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Regno Unito, si chiude la “Fast Track”

Jerome Phelps, openDemocracy, 20 maggio 2016

Fino a luglio 2015 il Regno Unito è stato responsabile della più vasta detenzione sistematica di richiedenti asilo in Europa. Ogni richiedente la cui istanza fosse ritenuta dall’Home Office, il Ministero dell’Interno, “adatta ad una rapida decisione”, veniva trasferito direttamente in un centro di detenzione di massima sicurezza, solitamente quello di Harmondsworth o di Yarl’s Wood. Chiusi in una cella, costretti a sottostare a scadenze rigorose, la maggior parte di loro riceveva in breve tempo risposta negativa e veniva velocemente espulsa.

Come ho precedentemente descritto, si trattava di un sistema che, secondo l’Home Office, funzionava. Non è mai stata manifestata nessuna intenzione di verificare se gli evidenti difetti del sistema stessero negando giustizia ai richiedenti asilo. Per dodici anni, persone provenienti da alcuni dei paesi più pericolosi del mondo sono state trattenute in custodia, le loro richieste respinte e in breve tempo rimandati indietro.

Lo scorso luglio, questo sistema ha avuto fine. La Corte di Appello ha accolto il ricorso presentato dalla mia organizzazione, la Detention Action, riconoscendo che la procedura era “iniqua e ingiusta in maniera sistematica”. L’Home Office ha ceduto di fronte al ricorso individuale presentato da sopravvissuti a torture e vittime di tratta, e ha ammesso di aver ingiustamente imposto loro la ”Fast Track”, o “procedura accelerata”. James Brokenshire, Ministro per l’Immigrazione, non ha avuto altra scelta che sospendere la pratica.

La sospensione è sempre stata pensata come temporanea. Il ministro aveva infatti lasciato intendere che la procedura accelerata avrebbe potuto essere riattivata “nel giro di poche settimane”. Erano già in corso i lavori per il nuovo piano “DFT2” (Detained Fast Track 2). A suo tempo avevo parlato dei limiti dell’uso strategico di cause legali per impedire al governo di fare ciò che ha davvero intenzione di fare.
Sembra che mi sbagliassi.

Dopo essersi incontrato con noi, con la Immigrant Law Practitioner Assiociation e con la Law Society, il Tribunal Procedures Committee (Commissione per le procedure giudiziarie), un organo giudiziario poco conosciuto, ha inviato una lettera all’Home Office, con la quale sembrava voler liquidare la Fast Track.

Qualche informazione di base. Questa non era la prima volta che abbiamo presentato appello contro la Fast Track. La prima e la seconda volta che le nostre motivazioni hanno persuaso la corte della sua illegalità, l’Home Office ha risposto solamente con dei piccoli cambiamenti, portandoci di nuovo al punto di partenza. Continuavamo a ritenere la procedura fondamentalmente iniqua, ma avremmo dovuto ricominciare daccapo, con una nuova causa per ogni piccolo ritocco alla legge.

Il nostro ultimo ricorso, allora, non ha contestato l’ingiustizia della pratica attuata dall’Home Office, ma l’intera struttura legale, la normativa della Fast Track. Si tratta delle regole procedurali del Tribunale (Asylum and Immigration Tribunal) secondo le quali i richiedenti asilo trattenuti in custodia, scelti dall’Home Office avrebbero meno tempo di appellarsi alle sue decisioni rispetto a quanto ne avrebbero se fossero in comunità. È stata proprio la normativa della Fast Track a essere giudicata iniqua e ingiusta dalla Corte di Appello.

Le norme procedurali non possono essere ritoccate, tanto meno dall’Home Office. Esiste un organismo giudiziario designato, il Tribunal Procedures Committee (Commissione per le Procedure Giudiziarie), che è responsabile della stesura delle norme procedurali per i tribunali in tutti gli ambiti del diritto. È proprio a questa Commissione che l’Home Office si è rivolto proponendo un nuovo impianto normativo per la Fast Track.

La pressione politica sulla Commissione deve essere stata notevole. I ministri hanno ripetutamente messo in chiaro l’importanza della Fast Track. Pochi di noi dubitavano che si sarebbero riuscite a trovare nuove norme per il suo ripristino.

Ma così non è stato. In una coraggiosa manifestazione di indipendenza giudiziaria la Commissione ha gentilmente rifiutato la proposta di creare una nuova normativa per la Fast Track: senza le norme non si verificherà nessun processo di appello con procedura accelerata, e quindi nessuna Fast Track.

È vero, la Commissione ha lasciato aperta la possibilità di creare in futuro nuove norme per la Fast Track. Ha però sottoposto l’Home Office a una serie di controlli, sulla chiarezza e praticabilità dei criteri che determinano chi deve essere sottoposto alla procedura, chiedendo di esibire prove che giustifichino la limitazione del potere discrezionale dei giudici nel definire le tempistiche caso per caso, e prove del malfunzionamento della strategia attuale. Sembra improbabile che questi controlli possano essere superati, ora o in futuro.

