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Verona – Protesta dei rifugiati eritrei: la relocation non funziona

Le reazioni cittadine alla protesta legittima di martedì 29 novembre

Photo credit: Corriere del Veneto

“Verona, scoppia il caso profughi”, intitola il giornale L’Arena in merito ai fatti accaduti lo scorso 29 novembre sulla circonvallazione che collega Viale dei Partigiani con Lungadige Nicola Pasetto.
Ventinove profughi eritrei residenti al centro per migranti di Costagrande hanno bloccato per circa due ore il traffico cittadino, seduti sull’asfalto e manifestando in modo pacifico, per denunciare la loro situazione attuale.

We are refugees, we are eritrean, we need relocation, let us go. Chiedevano, in quanto eritrei, di essere ricollocati nei paesi dell’UE, ma da più di 8 mesi sono bloccati sulle colline di Avesa, lontani dal centro cittadino e con i documenti trattenuti in Questura.

Costagrande è il frutto di un accordo di accoglienza straordinaria tra prefettura, un ente privato (Costagrande SRL) e una cooperativa. Su una media di 350 profughi ospitati (attualmente pare siano 500) il rapporto operatore-profugo è di circa 1 a 80.

Ad oggi nessuno può entrarci per monitorare come viene svolta l’accoglienza.
Formalmente si presenta come un CAS, ma di fatto è un hub. Gli hub hanno la funzione di predisporre una prima forma di accoglienza ai richiedenti protezione internazionale che sono già stati sottoposti alle procedure di foto segnalamento e primo screening sanitario e che abbiano espresso, nella fase di primo intervento, la volontà di chiedere asilo. Dovrebbero funzionare come centri di smistamento, giusto il tempo di trovare un’accoglienza più dignitosa, che offra servizi adeguati e migliori possibilità di inserimento sociale. Non un limbo d’attesa senza fine.
E a Costagrande sono accolti sia coloro che rientrano nel programma di relocation (secondo la procedura siriani ed eritrei in attesa di essere trasferiti in altri paesi dell’UE), sia tutti gli altri.

Sul luogo della protesta, oltre agli automobilisti inferociti per il disturbo momentaneo, si sono presentate le forze dell’ordine per dirigere il traffico e cercare di persuadere i manifestanti a fermare la protesta; più preoccupante è stata la presenza di un manipolo di estremisti di destra che monitoravano la situazione.

Gli eritrei, irremovibili, hanno ottenuto un incontro di una loro delegazione con il capo di gabinetto della Prefettura Alessandro Tortorella, il quale ha spiegato come il sistema di relocation attualmente sia impantanato a livello europeo, aggiungendo che né la prefettura né lo Stato Italiano possono intervenire in loro aiuto. I cittadini eritrei dopo aver ottenuto l’incontro hanno deciso di sciogliere la protesta. Nonostante questo la questura ha deciso comunque di denunciarli.
La situazione si è quindi normalizzata e il traffico cittadino ha potuto riprende il suo scorrere frenetico.

Differente invece è la risposta politica che arriva dai vari esponenti cittadini, primo fra tutti il sindaco Tosi che commenta l’accaduto tacciandolo come un’ “azione violenta” che non è ammissibile da parte di persone che sono “ospiti sul nostro territorio”, rilevando come chi sia accolto a spese della comunità ma che “non si comporta correttamente e crea disagi deve essere messo fuori dai programmi di protezione e allontanato da Verona”. Non diverse sono le esternazioni di Lorenzo Fontana, vicesegretario federale della Lega Nord, che non concepisce come “cittadini onesti, che lavorano e pagano le tasse, siano bloccati da una manifestazione non autorizzata inscenata da finti profughi” che vanno quindi “denunciati e rimpatriati in Africa a spese loro”.

Sulla stessa linea anche Massimo Giorgetti, di Forza Italia e vicepresidente del Consiglio regionale: “L’Italia non piace ai profughi? Ne siamo felici, andatevene pure”, non mancano nemmeno le polemiche del Comitato “Verona ai Veronesi” che si definisce apartitico, ma alla cui testa da mesi sfilano per i comuni della provincia veronese membri degli ambienti estrema destra e di Forza Nuova. Gli stessi “apartitici” inneggiano alla chiusura dei centri di accoglienza, al rimpatrio forzato, alla chiusura delle frontiere, utilizzando il logoro slogan “stop invasione”.

