Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Corpi in transito

di Gaetano De Monte, DINAMOpress - 27 agosto 2016

Hotspot di Taranto. Da marzo è un nodo essenziale della frontiera sud europea, fabbrica differenziale in cui spesso è negato il diritto d’asilo e alla protezione internazionale. È da qui, da questo non/luogo nell’area industriale tarantina, alle pendici dell’Ilva, che sono partiti due notti fa due autobus: a bordo 41 persone di nazionalità sudanese – accompagnati da 80 poliziotti italiani – diretti a Torino, destinazione aeroporto Caselle. In tasca un decreto di espulsione.

Qualche giorno prima gli stessi profughi si trovavano a Ventimiglia, in attesa di varcare il confine con la Francia. Respinti alla frontiera francese sono stati dirottati nel centro di Taranto per essere fotosegnalati nuovamente. Salvo tornare poi a Nord. Come è noto si tratta dei profughi rimpatriati ieri con volo Egyptair diretto a Khartoum, capitale del Sudan, paese considerato sicuro e con cui l’Italia ha siglato di recente accordi di rimpatrio. In particolare, il cosiddetto Memorandum of Understanding siglato lo scorso 4 agosto a Roma tra il capo della polizia italiana, Franco Gabrielli, e il suo omologo sudanese, Hashim Osman Al Hussein. Presenti funzionari del ministero dell’Interno e del ministero degli Affari Esteri, l’accordo è considerato “il traguardo di una serie di negoziati durati alcuni mesi tra i due Paesi sotto il forte impulso dell’Ambasciata Italiana in Sudan”, così si legge nella nota diffusa dalla stessa rappresentanza diplomatica italiana a Khartoum all’indomani della firma: “l’accordo si iscrive nel più ampio quadro di cooperazione tra Sudan e Unione Europea sui temi migratori. È una firma fondamentale per distinguere i cittadini ospiti reciproci e graditi nei rispettivi territori, da quei cittadini che non hanno diritto a permanere nei territori dei due Stati”. In sostanza, dietro lo schermo della cooperazione internazionale e della collaborazione tra stati nella lotta al traffico di esseri umani, al crimine telematico e finanziario, gli accordi prevedono di “facilitare il rimpatrio dei cittadini che permanessero nei rispettivi territori in maniera irregolare“.

Rimpatri collettivi. Sulla questione rimpatri è intervenuto tempestivamente il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Presentando un’ interrogazione urgente per “chiedere chiarimenti a proposito del volo diretto a Khartoum con cui tra poche ore saranno rimpatriati dall’Italia decine di migranti sudanesi, senza che vi sia alcuna garanzia sulla loro incolumità”. Perché, si legge nel testo: “in Sudan, la tutela dei diritti umani non e’ garantita in alcun modo. Motivo per cui, nell’ultimo anno, molti cittadini di quel paese hanno chiesto protezione all’Italia e all’Europa, ottenendola nel 60% dei casi”. Quel che è certo – come ha denunciato Amnesty International – è che il governo italiano sta violando una norma fondamentale del diritto internazionale. Il principio di non refoulement previsto all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra: assunto che vieta il trasferimento di persone verso paesi in cui corrono un rischio concreto di subire persecuzioni, repressioni brutali e altri abusi. Non solo. Si ha notizia della presenza di agenti sudanesi in Italia che identificano i migranti provenienti dal Sudan in violazione – anche qui – della Convenzione di Ginevra, le cui norme vietano alle autorità di un paese straniero, di fare esaminare i richiedenti asilo da agenti di polizia provenienti dal paese di origine del rifugiato.

Diritto d’asilo, questo sconosciuto Tuttavia, nonostante le palesi violazioni – da parte di molti stati europei – delle convenzioni internazionali, la questione, più che di ordine giuridico appare tutta politica. Anche perché ai sudanesi rimpatriati è stato garantito l’accesso alla procedura di protezione. Soltanto che hanno rifiutato di chiedere protezione nel nostro Paese (forse perché progettavano un altro percorso migratorio, questo non lo sappiamo) e così sono stati espulsi.

È comunque l’intero impianto del provvedimento che si presta a dover essere contestato giuridicamente. Così come il ricorso ad accordi di rimpatrio con Paesi che sicuri non sono. “Dopo le denunce di Campagna welcome, i ricorsi degli avvocati contro i respingimenti, le interrogazioni parlamentari, e le storie raccontate da alcuni migranti sudanesi ed eritrei sui metodi a volte poco ortodossi della polizia nella presa delle impronte, ora stanno cercando di fare le cose in regola” ci racconta un operatore che nell’hotspot ci lavora, e che per questo sceglie di rimanere anonimo.

