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Ventimiglia. Rastrellamenti in chiesa come ai tempi delle SS

di Ilaria Navarra, dottoressa specializzanda del San Martino di Genova

Foto tratte dal Presidio No Borders di Ventimiglia

Alla seconda mail di un giornalista che mi chiede se ho voglia di scrivere qualche aggiornamento, ho risposto quasi incazzata.

“Faccio il dottore io, mica scrivo.”

E nel frattempo mi chiedo in cosa mi sono imbarcata.

Oggi siamo stati a parlare alla presentazione di un libro scritto da giuristi, psicoterapeuti, avvocati e familiari di morti ahimè famosi sul fatto che in Italia non esiste il reato di tortura.
Si è incominciato parlando di Ventimiglia. Ci hanno presentati tutti come attivisti. Io da bambina volevo curare i ciliegi, mica fare l’attivista. Eppure eccomi qui. Il mio telefono non smette di suonare e io mi chiedo perché non sono lì. Ieri mattina altre storie, altre visite. Altre, nuove torture fisiche. Mi hanno chiesto di non raccontarle nello specifico per paura di accanimenti nei confronti della persona coinvolta nel caso venga rifermata. Ricordo poco dei discorsi dell’incontro di oggi a palazzo Ducale ma la parola reiterazione associata a tortura, quella sì.

Quando domenica all’alba ho lasciato il campo, non vedere polizia in stazione mi era sembrato strano. Poche pattuglie in giro. Mi chiedevo se sarebbe stata la quiete prima della tempesta. E infatti eccola. Questa mattina 150 uomini. Con casco e scudi. A cercare l’uomo nero. Si susseguono notizie confuse: 1-2 pullman, altri 2 forse in frontiera su cui i ragazzi vengono caricati per poi finire chissà dove. Prima a tanti viene sequestrato il telefono. Finalmente vedo chi sta notte era lì a Ventimiglia: mi raccontano che per fortuna nella notte hanno accompagnato un bel gruppo che era sulla spiaggia a bussare alle porte di una chiesa che ha accettato di ospitarli. C’è chi dice “meno male, lì non entreranno”.
Nel frattempo aumentano i controlli alla stazione di Genova. Chi va lì anche solo a guardare viene identificato.
Me ne vado al cinema, ho bisogno di staccare un attimo da tutta questa storia. Torno a casa e scopro che la polizia è entrata in chiesa, ha preso e portato in questura almeno 13 “attivisti”. Lo trovo così incredibile. Gli hanno preso le impronte, le foto segnaletiche.
E ora due camionette aspettano fuori dalla chiesa. Che altro succederà?
Mi maledico perché sento di non aver studiato abbastanza la storia. 
Perché vorrei fare un elenco di tutte quelle situazioni in cui le persone si sono rifugiate nelle chiese perché non rimaneva nessun altro posto sicuro.
E ora anche questo è stato violato.
Ho provato a digitare 3 parole: rastrellamento dentro chiesa.
Viene fuori un’epoca ben precisa. Quella che quando la si studia a scuola, fa venire una domanda ben precisa: ma dov’era il resto del mondo mentre tutto questo accadeva?

“Noi scappammo di gran corsa a questa chiesa che era la parrocchia di Casaglia. Come arrivammo su alla chiesa ci trovammo cento persone perché tutti erano fuggiti lì perché pensavano nessuno avrebbe fatto del male e nemmeno incendiato la chiesa. Ci sentivamo al sicuro. Difatti andammo dentro e poi arrivò anche il prete e disse: “Diciamo il rosario perché c’è pericolo, preghiamo”, ma nessuno riusciva a pregare perché ci era venuta una grande angustia. Aspettammo aspettammo, sempre con una gran paura addosso, poi d’un tratto sentimmo bussare alla porta, erano i tedeschi delle SS.” Cornelia Paselli (18 anni), sopravvissuta.

(nb l’evento era questo: https://www.facebook.com/events/542370692606003/)


Ci scusiamo con Ilaria per aver insistito ma la gravità della situazione ci ha fatto perdere di vista il suo impegno sul campo, essendo anche noi più attivisti che giornalisti ci è molto a cuore quello che succede a Ventimiglia.
Ricordiamo inoltre il blog del Presidio Permanente No Borders Ventimiglia che pubblica continuamente aggiornamenti.