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Sulla fragilità del sistema di asilo italiano

di Louise Hunt, Irin - 15 agosto 2016

Foto: Oxfam Italia

Palermo, 15 agosto 2016

La chiusura delle frontiere nei Balcani e l’accordo tra UE e Turchia hanno portato ad una diminuzione significativa degli arrivi dei migranti e dei rifugiati in Grecia. In Italia, tuttavia, gli arrivi sono continuati ad un ritmo simile a quello dello scorso anno. Ciò che è cambiato è che sono meno numerosi quelli che raggiungono l’Europa del Nord. Risultato: il sistema italiano di accoglienza fa fatica a rispondere alla domanda e sono i migranti a pagarne il prezzo.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono 100.000 i migranti arrivati in Italia via mare dall’inizio del 2016. 1 Durante i mesi estivi sono sbarcati fino a 10.000 migranti alla settimana su delle scialuppe di salvataggio.

Il sistema di “hotspot” dell’Unione Europea, introdotto alla fine del 2015, doveva stabilire un certo ordine nella procedura di arrivo e mettere fine al caos di cui siamo stati testimoni nel pieno della crisi dei rifugiati lo scorso anno. Infatti, questo sistema è stato concepito soprattutto per distinguere rapidamente i cosiddetti migranti “economici”, che possono essere espulsi immediatamente, da quelli aventi il diritto di restare e di richiedere protezione internazionale.

Il nuovo approccio aveva inoltre l’obiettivo di facilitare la ricollocazione dei richiedenti asilo che confluiscono nei Paesi “di prima linea”, ossia Italia e Grecia, verso gli altri Stati membri dell’UE. Questi ultimi hanno infatti accettato di accogliere 160.000 persone entro il 2017.

Ora, il bilancio del programma di ricollocazione è catastrofico. A metà luglio, solo 3.056 persone erano state ricollocate, di cui soltanto 843 dall’Italia. Peraltro, tra gli individui identificati come migranti economici, sono numerosi quelli il cui rimpatrio non può essere organizzato facilmente a causa dell’assenza di accordi di riammissione con il loro Paesi d’origine.

L’UE esige ormai che siano rilevate le impronte digitali di tutti i nuovi arrivati, ciò significa che non possono più richiedere l’asilo politico in un altro Paese europeo senza rischiare di essere rinviati in Italia in virtù della Convenzione di Dublino.

Questa situazione, insieme a controlli più stretti alle frontiere di Svizzera e Francia, ha portato al raddoppio del numero di richiedenti asilo nel sistema di accoglienza italiano, raggiungendo le 140.000 unità.

Una situazione “impossibile”

Yasha Maccanico, ricercatore italiano che lavora per un organismo di sorveglianza delle libertà civili chiamato Statewatch, ha affermato che l’Italia si trova in una “situazione impossibile ed insostenibile”.

“La ricollocazione era l’obiettivo principale della creazione di questi centri di crisi, ma semplicemente non ha funzionato” afferma ad IRIN. “E, qualunque siano gli sforzi fatti dallo Stato per offrire infrastrutture di accoglienza adeguate, ciò non sarà sufficiente per rispondere all’afflusso in massa di migranti”.

L’approccio degli “hotspot” prevede l’identificazione e la registrazione dei migranti da parte di squadre mobili nei porti di arrivo o in uno dei quattro punti di crisi specializzati: tre si trovano in Sicilia, di cui uno nell’isola di Lampedusa e uno Taranto.

In realtà, meno della metà dei nuovi arrivati transita da questi centri e la maggior parte degli sbarchi avviene nei porti situati all’esterno delle zone servite da questi punti di crisi. Sotto la pressione della Commissione Europea, il Ministero degli Interni italiano sta creando delle ulteriori squadre mobili, ma, in attesa che queste siano pienamente operative, la maggior parte dei migranti viene trasferita in altre strutture affinché i loro casi possano esservi trattati.

Sappiamo che al momento almeno il 38% di tutti gli arrivi passano dai nostri punti di crisi”, afferma Carlotta Sami, portavoce di UNHCR. “Gli altri sono trasferiti in centrali di polizia per l’identificazione e nei centri di accoglienza situati in altri territori dove le agenzie (esterne) non sono presenti”.

L’UNHCR fornisce informazioni di base a quasi tutti i migranti e rifugiati che arrivano nei porti italiani, ma solo coloro i cui casi sono trattati negli “hotspot” ricevono informazioni dettagliate e di supporto da parte delle equipe che ci lavorano. “Coloro che sono trasferiti in altri centri non sempre hanno accesso a queste informazioni complementari”, afferma la signora Sami.


“È altrettanto importante che i migranti abbiano accesso ad un supporto giuridico solido negli hotspot e nelle posti di polizia, ma non sempre succede”.