La stampa locale non è riuscita ad andare oltre il mal di pancia causato da questo “disagio”, continuando anzi ad alimentarlo.
La classe dirigente politica veronese si è espressa al riguardo senza mai entrare nel merito della questione centrale, ovvero quella del ricollocamento, ma scaricando le colpe su piani più alti, intrecciando questi fatti solo con gli umori dei cittadini infastiditi, attaccando il governo Renzi e il piano Alfano, e proponendo come unica soluzione l’allontanamento e le denunce penali.

Assurdo e non giustificato è pertanto l’accanimento di una figura istituzionale come quella del sindaco Tosi, che avvalla la denuncia di una manifestazione non autorizzata di trenta profughi, ma permette cose ben più gravi e preoccupanti, come ad esempio che un volantinaggio di Lotta Studentesca diventi un corteo non autorizzato davanti ad una scuola di studenti per lo più stranieri, come successe lo scorso 9 giugno all’ENAIP di via Lungadige Galtarossa. Meschina è l’esternazione che definisce la protesta “violenta” quando nella realtà si è trattato di un sit-in di persone pacifiche, che non hanno altra possibilità se non quella di “attirarsi” in qualche modo le telecamere addosso per farsi ascoltare.

Il sindaco usa evidenti lenti sfocate visto che definisce bravi ragazzi gli ultrà dell’Hellas Verona, curva che da sempre arricchisce di violenza e fascismo la cronaca veronese. Ma ciò che spaventa di più è la risposta del tessuto cittadino che da anni è ormai saturo e pregno di razzismo da bar e di propaganda leghista, e trova sempre un nemico verso cui scagliare i propri rancori e patologie, alimentando quel conflitto sociale che assume sempre di più le vesti di una guerra fra poveri.

Pertanto non risulta difficile comprendere come a Verona non si riesca, o non si voglia, avere una visione d’insieme che consideri questi fatti anche alla luce del sempre maggiore dispiegamento di forze dell’ordine che si sta avendo sull’asse Verona-Brennero.

Da mesi questa militarizzazione vede la presenza fissa di forze dell’ordine alla stazione di Porta Nuova che non lasciano salire sui treni i migranti dotati di biglietto, ma privi di un documento di viaggio. Controlli, è bene ricordarlo, che indirettamente hanno causato la morte sui binari di due giovani migranti la scorsa settimana: Abeil, un minorenne eritreo travolto a Bolzano sui binari mentre cercava di nascondersi su un vagone merci per oltrepassare la frontiera, e una giovane profuga, non ancora identificata, dilaniata a Borghetto mentre di notte camminava spaesata a fianco dei binari. Probabilmente la ragazza era stata fatta scendere dal treno e lasciata sola.

Queste morti e la manifestazione di martedì hanno dei nessi che i media e i politici trascurano e tengono silenziati.

Ci troviamo di fronte ad una volontà politica generale che non si approccia al fenomeno migratorio ricercando delle soluzioni adeguate e in grado di smuovere gli equilibri europei, né per favorire procedure che potrebbero agevolare il movimento delle persone, né tanto meno per attuare politiche di vera inclusione e accoglienza degna. Invece, qualsiasi istanza di autodeterminazione che proviene dai migranti e dalle persone solidali con loro viene bollata come “violenta“, o peggior ancora repressa come è avvenuto a Ventimiglia, negli hotspot del sud Italia e nelle altre zone di confine a nord. Su queste violazioni il rapporto di Amnesty “Hotspot Italia” da un quadro completo che vale la pena di citare.

Tornando al piano cittadino, rimane solo la speranza che da quel luogo dov’è avvenuta la manifestazione, crocevia tra un lungadige che porta il nome di un picchiatore fascista, poi politico di professione e deputato 1, e di un viale che ricorda la lotta partigiana, quasi a volerlo fare apposta, nasca uno stimolo di riscatto umano che coinvolga assieme cittadini veronesi e migranti in una lotta per la libertà ed i diritti.

  1. Nicola Pasetto è stato un leader degli ultrà veronesi. Nel 1981 aggredì tre giovani militanti di sinistra che stavano attaccando dei manifesti contro la pena di morte. I tre ebbero 20, 10 e 3 giorni di prognosi. Fu condannato a 9 mesi per violenza privata più una multa e un altro mese per il porto di armi improprie. In appello fu amnistiato per il primo reato e assolto per insufficienza di prove per il secondo.