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Migliaia di haitiani rimangono bloccati alla frontiera messicana con l’obiettivo di arrivare negli USA

José Pedro Martínez, Desalambre (El Diario) - 15 Gennaio 2017

Photo credit: J.P. MARTÍNEZ.

– La crisi economica in Brasile spinge migliaia di haitiani a emigrare verso gli Stati Uniti, dove tentano di entrare con un visto umanitario.
– La Bassa California soffre di una crisi migratoria in cui quasi 4.000 migranti di origine africana vanno ad aggiungersi ai deportati e agli sfollati a causa delle violenze.
– Gli attivisti denunciano le condizioni di sovraffollamento in cui si trovano. “Tutti i rifugi e ostelli sono pieni”.

Martin è un giovane haitiano di 31 anni che da due mesi vive in un accampamento improvvisato nel cortile sul retro di un ostello per migranti di Tijuana. Ha viaggiato via terra dal Brasile, dove si guadagnava da vivere come professore di francese e operaio di macchine da costruzione negli ultimi anni, finché la crisi economica non lo ha spinto ad investire i suoi risparmi tentando di arrivare negli Stati Uniti. Deve aspettare altri tre mesi nella città di frontiera messicana per avere un appuntamento con le autorità statunitensi per la richiesta del visto umanitario.

Vivevo molto bene in Brasile, però le cose sono cambiate nell’ultimo anno e ho deciso di andarmene. Con il mio lavoro potevo mandare denaro alla mia famiglia ad Haiti, però ormai non potevo più pagare neanche l’affitto. Tutto il Paese è diventato parecchio instabile”. Come lui, da marzo 2016 più di 19.000 migranti haitiani e di origine africana sono arrivati in Messico attraverso il Chiapas e hanno ottenuto un permesso dall’Istituto Nazionale per la Migrazione per poter attraversare il Paese fino alla frontiera settentrionale.

A piedi o in autobus, questa nuova rotta migratoria passa per nove Paesi e percorre più di 11.000 chilometri attraverso alcune delle zone più pericolose del continente: Perù, Ecuador, Colombia, la foresta di Darién – alla frontiera con Panama – dove i migranti devono ingaggiare un trafficante di esseri umani per essere guidati durante sette giorni di camminata attraverso tutta l’America Centrale.

Secondo le loro testimonianze, in Nicaragua incontrano l’ostacolo maggiore: non possono attraversare il Paese legalmente e devono pagare le mafie locali per raggiungere l’Honduras, ma durante il tragitto vengono attaccati e le donne subiscono stupri.

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Il Brasile è diventato la principale destinazione per rifugiati haitiani dopo il terremoto del 2010 e negli ultimi anni è stato anche un importante Paese di accoglienza per molti migranti di vari Paesi africani. Sono stati questi lavoratori e queste lavoratrici a costruire tutte le installazioni sportive dei Giochi Olimpici di Rio e dei Mondiali di calcio. La crisi economica li ha impoveriti e trasformati in cittadini di terz’ordine.

Anche gli Stati Uniti hanno offerto rifugio temporaneo agli haitiani colpiti dal sisma, tuttavia il Dipartimento di Sicurezza Nazionale ha annunciato che le deportazioni sono ricominciate dal mese di novembre, 60 persone a settimana, “a causa di un aumento significativo del numero di haitiani che tenta di entrare in territorio statunitense dalla frontiera sudorientale”.

Sebbene questo sia stato il principale reclamo, che ha fatto sì che quasi 20.000 haitiani decidessero di rischiare la vita sul cammino verso gli USA, l’amministrazione Obama ha già fissato per il prossimo 17 luglio la data limite per l’accettazione di richieste di visto umanitario da parte di cittadini haitiani.

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Secondo Wilner Metelus, attivista haitiano che presiede il Comitato Cittadino di Difesa di Naturalizzati e Afromessicani a Città del Messico, “la gente continuerà ad emigrare verso gli Stati Uniti perché Haiti è un Paese in crisi economica sette anni dopo il terremoto”.

Oggi, secondo Metelus, più di 60.000 persone vivono negli accampamenti “in un Paese che non produce niente, con la disoccupazione all’80% e che dipende direttamente dalle rimesse degli emigrati e dagli aiuti internazionali”. Per questo motivo “gli haitiani continueranno ad andarsene, forse non in massa come adesso, però molti continueranno a rischiare la propria vita per arrivare alla frontiera messicana, intraprendendo un viaggio pericolosissimo e costosissimo per il quale saranno obbligati a servirsi dei trafficanti”.

Crisi migratoria alla frontiera

Una volta arrivati in Bassa California, i migranti ottengono un appuntamento per formalizzare la richiesta di visto umanitario con le autorità dell’immigrazione statunitensi, che accettano solo una cinquantina di casi al giorno, fino a quattro mesi dopo l’arrivo. Alcuni segnalano la corruzione di funzionari dell’Istituto Nazionale della Migrazione messicano, che incassano quote dai 300 ai 500 dollari per assicurare ai migranti un appuntamento in tempi più brevi.

Sebbene si stia indagando sul caso di un poliziotto municipale arrestato in seguito a queste denunce, il vero problema sta diventando la situazione di stallo in cui di migliaia di migranti tentano da mesi di sopravvivere come possono nella città. Da quando migliaia di suoi compatrioti hanno cominciato ad arrivare nello Stato settentrionale della Bassa California, Metelus si è spostato in diverse occasioni per monitorare l’attenzione che viene loro rivolta e offrire le sue consulenze in prima persona.

Ho visitato gli ostelli e ho potuto vedere i problemi che esistono a causa della mancanza di cibo e il sovraffollamento. Nonostante alcuni rifugi abbiano ricevuto aiuti economici e supporto della società civile, ci sono ancora molte necessità e gli ostelli sono pieni. Alcuni si fanno pagare dai migranti per passare la notte, altri mescolano gli haitiani con i tossicodipendenti”, spiega l’attivista.

