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La rotta balcanica non si arresta – March of Hope, parte terza

di Maddalena Avon

Fotografie tratte da @BelgradeUpdates

Il muro di Erdogan, l’accordo UE-Turchia, il filo spinato sempre più presente e polizia in antisommossa ad ogni confine.
È questo il raccapricciante dipinto europeo che ci si presenta davanti. A marzo 2016, con la firma dell’accordo in materia di immigrazione tra UE e Turchia, si annuncia de facto la chiusura della rotta balcanica. La regione intera diventa così tappa obbligatoria per tutti coloro che sono già sbarcati su territorio europeo: le autorità tedesche dichiarano che, al momento, almeno 77.000 migranti sono bloccati nella regione balcanica, di cui 62.000 in Grecia e almeno 6.300 in Serbia.
In particolare, la situazione a Belgrado è tesissima: la mattina di giovedì 10 novembre, prima dell’alba, 300 agenti di polizia in tenuta antisommossa hanno circondato l’intera area attorno alla stazione centrale, sgomberando con la forza i magazzini dentro i quali vivevano più di 700 migranti. Da lì hanno poi forzato le persone a salire su degli autobus diretti a Presevo, un centro di detenzione al confine macedone dal quale avvengono ripetuti respingimenti di dubbia regolarità, oltre che di inaccettabile legittimità. Nel mentre, le autorità serbe hanno vietato alle varie iniziative solidali di fornire qualsiasi tipo di aiuto ai migranti e rifugiati nel centro di Belgrado.

La reazione dei migranti è stata di nuovo forte e decisa: più di 150 persone hanno organizzato l’ennesima protesta contro la chiusura dei confini, questa volta mettendosi in marcia sull’autostrada verso il confine croato – la volta precedente, a luglio, avevano intrapreso determinati la via per il confine ungherese. La cosiddetta “March of Hope”, cominciata giovedì pomeriggio, ha proseguito per 35 km, sotto la pioggia e senza cibo, scortati da tre camionette e svariate automobili della polizia. Le stazioni di servizio sull’autostrada erano tutte incredibilmente chiuse, impedendo di fatto ai migranti di rifocillarsi.

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Nonostante le basse temperature e le continue pressioni, la protesta ha continuato con forza e determinazione per la libertà di movimento e contro le politiche della fortezza Europa, raggiungendo la città di Šid, 6 km dal confine serbo-croato, a mezzanotte. Immediato il supporto da parte degli abitanti della città. La mattina di domenica 13 novembre la marcia ha continuato il cammino, decisa a percorrere quegli ultimi 6 chilometri prima del confine: i migranti si sono mossi prima sui binari del treno, successivamente nei campi, per poi tornare sull’autostrada.
Arrivati al confine, nella cosiddetta “no ones land”, passeranno 19 ore alle porte d’Europa, con la polizia serba che vieta distribuzione di cibo, coperte, assistenza medica o l’accensione di qualsiasi tipo di fuoco per scaldarsi. Lunedì 14 novembre, gli scontri con la polizia. Gli attivisti vengono allontanati brutalmente dalla polizia, così come giornalisti e ONG, mentre il resto delle persone viene circondato dagli agenti serbi.
Nel frattempo, le dichiarazioni del ministro dell’interno croato Vlaho Orepic non si fanno aspettare: “il confine croato verrà protetto, e nessuno entrerà nel nostro paese illegalmente”.
Dopo ore di scontri e grida di protesta, la marcia nel pomeriggio è ritornata verso la città di Šid: l’idea di tornare a Belgrado con il treno è stata però subito ostacolata: o 500 dinari per salire sul treno, o direttamente la destinazione sarebbe stata il centro di detenzione di Presevo al confine macedone.
Alle 4 del mattino di martedì 15, i migranti sono riusciti a salire tutti sul treno verso la capitale, dove sono arrivati poco dopo.

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Ancora una volta, migranti si trovano di fronte alle porte chiuse dell’Unione Europea, che continua inesorabile a riprodurre un sistema in cui merci e comunicazioni attraversano i confini, ma le persone no, con le loro idee ed i loro diritti. Un confine esterno che vuole filtrare e selezionare chi o cosa è degno di entrare nella cosiddetta area di libertà, sicurezza e giustizia, che però parla molto poco di libertà e diritti.

– Video, foto e tweet dalla marcia: https://twitter.com/BelgradeUpdates

Maddalena Avòn

Sono Maddalena Avon, vivo e lavoro a Zagabria dopo essermi laureata a Bologna con una laurea in Relazioni Internazionali specifica su studi e ricerca sull’est Europa.
Lavoro al Centro studi per la Pace di Zagabria e sono attiva in diversi collettivi nella regione come quello dell'Iniziativa Welcome!
Mi occupo di supporto diretto dei migranti e richiedenti asilo in Croazia, lavorando più nello specifico sul monitoraggio e la denuncia dei pushback e le violenze ai confini.