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Ai nuovi CIE preferiamo la piazza – Il 25 gennaio a Roma presidio di protesta contro il “pacchetto Minniti” sull’immigrazione

di Roberto Viviani, Baobab Experience

Il presidio di protesta

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Mercoledì 25, il Ministro degli Interni Marco Minniti sarà impegnato davanti alla Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio per presentare il suo “pacchetto” di azioni relative all’immigrazione. Dopo questo incontro, si recherà alla Conferenza Stato-Regioni per illustrare lo stesso pacchetto e incassare la collaborazione delle istituzioni territoriali, necessarie alleate per trasformare in pratica le politiche proposte dal Viminale.

Per questo Baobab Experience domani sarà in piazza del Pantheon dalle 14e30 per un presidio di protesta (“La vita vale più di una frontiera”, qui l’evento facebook) convocato dalla rete RomaAccoglie e che vede l’adesione di più di 40 collettivi ed associazioni.
Andremo a ribadire come le proposte del Ministro non sono nient’altro che la riproposizione di pratiche inumane e fallimentari, idee anacronistiche che hanno il solo obiettivo di parlare alla pancia degli italiani e rifiutare, ancora una volta, di affrontare il fenomeno migratorio in maniera organica e votata ad una convivenza che possa portare benefici per tutti.

Preparare il terreno della repressione con la narrazione tossica

Il 4 Dicembre in molti festeggiavano la caduta del governo Renzi. Il “No” raggiungeva quasi il 60% (col 65,5% di affluenza), e in tanti invocavano il cambiamento, chi davanti alle telecamere, chi in strada.

Invece da quella notte ha preso vita un governo fotocopia del precedente, con tutte le maggiori cariche ancora lì, nello stesso identico posto o poco più in là. Niente sembrava mutato, o quasi: Alfano veniva “promosso” agli Esteri e il suo posto al Viminale veniva preso da Marco Minniti, uomo di governo ed incarichi istituzionali già dal 1998, quando era sottosegretario alla presidenza del consiglio nel primo governo D’Alema, proprio quel governo che negò l’asilo politico ad Abdullah Ocalan, ancora oggi costretto all’ergastolo in Turchia.

In questo mese e mezzo, effettivamente poco è cambiato nella linea di governo: il profilo mediatico è stato tenuto basso (con le sparate di Poletti utili a distogliere l’attenzione dai provvedimenti salvabanche) con l’eccezione del faro tenuto solo sulle nuove proposte del ministro degli Interni.

Sull’onda emotiva dell’attentato di Berlino, la stampa filo governativa (Repubblica e L’Espresso su tutti) ha iniziato a preparare il terreno dell’opinione pubblica alle “nuove” politiche in materia di immigrazione.
Un paese, una stampa ed un governo razionale, sapendo che il giovane attentatore si è “radicalizzato” nelle carceri italiane, avrebbero avviato una discussione e una proposta di riforma del sistema di detenzione, evidentemente fallimentare.
Invece si è preferito cavalcare l’onda della paura e cercare di sfruttare il tutto per riproporre la vecchia regola del povero contro povero.
La propaganda continua: ieri, Repubblica.it ci teneva a sottolineare innanzitutto che Faye Dame, l’uomo nato in Senegal e disperso sotto la valanga di Rigopiano, è incensurato.

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Il 4 gennaio, invece, Massimo Giannini, in questo editoriale su Repubblica, si spalmava a terra e ci informava che nel piano del ministro degli Interni “si coglie anche il tentativo di coniugare la domanda securitaria degli italiani (che nessuno su questo giornale ha mai messo in discussione)”.

L’Espresso rilanciava l’11 Gennaio con una traduzione a dir poco distorta del “Global Risks Report 2017” redatto dal World Economic Forum ed equiparava le migrazioni a disastri climatici:

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(Nel rapporto originale, le migrazioni forzate sono presentate come sfida globale e legate a doppio filo a disuguaglianza, cambiamenti climatici e conflitti globali.)

Gli effetti della vittoria del “No” sono ora ben visibili: l’esecutivo Gentiloni è riuscito a spostare l’asse del governo ancora più verso destra, cercando di attirarsi la simpatia della peggiore parte dell’elettorato che il 4 Dicembre ha mandato a casa Renzi. La stampa è compatta ed è il primo amo lanciato verso le forze reazionarie per cercare di intercettare il loro consenso.