Infatti, diversi profughi, nei primi mesi di funzionamento dell’approccio hotspot, non hanno avuto accesso alla procedura, oltre che ad una adeguata informativa legale. Nei mesi successivi sono cominciati i respingimenti, ora le espulsioni. Il numero preciso non si conosce, non è stato ancora fornito nemmeno ai parlamentari che compongono la Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione e di espulsione. Quel che è certo è che tanti nigeriani, sudanesi, camerunensi, passati dall’hotspot di Taranto – da marzo ad oggi – sono stati destinatari poi di un provvedimento di respingimento o di espulsione. Si sa che centinaia di eritrei minorenni che hanno rifiutato il foto segnalamento, temendo di farsi prendere le impronte ed essere ”bloccati” così in Italia sono finiti ora nell’invisibilità, nella clandestinità. Nonostante la Commissione Europea – nell’Agenda europea delle migrazioni elaborata a maggio 2015 preveda espressamente che “debbano esistere modi sicuri di arrivare nell’Ue”, introducendo il programma di resettlment, il reinsediamento, cioè il trasferimento (con la collaborazione dell’Unhcr) di rifugiati dal Paese di primo asilo a un Paese terzo che ha accettato di accoglierli. Una misura di protezione prevista dal diritto internazionale già da decenni, che esita a farsi strada tra le politiche europee. Si pensi soltanto che a luglio 2015 il Consiglio dell’Ue ha stabilito di accogliere 22504 rifugiati, suddividendoli tra 32 Stati ( 28 membri più Liechtenstein, Islanda, Norvegia e Svizzera) secondo un criterio di proporzionalità, in base cioè al prodotto interno lordo e alla dimensione della popolazione. In base al programma di resettlement l’Italia si è impegnata ad accogliere il 10%, cioè 1989 rifugiati entro la fine del 2017.

Ma leggendo il Fourth report on relocation and resettlement, redatto a Giugno 2015 dalla stessa Commissione, scopriamo che soltanto 277 persone sono riuscite sinora ad entrare nel programma. Circa 7000 se si comprendono tutti gli stati europei. Accanto al reinsediamento, c’è un’altra soluzione alla questione profughi, che i governanti europei dovrebbero prendere in considerazione, quella dei “visti umanitari” da rilasciare a coloro che necessitano di protezione internazionale da parte delle ambasciate dei paesi membri. Anche questa misura è prevista dal corpus normativo dell’Unione; in particolare dal regolamento n.562 del 2006 sull’attraversamento delle frontiere, che prevede la “possibilità per i cittadini di paesi terzi di essere autorizzato ad entrare in uno qualsiasi degli stati membri per motivi umanitari o di interesse nazionale, infine in virtù di obblighi internazionali”. L’unificazione reale del diritto d’asilo europeo è una faccenda che si pone con urgenza, dunque. È una problematica la cui risoluzione – lo ribadiamo – necessita di una svolta politica e culturale. L’adozione di strumenti di apertura verso i rifugiati, come il reinsediamento o i visti umanitari, per esempio. Significherebbe accettare di accogliere un maggior numero di rifugiati in Europa. È questo un imperativo etico ma anche una risposta politica reale alla crisi del diritto d’asilo. Una sfida che i governanti dovranno far propria, senza cedere ai calcoli elettorali.

Minorenni, stranieri e soli. Sono tante le testimonianze dei migranti, raccolte negli ultimi mesi da attivisti, mediatori culturali ed operatori nei pressi dell’hotspot di Taranto, da cui emerge un quadro di assoluta desolazione. Voci raccolte lungo i luoghi di transito: stazioni di treni e autobus, ma anche strade a scorrimento veloce, dove donne, uomini e bambini si riversano senza una meta dopo il foto segnalamento, alla mercé di sfruttatori sessuali, caporali stranieri o semplici passeur. Ed è la questione minori la più pregnante. Loro, non tutti, sono sicuramente più “fortunati” dei 41 espulsi di qualche giorno fa. Non solo perché, secondo il Testo unico immigrazione, i minori risultano non espellibili “salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi”. E gli stessi possono essere titolari di un permesso di soggiorno che li autorizza a restare sul suolo italiano. Ma anche perché – come è accaduto a decine di minori conosciuti lungo il transito – ora sono stati accolti in alcune comunità sparsi per tutta la Puglia. Speranze, le loro, che ad ascoltarle sembrano tutte uguali. Storie di vita che raccontano di una profonda sofferenza. Ma anche di una grande dignità.

Non c’è dubbio che la questione dell’accoglienza ai minori stranieri non accompagnati necessiti di una nuova cornice legislativa. Dell’urgenza se n’è accorto anche il governo Renzi che, in pieno agosto, nella prima commissione diritti fondamentali e affari costituzionali della Camera, sta esaminando una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che modifica la normativa vigente sui minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, con l’obiettivo di rafforzare le tutele nei confronti dei minori e garantire un’applicazione uniforme delle norme per l’accoglienza su tutto il territorio nazionale. Sarà.

