Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Tunisia, amare non è un crimine

Un petizione di Amnesty International per porre fine alla criminalizzazione delle persone LGBTI in Tunisia

“Ero al parco con la mia ragazza, ci stavamo baciando. Uno sconosciuto ci faceva delle foto. Ci ha minacciate di farle vedere a tutti se non facevamo ciò che ci chiedeva. Ha detto alla mia ragazza di andarsene….e ha cercato di costringermi a fare sesso con lui. La mia ragazza si è rifiutata di andarsene e siamo riuscite a scappare via.”

Queste sono le parole di Samira, 17enne lesbica che riceve quotidianamente minacce sessuali per le strade della sua città, in Tunisia. Nel 2015 un uomo aveva cercato di violentarla.

Come Samira, tante altre persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuate (lgbti) in Tunisia rischiano di essere arrestate o perseguite sulla base del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere.

Da anni gli attivisti per i diritti lgbti combattono la discriminazione e portano avanti campagne per il riconoscimento dei diritti lgbti dalla società tunisina.

Il Codice penale tunisino criminalizza i rapporti sessuali consensuali tra persone adulte dello stesso sesso.

L’articolo 230 del codice penale prevede fino a tre anni di reclusione e una multa per “sodomia e lesbismo” e l’articolo 226, che punisce con sei mesi di reclusione gli atti osceni e ritenuti offensivi per la morale pubblica, viene utilizzato anche contro le persone lgbti.

Amnesty Internazional promuove un petizione per chiedere al Primo Ministro di porre fine alla discriminazione, di diritto e di fatto, nei confronti delle persone lgbti e di abrogare l’articolo 230 del Codice penale!

LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE PERSONE LGBTI IN TUNISIA

Il codice penale tunisino criminalizza i rapporti sessuali tra adulti consenzienti dello stesso sesso. Alcuni articoli criminalizzano gli atti e le espressioni che risultano “offensivi o minano la morale pubblica e la decenza” e sono utilizzati per perseguire le persone in base all’espressione della loro identità di genere.

Queste leggi espongono le persone lgbti al rischio di arresto e di persecuzione sulla base del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere, reali o presunti, creando un clima di abuso da parte dello Stato e di attori non statali.

Ai sensi dell’articolo 230 del Codice penale tunisino, le persone che hanno rapporti omosessuali consensuali possono rischiare fino a tre anni di carcere, subendo violazioni dei loro diritti alla privacy, alla sicurezza e a non subire discriminazioni. Anche le persone transgender rischiano di essere arrestate e processate in base alla legge.

L’articolo 226 del Codice penale, per esempio, criminalizza gli atti osceni e quelli ritenuti “offensivi per la morale pubblica”. Poiché i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono criminalizzati, molte persone lgbti hanno paura di denunciare le violenze e le molestie a cui sono sottoposti, temendo di essere arrestate e processate.

Questo crea un ambiente fertile per i crimini di odio omofobico e transfobico e non fornisce un’adeguata protezione dalle molestie e intimidazioni provenienti dai membri della famiglia e della comunità.

A causa dello stigma sociale, molte persone lgbti preferiscono nascondere il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere alle famiglie e alla comunità.

L’eventualità di essere arrestati o di vedere rivelata pubblicamente la propria sessualità espone le persone lgbti anche al rischio di abusi da parte della polizia che sfrutta questa paura per ricattare, estorcere o addirittura commettere abusi sessuali.

In alcuni casi, gli uomini omosessuali sono costretti a pagare tangenti per sfuggire all’arresto, anche se la polizia difficilmente ha “prove” del loro coinvolgimento in rapporti sessuali con altri uomini. Gli arresti sono solitamente basati su stereotipi di genere legati all’apparenza, a comportamenti o all’espressione, utilizzati per determinare l’orientamento sessuale o l’identità di genere reali o presunti di una persona.

Gli uomini accusati di avere rapporti sessuali consensuali con altri uomini sono regolarmente sottoposti a ispezione anale da parte di medici. Il test è solitamente ordinato da un giudice, nel tentativo di trovare una “prova” di rapporti anali. Questi esami non hanno alcuna base scientifica e, come ha dichiarato il relatore speciale dell’ONU sulla tortura, oltre a essere medicalmente inutili costituiscono una forma di tortura e maltrattamento se effettuati contro la volontà della persona.

La ricerca di giustizia da parte delle persone lgbti che hanno subito violenza a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità sessuale o di genere è particolarmente difficile poiché non sempre possono contare sul sostegno dei parenti. Le famiglie spesso le rifiutano, le espongono alla violenza o semplicemente ignorano le loro sofferenze. Chi ha partecipato apertamente a campagne contro le leggi e le pratiche discriminatorie ha dovuto subire la reazione negativa da parte del governo e della società. Gli attivisti lgbti e le organizzazioni che difendono i diritti delle persone lgbti si trovano a dover affrontare minacce e molestie.

Scarica il rapporto completo di Amnesty

Vai alla pagine per firmare l’appello