Respingimento differito

Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia, è anche preoccupata per la crescente difficoltà di garantire ai migranti che sono trasferiti direttamente in altri centri di accoglienza del Paese un seguito per il trattamento dei loro dossier.
Teme che “i rilievi di impronte e le espulsioni si facciano in maniera molto dispersiva”, fatto che complicherebbe l’intervento di avvocati e gruppi di difesa dei diritti dei migranti.
Il rilascio massivo di respingimenti differiti che è seguito alla messa in pratica dell’approccio degli “hotspot” è all’origine delle sue preoccupazioni.

Oxfam Italia stima in effetti che più di 5.000 migranti originari di Paesi con basso tasso di riconoscimento dei richiedenti asilo – principalmente cittadini nordafricani e dell’Africa occidentale – abbiano ricevuto questo avviso tra settembre 2015 e il mese di marzo di quest’anno. Dopo il ricevimento dell’avviso, hanno sette giorni per lasciare il paese con i propri mezzi dall’aeroporto di Roma.

Secondo Fausto Melluso, che lavora per un’organizzazione di sostegno ai migranti chiamata Arci Palermo, la procedura ha obbligato migliaia di migranti ad entrare in clandestinità.

Il 90% degli individui coinvolti non hanno fatto appello a queste decisioni. Sono molto numerosi coloro che ora devono nascondersi dallo Stato e arrangiarsi per sopravvivere” afferma Melluso. In Sicilia, queste persone sono spesso sfruttate dalle reti criminali per lavori forzati nelle aziende agricole o per spaccio di droga.

La rivendicazione del diritto di richiedere protezione internazionale non è che la prima tappa di un processo di asilo interminabile che implica richieste, rifiuti e appelli e che può rimandarsi fino a due anni. “Le persone talvolta si deprimono enormemente mentre li si lascia nell’incertezza in questa maniera”, dice Melluso. È anche uno dei motivi che spiegano la saturazione del sistema italiano di accoglienza.

Far cambiare le cose

L’équipe della Clinica Legale per i Diritti Umani dell’Università di Palermo è riuscita a provare che i respingimenti effettuati comportavano dei vizi “di forma” e degli errori “sostanziali”.
Alcuni migranti hanno solamente ricevuto delle informazioni molto generali e relativamente inutili rispetto alla protezione internazionale. Altri non ne hanno ricevuto affatto”, afferma Elena Consiglio, ricercatrice e avvocato che fa parte dell’equipe.

In seguito ad una campagna nazionale intrapresa da avvocati e attivisti che denunciava le procedure, il Ministero ha finalmente adottato delle nuove linee direttive (.pdf) nel maggio scorso. Esse stabiliscono chiaramente che tutti i migranti hanno il diritto di richiedere protezione internazionale e di avere accesso ad informazioni relative a questo diritto, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Secondo le organizzazioni siciliane che operano coi migranti, il numero di avvisi di espulsione è fortemente diminuito negli ultimi mesi.

Ma non sono completamente spariti. Simon McMahon, ricercatore dell’Università di Coventry che attualmente indaga sull’approccio degli “hotspot” nel Sud Italia, ha segnalato che aveva sentito dire dagli attivisti in Sicilia che i migranti continuavano a riceverne.
Nell’ottobre scorso, ha incontrato dei migranti che erano stati trasferiti in centri di accoglienza situati in regioni isolate prima di vedersi consegnare delle ordinanze di espulsione. “Queste ordinanze erano utilizzate per far uscire le persone dai centri e far spazio ai nuovi arrivati. Si constata in effetti una importante mancanza di spazio” ha detto a IRIN.

Secondo McMahon, questa pratica si è perpetuata per rispondere ad alcuni bisogni a breve termine ma rischia di causare dei problemi a più lungo termine.

Ha aggiunto che era difficile valutare la portata del problema a causa del ritardo che spesso esiste tra la consegna delle ordinanze e la presa di contatto tra i loro destinatari e le organizzazioni di sostegno. “Si ignora se queste ordinanze vengano rilasciate su grande scala, ma sembra che lo siano su una base discrezionale…in funzione dei bisogni del momento delle autorità”.

Oxfam lavora attualmente in collaborazione con dei partner per capire quanti migranti ricevono il respingimento differito. Secondo i responsabili dell’organizzazione, il rilascio di questi avvisi sta creando “un nuovo gruppo di individui sensibili”.

  1. Al 2 settembre Il numero di arrivi in Italia è rimasto sostanzialmente stabile con circa 115.000 migranti sbarcati nel paese alla fine di agosto, in linea con i 116.000 arrivi registrati nello stesso periodo dello scorso anno (fonte UNHCR – ndr)