In verità, proprio in tema di accoglienza, il testo base adottato dalla Commissione introduce alcune importanti novità. Il principio di separatezza delle strutture di accoglienza riservate ai minori rispetto a quelle degli adulti e la durata massima di 10 giorni per le operazioni di identificazione. Tutte misure indispensabili per correggere le storture di un sistema, che proprio l’approccio hotspot e come esso stesso è concepito, continua ad alimentare. Bufale, dunque. L’incostituzionalità delle nuove misure è quanto ha denunciato lo scorso 28 Luglio l’Associazione di studi giuridici per l’immigrazione (ASGI) con una lettera indirizzata a diverse istituzioni, perché “con queste norme si rischia un trattamento di forte svantaggio dei Mnsa collocati nelle strutture ricettive temporanee rispetto ai minori italiani”. Lamentano i giuristi che è una previsione si pone in netto contrasto con la normativa nazionale e regionale sulle strutture di accoglienza per minori, la quale prevede il superamento degli istituti di grandi dimensioni a favore di comunità con dimensioni ridotte”. Così, i minori che resteranno nelle strutture ricettive temporanee da 50 posti, per molti mesi o addirittura anni – come la tendenza del sistema di governo sembra confermare – non potranno essere mai inseriti in percorsi di inclusione sociale, con gravi ripercussioni in termini di disagio psichico e marginalizzazione.

Più che Radio Palazzo Chigi allora, per comprendere realmente la pressione dell’urgenza migratoria, occorre ascoltare i racconti di quelli come Gomes, 16enne di nazionalità gambiana arrivato in Italia il 28 maggio di quest’anno dopo essere partito il 18 Marzo, attraversando Senegal, Burkina Faso, Niger, infine la Libia, paese in cui è rimasto a lavorare un mese, facendo lavori occasionali senza mai essere stato pagato. Gomes ha una madre e tre sorelle, non sa se siano ancora vive. Ipotizza che la minore sia morta, forse per le difficoltà di accesso al cibo: “o forse perché ammalate”. A Taranto – dove attualmente si trova – frequenta una chiesa cattolica. Per ora vuole solo studiare, giocare a calcio come faceva nel suo paese d’origine con gli amici, e racconta: “anche pregare un Dio che una parte della mia famiglia non voleva che pregassi”.

Anche Ibrahim è di origine gambiana e di religione cattolica. Anche lui ha sedici anni: “ho deciso di partire perché non mi sentivo più protetto da mio padre, quando non mi ha più pagato gli studi. Sono venuto in Italia due mesi fa; sbarcato vivo in una barca su cui alcuni sono arrivati morti”. Così racconta la sua esperienza di vita italiana: “una settimana fa sono fuggito dalla comunità in cui mi trovo perché desideravo raggiungere mio fratello che si trova in Germania”. È stata la sua famiglia a convincerlo ad andare via. Solo che una volta arrivato a Como in autobus, è stato bloccato dalla polizia di frontiera. Perciò “ho scelto di tornare a Taranto, nella comunità in cui mi trovo mi fido degli operatori, chiedo scusa per essere fuggito; con loro mi sento protetto e qui dentro ho molti amici. In più sto imparando bene l’italiano”.

Khalifa è arrivato al porto di Taranto il pomeriggio del 28 giugno 2016. Di anni anche lui ne ha sedici, ma è nato in Mali. Questo è il suo racconto di viaggio: “ero molto stanco e affamato, dopo aver viaggiato su un barcone per due giorni e due notti. Era affollatissimo, ma per fortuna siamo tutti sopravvissuti. Anche una donna incinta era con noi”. E di vita: “ sono fuggito dal mio Paese perché molto povero, ho sempre lavorato in campagna con mio padre dall’età di otto anni, nel terreno di sua proprietà”. Ma poi sbarcato in Libia venne arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. “In galera ci sono stato due mesi, poi quando sono uscito ho vissuto in un campo, dove abitavo e lavoravo”.

Abubakary ha da poco compiuto sedici anni e lungo il suo percorso migratorio in Libia è rimasto un anno, interamente passato in carcere: “mi hanno contestato il reato di immigrazione clandestina”. Racconta di aver viaggiato in mare per una settimana e dice: “ricordo soltanto di essere partito la notte, su di un’imbarcazione molto piccola. È proprio vero come dicono in Tv che durante il viaggio non ci si aiuta l’un l’altro”. E quasi con le lacrime agli occhi racconta che “quando sono andato via dal centro di accoglienza di Como per tornare a Taranto, i miei amici gambiani che erano con me mi hanno chiesto di poter venire qui, nella struttura dove vivo. Io gli ho detto che non era possibile”. Avrebbe dovuto dire ai suoi connazionali, anche che Taranto è una città che sa accogliere, certo; ma che l’isteria delle politiche migratorie europee l’hanno eletta a luogo di espulsione e respingimento. Una delle sedi del governo del confine e della polizia di frontiera. Contro cui si scagliano le soggettività e i corpi migranti in transito. Dalle carceri libiche ai punti caldi italiani.

@gaetanodemonte