lasciare l’isola. Si aspetta che, prima o poi, torneranno stremati al centro, dove saranno messe in atto altre pressioni.