L’impatto di questa nuova migrazione è chiaramente visibile a Tijuana e Mexicali: il centro delle città è popolato da persone di origine africana che affittano case o gironzolano nei dintorni degli ostelli. Alcuni hanno trovato lavoro distribuendo volantini pubblicitari, vendendo cibo o nel settore edile. Altri hanno perfino aperto dei chioschi di cibo haitiano per soddisfare le richieste del nuovo mercato.

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César Palencia, direttore dell’Ufficio Municipale di Orientamento al Migrante, lo conferma: “Fino a qualche mese fa erano dieci gli ostelli ufficialmente aperti, però in questi mesi ne sono stati abilitati altri 21, soprattutto all’interno di chiese cristiane. Ci sono 31 rifugi solo in questa città, alcuni ospitano una ventina di persone, altri più di 400”.

Palencia sottolinea la necessità di aprire nuovi ostelli, visto che a coloro che aspettano 3 o 4 mesi il proprio appuntamento alla dogana statunitense si aggiungono quelli che continuano ad arrivare ogni giorno: tra i 150 e i 300 migranti solo in questa città. “Anche se stiamo continuando ad aprire nuovi rifugi, si riempiono subito, e se ne apriamo ancora, si riempiono ancora. In questo momento ci sono 3.700 ospiti registrati a Tijuana”, spiega.

Una delle istituzioni più importanti in città per l’assistenza ai migranti e alle persone senza fissa dimora è il Desayunador Salesiano di Padre Chava, la cui attività principale consiste nel fornire un pasto a più di 1200 migranti deportati e persone che vivono per strada.

Frate Leonardo, uno dei coordinatori della mensa, spiega che non era stata concepita come ostello, però da quando è cominciato questo flusso hanno aperto le porte a più di 5000 persone. In questo momento gli ospiti sono 374. “Ci sono famiglie, uomini e donne sole, e molti bambini. Abbiamo avuto fino a 20 bambini, anche se adesso ce n’è qualcuno di meno”, racconta.

Anche se le loro strutture, assicura, “non sono adeguate per ospitare come si deve queste persone, ogni notte la sala della mensa si trasforma in un gran dormitorio comune, dove riposano sui materassini uomini, donne e bambini”. Nel cortile sul retro, sotto una tettoia si stringono “una cinquantina di persone che hanno bisogno di ripararsi da freddo e pioggia”.

Sull’integrazione di haitiani e messicani nella società messicana, il salesiano dice che “non hanno nessuna intenzione” di restare in Messico. “Il loro unico obiettivo è arrivare negli Stati Uniti, soprattutto a Miami, costi quel che costi, anche se devono aspettare qui cinque mesi”, conclude.

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La presenza di circa 5000 migranti haitiani e africani in Bassa California si somma ad altre due correnti migratorie: quella dei deportati, che nel 2016 superarono quota 60.000 in questo Stato, e quella dei profughi che scappano dalle violenze in Centroamerica e in Stati messicani come Guerrero, Michoacán e Veracruz.

José María García, direttore dell’ostello Juventud 2000 nella zona Nord di Tijuana, spiega che i suoi ospiti erano soprattutto persone rimpatriate dagli Stati Uniti, “però da maggio è arrivata molta gente da Haiti e dall’Africa”, e ha dovuto adattare l’assistenza che offre a questi migranti.

Tutti gli ostelli sono pieni. Ci stiamo coordinando tra noi, anche con quelli che sono stati aperti dentro le chiese cristiane, per poter accogliere le persone che arrivano, ma siamo sempre pieni” assicura. García avverte di una mancanza di risorse: “non ci sono tende a sufficienza, ed è un problema perché siamo nella stagione fredda e piovosa. La gente si bagna e dobbiamo cambiare continuamente i materassi e le coperte. Stiamo aspettando di ricevere più aiuti, ma ancora non arriva niente”.

Un futuro incerto con l’arrivo di Trump

Wilner Metelus crede che questa crisi migratoria non trovi spazio nell’agenda dello Stato messicano visto che “non c’è nemmeno coordinazione fra i tre livelli di potere”, dice in riferimento al fatto che al Governo della Bassa California c’è il PAN (Partido Acción Nacional), e al Governo Federali il PRI (Revolucionario Institucional). “Inoltre, sembra che ci siano problemi più importanti di cui occuparsi, soprattutto adesso che l’opinione pubblica è indignata per l’aumento del prezzo dei combustibili” aggiunge.

Metelus non è ottimista nemmeno riguardo il futuro che aspetta i migranti haitiani con il nuovo governo repubblicano: “Credo che con l’arrivo di Donald Trump la strategia degli Stati Uniti sarà quella di rinchiuderli in centri di detenzione e deportarli ad Haiti, come già sta facendo Obama”.

Inoltre considera che, data l’elezione di un nuovo presidente ad Haiti, “potranno dire di non poter più accettare richieste d’asilo perché Haiti non è affetta da instabilità politica. Ciononostante, l’enorme crisi economica di cui soffre il mio Paese dovrebbe essere sufficiente a ricevere aiuti umanitari”.

Mentre conta i giorni mancanti al suo appuntamento, Martin, il giovane haitiano costretto a lasciare il corso di Scienze Politiche quando la sua università è crollata con il terremoto del 2010, tenta di passare il tempo protetto sotto la sua tenda, e sogna di studiare in un’università nordamericana ed ottenere un buon lavoro per poter mandare dollari alla sua famiglia ad Haiti.
Quello che mi piacerebbe di più, è poter un giorno tornare nel mio Paese e contribuire al suo progresso”.