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“È sfuggito di mano”: il tweet fuori controllo che ha spinto i siriani in Germania

Philip Oltermann e Patrick Kingsley, The Guardian - 25 agosto 2016

Photograph: Antonio Olmos for the Observer

Il tweet è stato inviato esattamente un anno fa (25 agosto 2015 n.d.R.) dall’Ufficio Federale per l’immigrazione e i rifugiati politici. Il messaggio recitava: “Da questo momento, la procedura di #Dublino non è più in vigore per i cittadini siriani”. Con 175 retweet e 165 “mi piace”, non sembra uno dei soliti contenuti virali. Ma in Germania se ne parla come il primo post su un social media a cambiare il corso della storia europea.

Il tweet, che si riferisce ad una legge UE firmata nel 1990 a Dublino, è stato interpretato dai più come un’effettiva sospensione della norma per cui il primo Paese europeo nel quale il profugo arriva è responsabile della gestione della sua domanda di asilo.

Fino a quel momento nel 2015, più di 300.000 richiedenti asilo avevano raggiunto l’Europa via mare – una cifra già il 50% superiore al numero record registrato nel 2014.

Sebbene sia chiaro che non è stato l’intervento dell’agenzia tedesca a dare origine alla crisi, il tweet ha reso la Germania una destinazione prioritaria per molti siriani che avrebbero altrimenti scelto altri Paesi europei, come la Svezia, che all’epoca offriva loro asilo a tempo indeterminato.

Il tweet ha dato l’impressione di confusione e perdita di controllo politico a livello istituzionale, dalla quale il governo di Angela Merkel ha avuto difficoltà a riprendersi. Dopo 12 mesi, politici e funzionari della macchina burocratica di Berlino stanno ancora cercando di capire come quella situazione abbia potuto verificarsi.

Quattro giorni prima dell’accaduto, Angelika Wenzl, funzionario governativo presso l’Agenzia per i rifugiati (conosciuta in Germania come BAMF), aveva inviato una comunicazione interna dal titolo “Norme per la sospensione della convenzione di Dublino per i cittadini siriani” diretta alle 36 sedi dell’Agenzia nel Paese; l’e-mail diceva che i siriani che avrebbero presentato richiesta di asilo in Germania non sarebbero più stati rimandati nel primo Paese europeo di arrivo.

Gli avvocati che lavorano con la BAMF hanno fatto notare che, al contrario di quanto sostenuto da alcuni, quest’azione non comporta una completa sospensione degli accordi di Dublino nel territorio dell’UE dal momento che la Convenzione dà ad uno Stato membro il diritto di gestire le domande d’asilo per conto di un altro Paese europeo.

La comunicazione interna di Wenzl è arrivata alla stampa attraverso canali che né funzionari né giornalisti sono ancora riusciti ad individuare. Tuttavia, un’inchiesta di Der Spiegel ha accusato Pro Asyl, la più grande ONG di sostegno all’immigrazione in Germania, di aver fatto trapelare la notizia. La stessa ONG si è difesa dichiarando di avere saputo della situazione solo dopo essere stata avvisata da alcuni giornalisti che cercavano di capire la nuova procedura.

Maximilian Pichl, consulente legale di Pro Asyl, ha dichiarato di essere uno dei molti avvocati che hanno inondato la BAMF di telefonate, chiedenfo all’agenzia di chiarire pubblicamente la propria posizione; ciò ha portato a quello che Die Zeit ha recentemente descritto come “il fatidico tweet”.

Più grazie al caro vecchio passaparola che al tasto “retweet”, il messaggio si è diffuso tra i profughi diretti in Europa e tra quelli che già aspettavano nelle strutture di accoglienza. “Per ora l’ha fatto solo un Paese – la Germania”, ha raccontato qualche giorno dopo al The Guardian un ingegnere petrolifero siriano mentre attraversava i Balcani. “Dove sono gli altri Paesi europei? C’è solo la Germania. Solo la Merkel”.

Il passaparola si è diffuso lungo la diaspora siriana, ingigantendo il significato e il valore del tweet governativo. “Ha detto che manderà delle navi dalla Turchia per salvare i siriani!” ha spiegato ingenuamente Maria, una siriana intervistata alla stazione di Vienna due settimane dopo l’accaduto.

Fino a metà agosto del 2015, in Ungheria sono stati registrati 150.000 profughi. Dopo il tweet della BAMF, molti si sono rifiutati di registrarsi, mostrando ripetutamente alle forze dell’ordine e alla polizia di frontiera il messaggio sui loro smartphone. L’ambasciatore ungherese in Germania ha poi dichiarato che, il giorno successivo al tweet, la polizia serba ha trovato migliaia di passaporti abbandonati dalla loro parte del confine. “Da quel momento, tutti i profughi erano diventati siriani”, ha raccontato Peter Györkös.

Quando Györkös ha chiamato il Ministero dell’Interno tedesco, i funzionari hanno detto di non essere a conoscenza del tweet. Il giorno dopo, in una conferenza stampa, il Ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maizière, ha spiegato come la sospensione degli accordi di Dublino non fosse “così legalmente vincolante”, ma più “una linea guida per la gestione delle pratiche”.

Qualche settimana dopo, il presidente della BAMF Manfred Schmidt ha presentato le dimissioni per “motivi personali”, anche se molti ritengono che vi sia stato costretto per aver causato una perdita di controllo politico nel governo.

Un anno dopo, le conseguenze a lungo termine del tweet si stanno lentamente facendo sentire. Ad aprile, la Commissione Europea ha annunciato un’ampia rioganizzazione del sistema di Dublino, il quale era stato ampiamente criticato dagli operatori legali per i diritti umani per la sua tendenza a scaricare il fardello delle richieste di asilo sui Paesi più poveri e periferici dell’UE, proteggendo così gli Stati membri più ricchi e senza accesso al mare.

Nonostante ciò, fonti vicine alla BAMF ricordano che l’intenzione del tweet non era di “silurare” la tanto invisa legge, ma di alleggerire il carico burocratico che pesava sull’Agenzia prima che la rendesse incapace di operare.

Secondo Gerald Knaus, il primo ideatore dell’accordo UE-Turchia e il capo del gruppo di esperti “European Stability Initiative”, il tweet non mirava a segnalare un radicale cambiamento nelle politiche, e non è stato scritto da funzionari esperti.

“È stato pensato come una dichiarazione ovvia – avevano già smesso di provare a rimandare indietro i siriani – e non si è pensato a come sarebbe stato interpretato”, sostiene Knaus. “È sfuggito di mano, perché ha confermato che chiunque fosse arrivato in Germania avrebbe potuto restare. Non è stata una decisione nuova, ma ha dato un segnale.

Knaus ha raccontato come in quel momento i funzionari tedeschi fossero divisi tra chi credeva necessario rimandare quella gente in Ungheria e che fosse possibile chiudere il confine tedesco, e chi pensava che ciò fosse materialmente impossibile e moralmente inaccettabile. Qualche settimana dopo, quando migliaia di siriani hanno deciso di spostarsi dall’Ungheria verso l’Austria e la Germania, la Merkel ha optato per la seconda soluzione.