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Rosarno, il clima d’odio uccide

di Antonello Mangano, Terrelibere.org

Sekine Triore è rimasto ucciso da un carabiniere dopo averlo aggredito. È l’ennesima vittima della situazione di Rosarno, fatta di nodi politici ed economici mai risolti, ma anche del clima d’odio che oggi considera lecito sparare a un migrante come prima opzione.

Dopo l’uccisione del migrante africano nella tendopoli di San Ferdinando – Rosarno ad opera di un carabiniere, restano tantissimi interrogativi e una certezza. L’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che il clima d’odio presente da mesi in Italia è ormai incontrollabile.

Partiamo dai dubbi:

– Se è vero, come dicono i migranti presenti, che c’erano sette tra poliziotti e carabinieri contro uno, era necessario sparare ad altezza uomo? Non è stato possibile immobilizzarlo?
– Da almeno due anni la tendopoli è in stato di abbandono, ma non è un accampamento abusivo. Le tende presenti sono del Ministero dell’Interno. Le istituzioni che hanno impiantato il campo si sono defilate.
– Le aziende che in ultima analisi beneficiano del lavoro migrante rimangono nell’ombra. Solo alcune di loro sono emerse, ma in occasione delle azioni della magistratura. Beneficiavano infatti di lavoro schiavile. E i caporali andavano a “rifornirsi” proprio alla tendopoli.
– Il migrante ucciso si trovava a Rosarno (come si deduce dal video in basso) non per lavorare ma per regolarizzare i documenti. Non abbiamo di fronte “clandestini”, come dicono i razzisti, ma migranti ingabbiati nelle leggi italiane ed europee. Due su tre si trovano in questa situazione. Precari dei permessi di soggiorno, ricorrenti, diniegati, titolari di permessi umanitari temporanei. Con pratiche burocratiche spesso avviate nei pressi dei luoghi d’arrivo, in genere al Sud. E con la costrizione a ritornare lì.
– Il fatto che alla vigilia dell’estate ci sono centinaia di persone nella tendopoli, a stagione agrumaria abbondantemente conclusa, è un problema sociale con cause principalmente politiche: leggi assurde che impediscono a molta gente di andare via, perché costretti dal regolamento Dublino a rimanere in Italia.

Eppure tutte queste problematiche spariscono dietro un muro d’odio. Non ci sono questioni politiche o economiche, ma soltanto “noi” e “loro”. I commenti, dalle pagine dei giornali on line a quelle dei social network, sono tutti caratterizzati da un tifo disumano per il carabiniere. Ha fatto bene, devono dargli una medaglia, così imparano questi che vengono a casa nostra, devono rispettare le nostre regole, etc. etc.

Tra i maggiori partiti, nessuno ostacola questo clima pesante contro i migranti, anzi la maggior parte soffia sul fuoco della frustrazione e del capro espiatorio straniero. Anche il caso del profugo senegalese rimasto in Mali per mesi, rischiando la vita, solo per un capriccio della Questura di Catania, è indicativo. Mostra che oggi qualunque angheria è lecita, specie da parte di chi esercita un potere.

“I carabinieri servono per la sicurezza. Se uccidono la gente, chi fa la sicurezza?”

La realtà, a Rosarno, è sempre più complessa di quello che appare a distanza.

Per esempio:

– negli ultimi anni sono morti numerosi africani, da quelli investiti in strade non sicure fino a chi non ha resistito a un inverno in condizioni abitative disumane;
– da gennaio i migranti si rivolgevano a carabinieri e polizia per proteggersi dalle aggressioni avvenute negli ultimi mesi; come dice un africano nel video: “Li chiamiamo per la nostra sicurezza, non per essere uccisi”;
– per lungo tempo, “le nostre regole” in quel pezzo di territorio italiano erano dettate dai Bellocco e dai Pesce, clan feroci di ‘ndrangheta; solo dopo la rivolta del 2011 le istituzioni hanno alzato la testa iniziando sequestri e processi ai due clan;
– da lungo tempo Emergency e Medu, le Ong presenti sul territorio, denunciano la situazione medica insostenibile non solo dal punto di vista fisico ma anche da quello psicologico di chi trova in un limbo senza uscita: “Sentono di essere falliti a vent’anni, nessun futuro, un presente agghiacciante e la sensazione di non aver più niente da perdere”, dice la coordinatrice di Emergency in Calabria;
– gli africani, così come gli altri migranti, non sono una massa indistinta buona (gli schiavi, i disperati, i poveretti) o cattiva (i clandestini, i delinquenti, gli extracomunitari). Sono uomini e donne in carne e ossa, ognuno dei quali con un percorso individuale; per trovare vere soluzioni, la prima cosa da fare è ascoltare, capire, e cogliere le differenze.

L’inferno

Adesso tutti vogliono smantellare la tendopoli e creare strutture d’accoglienza. Non sono ipotesi nuove. I primi progetti, infatti, risalgono al 2007. Nessuno di questi, nonostante fondi europei e nazionali, è stato realizzato. Del resto, gli africani vivono in un ampio deserto di capannoni abbandonati, gli stessi che dovevano diventare una zona industriale e che oggi sono un monumento alle incompiute.

La scritta “Non sparare ai neri” della rivolta del 2011 rimane purtroppo attuale
La scritta “Non sparare ai neri” della rivolta del 2011 rimane purtroppo attuale

Eppure non è lecito per nessuno ridurre la complessità di questo territorio e dei soggetti che ci vivono a “un inferno”. In questo paese, in mezzo a clan violenti e feroci, un sindaco antimafioso fu eletto con un vero plebiscito. Nello stesso posto, segnato dal maschilismo, una donna è diventata sindaco e tante donne hanno scelto di testimoniare rompendo i legami di sangue e mettendo in crisi i clan.

Nelle campagne dei dintorni, dove trionfava un feudalesimo antico, i contadini occuparono le terre dando inizio a una nuova era. Nella terra dove l’omertà sembrava incrollabile, un’intera comunità di migranti sfilò davanti alla caserma dei carabinieri per denunciare un killer della ‘ndrangheta. Dal dopoguerra a oggi, fatti di cui c’è poca memoria hanno segnato la storia complessa di Rosarno. Probabilmente il maggiore concentrato di contraddizioni che abbiamo in Italia, oltre che la spia di tutte le problematiche italiane. Eppure i media preferiscono ridurre tutto “all’inferno” dove gli “extracomunitari sono schiavi” e “poco o nulla cambia”.

In quella che sembra una terra remota e dimenticata, si intreccia invece la globalizzazione dell’economia e l’arcaismo di uno sfruttamento d’altri tempi. Qui è nata la lotta alla ‘ndrangheta, col sacrificio di Giuseppe Valarioti.

Tornando al presente, continuiamo a parlare dei ghetti (l’effetto) e non della filiera (la causa). Se i migranti arrivano ogni anno a Rosarno, c’è un motivo: sono il cuscinetto che permette a un settore in stato comatoso (la produzione di biondo da succo) di non morire. Se non di ringraziamenti, almeno che non siano ricoperti di fango e piombo.