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Verifica dei fatti: l’Accordo UE-Turchia ha diminuito il numero dei migranti e delle morti alle frontiere?

Thomas Spijkerboer, Università di Oxford - 28 settembre 2016

Foto: Carmen Sabello (Idomeni, Grecia) #overthefortress

Il 18 marzo 2016 l’Unione Europea e la Turchia hanno concordato che tutti i migranti irregolari in arrivo sulle isole greche dovessero essere respinti in Turchia. In generale si ritiene che l’accordo abbia portato ad una drastica riduzione del numero di migranti irregolari, e di conseguenza del numero delle morti alle frontiere. Quest’idea è esemplificata dalla seguente citazione del secondo rapporto intermedio della Commissione Europea (.pdf) sull’applicazione dell’accordo UE-Turchia: ‘Il brusco calo dei numeri di migranti irregolari e richiedenti asilo in arrivo dalla Turchia alla Grecia è prova dell’efficacia dell’accordo e, in particolare, del fatto che il business dei trafficanti può essere contrastato. Il chiaro messaggio ai migranti è che non vale la pena rischiare la propria vita salendo su una barca in Turchia, quando esiste una via sicura e legale tramite il ricollocamento’.

Queste affermazioni sono corrette?

Se esistesse un nesso causale tra l’accordo UE-Turchia e il numero di migranti e di morti alle frontiere, ci si aspetterebbe una riduzione di entrambi i numeri in seguito all’entrata in vigore dell’accordo il 20 marzo 2015. Dato che l’accordo è stato annunciato con un po’ di anticipo, ci si sarebbe aspettati anche un aumento di entrambi i numeri poco prima di quella data, poiché presumibilmente molti migranti avrebbero tentato di entrare in Grecia prima dell’implementazione dell’accordo (il cosiddetto “effetto appena-in-tempo”).
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Figura 1: Arrivi mensili sulle isole greche gennaio 2015 – agosto 2016 (Fonte: Unhcr: comparazione arrivi mensili in Grecia via Mar Mediterraneo)

I dati di UNHCR riguardo al numero di arrivi giornalieri sulle isole greche (figura 1) indicano un picco di 221,374 arrivi ad ottobre 2015. Dopo questo incremento, il numero di arrivi comincia a scendere in maniera abbastanza costante. L’analisi dei dati sugli arrivi settimanali (figura 2), più dettagliata, non indica che l’andamento decrescente si sia intensificato dopo il 20 marzo 2016. L’andamento è decrescente, e questo andamento generale non è influenzato dall’accordo. Tuttavia, i dati settimanali mostrano l’aumento previsto per il periodo appena antecedente la conclusione dell’accordo (il picco di 20,717 arrivi in una settimana il 24 febbraio 2016). Ciò indicherebbe la realizzazione del cosiddetto “effetto appena-in-tempo”, secondo il quale molti migranti, essendo a conoscenza dell’imminente entrata in vigore dell’accordo, avrebbero deciso di varcare il confine prima di poter essere soggetti ai provvedimenti in esso contenuti. In alternativa, questo leggero aumento potrebbe essere interpretato come una semplice irregolarità nell’andamento decrescente dei flussi, costante fin da ottobre 2015. In sintesi, l’accordo UE-Turchia non presenta alcuna influenza chiaramente identificabile sul numero generalmente decrescente degli arrivi nell’Egeo. Verosimilmente, ha portato ad un aumento temporaneo dei flussi nelle settimane precedenti l’entrata in vigore.
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Figura 2: Arrivi giornalieri sulle isole greche, ottobre 2015 – agosto 2016 (Fonte: Unhcr: stima degli arrivi giornalieri – flussi tramite la rotta dei Balcani occidentali e l’italia, 4 settembre 2016).

Per quanto riguarda il numero delle morti alle frontiere durante lo stesso periodo, si rilevano picchi a settembre-ottobre 2015 e un picco ancora più alto a dicembre 2015 – gennaio 2016. Si nota poi un brusco calo a febbraio-marzo 2016, seguito da un’ulteriore diminuzione dopo marzo 2016.
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Figura 3: Morti alle frontiere nel mediterraneo orientale gennaio 2015-agosto 2016 (Fonte: IOM missing migrants project)

