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Salvate i rifugiati di The Berm

Jason Cone, The New York Times - 10 agosto 2016

Illustrazione: Adam McCauley

Per milioni di civili siriani intrappolati da cinque anni da una guerra instancabile, perfino l’assistenza più basilare è fuori portata, figuriamoci un rifugio. Ma per i 75.000 sfollati fermati alla desertica frontiera giordana con la Siria, la salvezza è a una manciata di chilometri. Perché allora sono stati a tutti gli effetti abbandonati?

Sono raccolti in una specie di zona cuscinetto, su una striscia di terra inospitale, perlopiù in territorio giordano, poco più a nord del confine giordano ufficiale. Ma quel confine è chiuso, il che impedisce agli aiuti di raggiungere questi disperati e allo stesso tempo non permette loro di cercare salvezza. Se si spostano, rischiano di essere respinti in Siria o di morire nel rigido deserto. Entrambe le opzioni sono moralmente intollerabili e completamente evitabili.

I rifugiati si sono ammassati in campi di fortuna in un’area conosciuta come “The Berm” (il terrapieno), chiamata così per le sue distintive barriere di sabbia, che delimitano una terra di nessuno lunga un miglio tra Siria e Giordania. L’area è costellata di basi militari, posti di blocco e pattuglie, insieme a vari gruppi armati siriani, alcuni dei quali si mescolano ai rifugiati.

Dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, l’area attorno al terrapieno è servita da porta di accesso alla salvezza in Giordania dall’implacabile violenza in Siria. Ma il 21 giugno, la Giordania ha chiuso il suo confine settentrionale dopo un attentato con un’autobomba avvenuto lo stesso giorno presso una base militare vicina.

Per le ultime sette settimane, le agenzie di assistenza situate in Giordania non sono riusciti ad arrivare al terrapieno. Alimenti adeguati, acqua e medicinali non hanno potuto raggiungere i rifugiati, proprio mentre le temperature estive si alzano vertiginosamente. Gli insediamenti estesi a macchia d’olio, dove mancano bagni e ricoveri dignitosi, sono popolati da roditori. Le tempeste di sabbia fanno a brandelli le tende improvvisate a cadenza regolare.

Con il confine chiuso, è stata tagliata una cima di salvataggio cruciale, minacciando morte per fame, malattia, calore eccessivo o complicazioni mediche trascurate. Nonostante un po’ d’acqua sia fornita da una conduttura rudimentale, non è chiaro quanti rifugiati possano usufruirne. E non si sa se un’apposita consegna di cibo la settimana scorsa, lasciata cadere sul terrapieno con delle gru, abbia raggiunto tutti coloro che ne avevano bisogno.

Ciò che è chiaro è che nessun tipo di assistenza sanitaria riesce a passare. Giusto questa settimana, Medici Senza Frontiere ha rilasciato dati allarmanti. I bambini soffrivano di diarrea e malnutrizione. Centinaia di donne in stato di gravidanza non ricevevano adeguate cure ostetriche. Molti erano afflitti da malattie respiratorie e infezioni della pelle, a causa delle dure condizioni di vita.

Ora, malattie contagiose come colera ed epatite A ed E minacciano di diffondersi. Ci sono rapporti di un peggioramento della malnutrizione. Persone con malattie che mettono a rischio la loro vita non possono uscire per ricevere cure.

Nel corso della guerra siriana, la Giordania ha dimostrato notevole ospitalità, accogliendo circa 700.000 rifugiati, aggiungendo un peso considerevole sul suo sistema sanitario e sugli altri servizi sociali.

Ma lasciare i rifugiati sul terrapieno non minaccia solo di rovinare l’ammirevole reputazione della Giordania. Continuare a mettere in pericolo le loro vite violerebbe le leggi internazionali che regolano la protezione e il trattamento dei civili costretti a spostarsi dalla guerra.

Nonostante si debbano considerare le legittime preoccupazioni militari e securitarie della Giordania, esse devono anche essere bilanciate con l’urgente imperativo di salvare delle vite. Si cominci a fare questo permettendo l’immediato ripristino delle operazioni umanitarie al terrapieno.

Anche le evacuazioni per motivi di salute devono ricominciare. Chi soffre di malattie gravi o è ferito dovrebbe poter attraversare il confine giordano per ricevere una cura.

Ma il riprendere delle operazioni di aiuto al terrapieno non è una soluzione a lungo termine. È inaccettabile lasciare delle persone a soffrire nel deserto. Il terrapieno non è un vero campo profughi. Mancano servizi essenziali come la fornitura di acqua pulita e di assistenza sanitaria, per non parlare della possibilità di richiedere asilo. La popolazione si trova anche pericolosamente vicina ad una zona di guerra attiva nella Siria meridionale.

Spostare le persone che hanno più bisogno di protezione, insieme a donne vulnerabili, bambini ed anziani, o in Giordania o in un altro paese sicuro, è l’unica opzione. I bisogni umanitari e legali dei rifugiati devono essere l’unico fattore preso in considerazione per risolvere le loro difficoltà.

A settembre, il governo degli Stati Uniti ospiterà un meeting sulla crisi globale dei rifugiati, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Tra gli obiettivi dichiarati dell’incontro, quello per i paesi di “raddoppiare almeno il numero dei rifugiati che vengono accolti o a cui vengono garantiti altri canali di ammissione legali e sicuri.