Nel frattempo, ora che la Fast Track non è più attiva, l’intera procedura, a ripensarci, sembra sempre più assurda, e per l’Home Office giustificare un suo rilancio diventa sempre più difficile. La nuova Fast Track proposta riguarderebbe (esplicitamente, questa volta) le richieste di asilo con deboli motivazioni, nonostante già esista un procedimento a parte per le richieste che l’Home Office ritiene essere tali. Coloro la cui richiesta viene considerata dal Ministero “manifestamente infondata” sono espulsi senza diritto di appello, sebbene possano fare ricorso, attraverso la procedura di controllo giurisdizionale. E’ difficile comprendere come l’Home Office possa giustificare la creazione di un secondo procedimento per richieste che appaiono deboli ma non infondate, date le difficoltà che hanno avuto, in generale, nell’identificare anche solo i casi deboli.

Lo Home Office, inoltre, può ancora esaminare le richieste di protezione, laddove provengano da persone trattenute che hanno presentato istanza dopo essere state prese in custodia. Senza un processo di appello accelerato, i richiedenti asilo trattenuti, le cui istanze non siano “manifestamente infondate”, vengono generalmente rilasciati prima che il loro appello venga esaminato.

Anche questo breve trattenimento durante la procedura di asilo è oggetto di cause legali. È in attesa di giudizio il caso “Hossein e altri” (Hossein and others), il cui ricorso si incentra sulla costante inadeguatezza e incapacità del Ministero nel riconoscere gli individui vulnerabili che non possono essere trattenuti durante la procedura. È molto probabile che persone in difficoltà e mentalmente instabili non presentino domanda di asilo fino a che non vengono prelevate, e le loro richieste vengono quindi esaminate mentre sono trattenuti. Con l’inchiesta Stephen Shaw sullo stato dei servizi durante il trattenimento, l’Home Secretary (Segretariato degli interni) è solo l’ultimo degli organismi ad aver denunciato il fallimento del sistema di detenzione nell’identificare e proteggere le persone vulnerabili.

Quindi, dire che la procedura di trattenimento è un caos è un po’ un eufemismo.

Questo lascia al governo due opzioni. Si può continuare a difendere la sempre più fragile base giuridica per la detenzione dei richiedenti asilo; l’attuale procedura di trattenimento dei richiedenti asilo potrebbe andare incontro a sempre più frequenti ricorsi legali individuali, fino a che la questione dell’identificazione dei casi vulnerabili non verrà risolta, possibilità che rimane alquanto remota. Si può mantenere in funzione un sistema che si sa essere fallimentare, nel quale chi ricorre in appello viene rilasciato in ogni caso; questo al fine di raccogliere le prove necessarie per cercare nuovamente di persuadere il Committee a emanare una nuova normativa per la Fast Track.

In alternativa, si può adottare un approccio diverso investendo nella creazione di una procedura di asilo più rapida e giusta per tutti. La Fast Track ha permesso di esaminare le richieste di asilo con rapidità, obiettivo su cui nessuno, in linea di principio, potrebbe dirsi contrario. Ciò è stato in parte realizzato attraverso ingiustizie sistematiche, ma questa deriva nell’ingiustizia ha avuto fine. A parte questo, non c’è dubbio che il sistema di trattenimento contribuisse a rendere più veloce la procedura. Attualmente, però, il numero delle cause suggerisce il contrario. Di fatto, parte della rapidità della Fast Track è dovuta solo al gran numero di assistenti sociali che si sono impegnati per una veloce risoluzione dei casi.

Dimenticare la Fast Track sarebbe perfettamente coerente con la più ampia strategia di trattenimento del Governo. Il Ministro ha largamente accolto le critiche dell’inchiesta Shaw sul suo uso eccessivo e ha dichiarato che sono in programma ulteriori riduzioni dei centri di trattenimento. L’intenzione sarebbe quella di adottare il trattenimento unicamente per brevi periodi, col solo fine di espellere le persone. Anche nel suo periodo di massimo utilizzo, la Fast Track tratteneva i richiedenti per settimane o mesi. Ciò risulta incompatibile con il più snello ed efficiente sistema di detenzione promesso dal Ministro.

La detenzione è costosa, gli assistenti sociali molto meno. Eppure, sono proprio gli assistenti sociali, formati ed equipaggiati per svolgere con efficienza il loro lavoro, a formare la base di una procedura di asilo rapida e giusta. La politica di austerità sta riducendo i budget all’osso, nell’Home Office, come in qualsiasi organo del governo. La riforma del trattenimento, già cominciata, potrebbe però generare un risparmio in grado di aumentare la disponibilità di assistenti sociali.

La Fast Track ha fatto il suo tempo. L’Home Office deve accettarlo e investire i risparmi in una procedura di asilo veloce e di qualità, nella quale non ci sia bisogno di una Fast Track.
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Jerome Phelps è il direttore della Detention Action, dove, a partire dal 2003, ha lavorato con gli stranieri in un centro di detenzione per immigrati. La Detention Action è un’organizzazione nazionale benefica che aiuta persone che si trovano in centri di trattenimento e organizza campagne a favore del cambiamento della politica di detenzione. Jerome è l’autore, o uno degli autori, di quattro reportage sul sistema di detenzione, incluso Point of No Return: the futile detention of returnable migrants (Punto di non ritorno: l’inutile detenzione dei migranti in attesa di espatrio)