Questi dati sono più difficili da interpretare rispetto a quelli sul numero degli arrivi. In primo luogo, il numero degli arrivi registrati (figure 1 e 2) non è direttamente correlato al numero di morti registrate (figura 3). Questo potrebbe indicare una mancanza di relazione tra arrivi reali e morti reali (nel qual caso il tasso di mortalità sarebbe variabile). Oppure potrebbe essere che una o entrambe le fonti di dati siano imperfette. In questo caso si tratterebbe con più probabilità del numero di morti, visto che questo dato si è dimostrato spesso problematico e poco affidabile. In secondo luogo, i dati sulle morti alle frontiere rivelano un declino in seguito ai picchi di settembre-ottobre e dicembre-gennaio, entrambi precedenti l’accordo UE-Turchia. I dati sulle morti alle frontiere non escludono un effetto supplementare dell’accordo, ma si tratterebbe di un effetto minore in aggiunta ad un precedente declino, indipendente e ben più considerevole. Terzo, il presunto effetto positivo dell’accordo sul numero delle morti alle frontiere è stato collegato (ad esempio nel report della Commissione Europea citato sopra) al numero ridotto delle traversate. Tuttavia, come detto sopra, l’accordo UE-Turchia non ha avuto nessun effetto generale identificabile su quest’ultimo dato. Pertanto, è improbabile che il piccolo sviluppo positivo riguardo al numero delle morti alle frontiere possa essere collegato all’accordo UE-Turchia.

Si potrebbe obiettare che l’accordo, pur non avendo portato ad un declino del numero di arrivi, abbia però contribuito a prevenire l’aumento di arrivi previsto per l’estate 2016. Sicuramente, il fatto che il numero di arrivi sulle isole greche sia rimasto così basso durante tutto il 2016 è degno di nota. I dati della figura 2 cominciano ad ottobre 2015 e simili dati giornalieri non sono disponibili per il periodo precedente. Ciononostante, esaminando i dati mensili (figura 1) si osserva come il numero di arrivi del 2016 sia conforme alla situazione antecedente l’estate 2015, periodo in cui il numero di arrivi era ancora più basso di oggi. È perciò più plausibile considerare il picco di ottobre 2015 come un’eccezione da spiegare. L’unico effetto che l’accordo UE-Turchia sembra aver avuto, è stato semplicemente quello di rinviare il ritorno al consueto basso numero di arrivi (grazie all’“effetto appena-in-tempo”).

Pertanto, non esiste alcuna relazione identificabile tra l’accordo e il numero di migranti che attraversano l’Egeo dalla Turchia alla Grecia. Il declino dei numeri precede l’accordo e con questo non ha nessuna relazione identificabile (tranne, possibilmente, un aumento temporaneo nelle settimane precedenti la conclusione dell’accordo). I dati sui numeri delle morti alle frontiere mostrano un piccolo sviluppo positivo dopo marzo 2016, ma è improbabile che questo sia connesso all’accordo UE-Turchia.

La chiusura della rotta balcanica via terra ha portato alla riduzione del numero delle richieste d’asilo nell’UE?

Si potrebbe obiettare che non sia stato tanto (o non solo) l’accordo UE-Turchia a portare ad una riduzione dei numeri, quanto piuttosto la chiusura delle frontiere terrestri nei Balcani occidentali. Il 18 novembre 2015 Macedonia, Serbia e Croazia hanno cominciato a limitare il passaggio attraverso le loro frontiere, permettendo l’entrata solo ai richiedenti asilo da Siria, Iraq e Afghanistan. Queste misure sono state adottate in seguito alla decisione della Slovenia del giorno precedente, per cui non sarebbero più stati ammessi richiedenti asilo e migranti provenienti da altri Paesi, come Iran, Eritrea, Somalia, Libia, Pakistan, Marocco e Algeria. Il 21 gennaio 2016 le autorità macedoni hanno aggiunto un requisito ulteriore, lasciando passare profughi siriani, iracheni e afghani solo se intenzionati a continuare il loro viaggio verso Austria e Germania. Il confine macedone è stato poi completamente chiuso il 9 marzo 2016, bloccando quindi la rotta balcanica. Ciò significa che la chiusura della rotta balcanica è avvenuta gradualmente, tra novembre 2015 e marzo 2016.

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Figura 4: prime richieste d’asilo di tutte le nazionalità tranne afghani, iracheni e siriani nei 28 stati membri dell’Ue (Fonte: Eurostat)

Supponendo che la chiusura della rotta balcanica abbia portato alla riduzione del numero delle richieste d’asilo in Europa, ci si aspetterebbe una diminuzione del numero di richiedenti asilo non provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan dopo il 18 novembre 2015 (dati nella figura 4). Il numero di richieste d’asilo escludendo afghani, iracheni e siriani ha raggiunto il massimo nel periodo tra luglio e ottobre 2015. A novembre aveva cominciato a diminuire, ma questa riduzione è probabilmente troppo precoce per poterla collegare all’inizio delle restrizioni alle frontiere del 18 novembre. Tuttavia l’andamento negativo ha continuato durante dicembre e gennaio, dopodiché il numero di richieste ha ripreso nuovamente a salire. Questi dati sono inconcludenti e possono portare a due diverse interpretazioni. Per esempio, si potrebbe concludere che a dicembre 2015 e gennaio 2016 la chiusura delle frontiere abbia avuto un effetto supplementare su una diminuzione che era già cominciata in precedenza. Oppure, si potrebbe concludere che la diminuzione fosse iniziata prima della chiusura delle frontiere e che la curva non indichi nessun effetto supplementare dovuto alla chiusura dei confini; la chiusura delle frontiere e la diminuzione dei numeri non sarebbero quindi collegati.