Cosa prevede il “pacchetto Minniti”

Il 31 Dicembre, come a voler suggellare l’anno che ha visto morire più di 5.000 persone nel mar Mediterraneo, il ministro Minniti, insieme al capo della Polizia Franco Gabrielli, inviava una circolare a tutte le prefetture del paese in cui si indicava l’obiettivo per l’anno a venire: passare da 5.000 a 10.000 espulsioni di “migranti irregolari”, con la speranza di riuscire ad arrivare fino a 20.000

Dalle anticipazioni, gli strumenti che il Viminale vuole utilizzare, sono principalmente tre:
– Introduzione di un CIE per ogni regione;
– Aumento dei rimpatri forzati tramite accordi bilaterali con i paesi di provenienza;
– Abolizione del grado di appello per i richiedenti asilo che si siano visti respingere la domanda sia dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale sia nel primo grado del ricorso ad un giudice.

Oltre queste tre azioni volte ad aumentare le espulsioni, è presente anche un folkloristico provvedimento che obblighi i richiedenti asilo a svolgere lavori socialmente utili mentre aspettano la risposta della Commissione. Praticamente un ricatto che obbliga il migrante a fare qualcosa contro la sua volontà per vedersi riconosciuto un diritto protetto da convenzioni internazionali.
Ma si sa, vedere gli altri lavorare dà sempre un senso di sicurezza agli italiani.

Insomma il “pacchetto Minniti” non è niente altro che un giro di vite securitario, un insieme di azioni di repressione degno dei peggiori governi di destra e che, se fosse stato proposto da Maroni, avrebbe scatenato reazioni di indignazione da parte della stampa oggi vicina all’esecutivo Gentiloni.

I CIE cambieranno (ovviamente!) nome in Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), che suona meglio e non dà l’idea di un luogo dove si viene privati della libertà solo a causa del proprio paese di origine.

Gli accordi bilaterali verranno stretti con governi autorevoli e legittimi: sempre Massimo Giannini di Repubblica ci ricorda che fortunatamente paesi come Egitto e Nigeria stiano collaborando, con buona pace di chi cerca ancora la verità sulla morte di Giulio Regeni (domani sarà un anno di omertà e depistaggi) e della popolazione nigeriana che subisce gli accordi che consentono all’ENI di perpetrare le devastazioni ambientali lungo il delta del fiume Niger (proprio ieri nuovo accordo tra l’azienda italiana e il governo nigeriano).
L’abolizione del grado di appello (proposta già in estate dal ministro della giustizia Orlando), infine, esplicita la volontà di avere uno stato di diritto diverso tra residenti e stranieri, con l’unico obiettivo di accelerare i tempi del rimpatrio anche a scapito di una sentenza giusta e frutto di un’analisi completa.

La nostra proposta

Affrontare la questione migratoria come umanitaria e non come un problema di sicurezza (né tantomeno economico), è l’unica via da seguire. Questo è quello che abbiamo sperimentato in più di un anno e mezzo di accoglienza dal basso, questo è quello che abbiamo visto nei più dei 60.000 migranti passati dai diversi campi di Baobab Experience.

Per questo chiediamo corridoi umanitari per fermare le stragi nel mediterraneo (già più di 200 morti da inizio anno), allargamento del programma di relocation ai migranti provenienti da tutti i paesi per superare realmente il trattato di Dublino, percorsi di accoglienza lungimiranti e strutturati per consentire una vera integrazione e infine, come proposto da Annalisa Camilli su Internazionale, la concessione di un permesso temporaneo di residenza per motivi umanitari per garantire a più di 170.000 persone che attualmente si trovano nei centri di accoglienza di uscire dal limbo giuridico, di cercare lavoro (ma non col ricatto istituzionale legato alla domanda di asilo), di trovare un’abitazione e di non doversi affidare alla malavita organizzata.

A meno di una settimana dalla pubblicazione del dossier sulle disuguaglianze di Oxfam in cui emerge che l’1% degli italiani detiene il 25% della ricchezza nazionale, riteniamo che queste richieste non siano un’utopia ma che ci siano le possibilità sociali ed economiche per metterle in pratica, e che siano il solo modo di garantire un futuro migliore per tutti, migranti e “residenti”.

Ci vediamo domani alle 14:30 davanti al Pantheon.

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Ph: Matteo Nardone