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Pestaggi e migranti morti in mare nel Mediterraneo centrale

Flore Murard-Yovanovitch, Diritti e Frontiere - 23 ottobre 2016

Pestati da bastoni e “fatti naufragare” in mare. Questa è l’essenza dell’attacco da parte di un motoscafo della guardia costiera libica, avvenuto venerdì 21 ottobre scorso, a un gommone con circa 150 migranti a bordo, mentre era in corso un’operazione di soccorso da parte dell’ong tedesca Sea-Watch.

L’operazione SAR, in coordinamento con la centrale operativa della guardia costiera italiana, era in atto a 14 miglia della coste libiche, quando agenti libici sono saliti a bordo del gommone e hanno a colpito violentemente i migranti con bastoni.

«L’attacco da parte dei libici ha creato una situazione di panico a bordo, uno dei tubolari del gommone è collassato provocando la caduta in mare della maggior parte delle persone», riporta il comunicato della Ong tedesca. Inoltre, gli equipaggi delle due imbarcazioni di Sea-Watch sono state violentemente minacciate impedendo ai tedeschi di fornire i giubbotti di salvataggio e l’assistenza medica immediata alle persone che ne avevano bisogno. I soccorritori di Sea-Watch hanno immediatamente cercato di mettere in salvo il maggiore numero di persone possibile, ma un numero ancora imprecisato di persone non ha potuto essere salvato. Quattro cadaveri sono stati finora recuperati da Sea-Watch 2 e altri feriti hanno ricevuto medicazioni. Circa 120 sono stati salvati a bordo della nave di Sea-Watch 2.
La stima provvisoria sarebbe quindi di circa una ventina di morti, ancora ufficialmente, dispersi (NdA).

Questa volta l’attacco da parte della guardia costiera libica o di un motoscafo della sedicente guardia costiera, non è stato solo un tentativo di intercettazione in mare di migranti, come avviene quotidianamente nella prassi, al limite delle acque territoriali, con il triste seguito delle deportazioni nei centri di detenzione -lager-libici, ma un attacco alle persone migranti che ha avuto come diretta conseguenza il loro naufragio; in acque internazionali, durante un’operazione SAR, che rispondeva alle regole precise d’intervento in mare sancite dal diritto internazionale, con la “copertura” del coordinamento della centrale operativa della Guardia Costiera che è di base a Roma. «Questo ultimo episodio di presunte unità ufficiali libiche non solo ha messo in pericolo l’equipaggio di soccorritori volontari, ma soprattutto ha causato la morte di molti migranti, e in questo momento non è chiaro perché la Guardia Costiera libica abbia intrapreso questa via» ha dichiarato Ruben Neugebauer. L’episodio è di una gravità straordinaria e l’Ong chiede che si faccia chiarezza su questa palese violazione del diritto internazionale del mare, mentre continua a chiedere ingressi legali e sicuri.

Nonostante il portavoce della Guardia costiera libica, Brig Ayoub Qassim, neghi il fatto di aver causato le morte dei migranti, secondo altre precise fonti giornalistiche riconosce di avere identificato e abbordato la nave dell’Ong tedesca. Quest’episodio di attacco ad una nave di soccorso nel Mediterraneo centrale non è un caso isolato. Già ad aprile scorso, e fuori dalle acque territoriali libiche, un’altra nave di Sea-Watch aveva subito un simile assalto da parte della guardia costiera libica che si era allora limitata a sparare in aria. Due componenti dell’equipaggio erano stati arrestati e portati a terra, per essere rilasciati dopo due giorni. Ma altri incidenti sono stati riportati dalle agenzie internazionali, il più noto, il caso del 17 agosto scorso nel quale si era verificato l’assalto a bordo, dopo una sparatoria, da parte della guardia costiera libica, che aveva preso di mira, una nave di soccorso di Medici Senza Frontiere, la Bourbon Argos. L’attacco era avvenuto in acque internazionali, a 24 miglia nautiche a nord della costa libica. «Uomini armati a bordo del motoscafo hanno sparato da una distanza di 400-500 metri verso la Bourbon Argos e poi sono saliti a bordo» riportava il comunicato di Msf, diffuso giorni dopo l’attacco. Il portavoce della Guardia Costiera libica, aveva allora negato di avere aperto il fuoco ma aveva riconosciuto lo scontro con la nave umanitaria (fonte The Guardian).
Tutti questi episodi segnano una pericolosa escalation in Mediterraneo, un mare ormai militarizzato, segnato da conflitti, e sul quale nessuno scrive più raccontando quello che succede veramente. Come avviene sempre in tempi di guerra.

Quelli che vengono definiti “incidenti”, tra la Guardia costiera libica e le navi umanitarie, sono infatti da leggere nel contesto di una crescente militarizzazione e controllo violento delle frontiere marittime europee. È da ricordare la recente inchiesta di The Intercept, “Shoot first”, pubblicata il 22 agosto scorso, basato sui log book degli incidenti riportati a bordo di navi Frontex, che svelava l’uso ricorrente di armi da fuoco da parte della guardia costiera, nel quadro delle operazioni di Frontex, con lo scopo di fermare imbarcazioni con rifugiati a bordo, tra il 2014-2015, nell’Egeo. Nel 2014 in una di questa operazione Frontex, nei pressi dell’isola di Chios, diversi rifugiati siriani furono feriti e un minore venne ucciso dopo che le guardie costiere greche aprirono il fuoco. 41 europarlamenti, tra cui Barbara Spinelli hanno chiesto conto al Direttore di Frontex, Fabrizio Legeri, dell’uso delle armi da fuoco come regola d’ingaggio nelle operazioni di pattugliamento della frontiera degli Stati membri. Legeri (.pdf) ha risposto e quanto dice non è affatto rassicurante.

Intanto il muro liquido armato, si arma di deleghe del diritto alla violenza anti-migranti. Come nel caso del nuovo Regolamento europeo che istituisce la nuova Guardia di frontiera e costiera europea, quella che dovrebbe costituire un ulteriore potenziamento dell’Agenzia Frontex. E per noi l’episodio dell’attacco in acque internazionali da parte della cd. Guardia costiera libica alla imbarcazione carica di migranti, è solo una delle prove, di un ulteriore tassello nel blocco dei migranti alla partenza, a tutti costi, che non esclude ormai neppure l’eliminazione fisica delle persone in mare.

Il 24 ottobre prossimo, inizierà da parte dell’Ue l’addestramento della guardia costiera libica nel quadro dell’operazione EuNavForMed e come stipula un MoU ( Memorandum d’intesa) firmato il 23 agosto scorso. Cento agenti libici saranno direttamente formati da militari europei, soldi e mezzi targati UE, come ai tempi degli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, quando vennero cedute nove motovedette italiane. Dell’attacco del 21 ottobre dei libici non ne vuole parlare nessuno, mentre qualcuno ipotizza addirittura che l’imbarcazione della Guardia costiera libica sia stata rubata. In Italia, prevale un generale silenzio stampa su tutto quello che sta succedendo in Libia, in mare come a terra.

La rotta dell’Egeo è stata bloccata con metodi di deterrenza violenta adesso si cerca di fare lo stesso a nord delle coste libiche. L’”incidente” del 21 ottobre scorso sembra parte della stessa strategia di contrasto delle migrazioni in vigore nel Mediterraneo centrale, ora che la rotta libica è rimasta il più consistente canale di ingresso in Europa. Quello che è certo è che le vittime aumenteranno in modo esponenziale anche perché gli stati non apriranno corridoi umanitari per garantire la salvezza a chi rimane intrappolato nell’inferno libico.