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Figura 5: prime richieste d’asilo di tutte le nazionalità nei 28 stati membri dell’UE (Fonte Eurostat)

Dato che anche afghani, iracheni e siriani hanno cominciato ad essere interessati dalle restrizioni alle frontiere dopo gennaio 2016, ci si aspetterebbe una diminuzione di tutte le richieste d’asilo (incluso quelle da parte di siriani, iracheni e afghani) dopo il 21 gennaio 2016 e in ogni caso dopo il 9 marzo 2016 (dati nella figura 5). In realtà, questo non è ciò che indica la figura 5. Il più alto numero di richieste d’asilo è stato registrato a settembre e ottobre 2015. Dopo gennaio 2016 il numero di richieste rimane lo stesso e addirittura aumenta leggermente, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe.

Considerando questi due dati insieme, è possibile sostenere che i dati riguardanti l’effetto dell’inizio delle chiusure dei confini a novembre 2015 sono inconcludenti; i dati riguardanti l’effetto della chiusura dei confini per afghani, iracheni e siriani contraddicono la teoria secondo la quale la chiusura delle frontiere è collegata alla riduzione del numero delle richieste d’asilo. Quindi, nel complesso, risulta inverosimile che la chiusura della rotta balcanica sia collegata alla riduzione del numero di richieste d’asilo in Europa.

Esistono spiegazioni migliori riguardo al declino del numero di arrivi e morti alle frontiere? (per un’analisi del numero di arrivi inizialmente crescente e in seguito decrescente, potete leggere il mio post qui)

Gli sviluppi circa il numero di morti alle frontiere è l’oggetto di una ricerca continua da parte della mia collega Tamara Last. Una delle sue conclusioni è che i set di dati basati sui media, come i dati di IOM usati in questo post, siano molto problematici. Ciò è dovuto in parte al fatto che molti corpi non vengono mai trovati e molti migranti muoiono senza essere denunciati alle autorità o ai media. D’altro canto i set di dati basati sui media riflettono cambiamenti dell’attenzione mediatica, così come cambiamenti del numero di morti. Per questo motivo è cruciale usare una varietà di fonti. Oltre ai set di dati basati sui media, diffusi in organizzazioni (non-) governative e sui media, è fondamentale servirsi anche di dati ufficiali basati sui registri civili. Last ha svolto questo tipo di ricerche fino al 2013, ma il nostro appello affinché i governi raccolgano i dati dalle proprie fonti (i registri civili digitalizzati) per il periodo dal 2014 ad oggi, è stato ignorato. Senza un’analisi approfondita basata su molteplici fonti di dati sarà impossibile trovare una spiegazione migliore riguardo agli sviluppi del numero delle morti alle frontiere.

Qual è la rilevanza politica di tutto questo?

L’accordo UE-Turchia è ampiamente considerato una misura effettiva di gestione dei flussi migratori poiché è riuscito a ridurre il numero di arrivi. Recentemente la Cancelliera Merkel ha dichiarato di volere accordi sui rifugiati anche con Egitto e Tunisia. L’analisi dei dati statistici presentata qui dimostra che la diminuzione del numero di arrivi precede l’accordo UE-Turchia e che, se l’accordo ha avuto qualche effetto, questo sarebbe l’interruzione temporanea di tale diminuzione. Se quest’analisi è corretta, ciò significa che i governi non dovrebbero avere fiducia nell’efficacia di politiche come l’accordo UE-Turchia per il controllo dei flussi migratori.

Inoltre, l’accordo è stato concluso a scapito di valori fondamentali per la società europea. Infatti, da un lato è stato concluso senza chiedere il consenso del Parlamento Europeo e senza permettere alla Corte di Giustizia di esprimersi al riguardo, minando così valori costituzionali dell’Unione Europea. Dall’altro, l’accordo risulta in forte contraddizione con il principio di non refoulment e il divieto di espulsioni collettive. Se uno strumento politico come l’accordo UE-Turchia non presenta alcun beneficio riconoscibile, quanto piuttosto mina valori fondamentali, probabilmente significa che tali strumenti non dovrebbero essere applicati. Per di più uno strumento politico di questo tipo dà origine a relazioni complicate con il paese terzo interessato (oggi con la Turchia, in futuro potenzialmente con Egitto e Tunisia). Se accordi sui rifugiati come quello tra l’UE e la Turchia non contribuiscono all’attuazione delle politiche europee e presentano effetti negativi come illustrato sopra, l’Unione Europea non dovrebbe pensarci due volte prima di concluderli?