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Un impegno per il 2017: scartavetrare il razzismo

Photo credit: Christian Payne

Il razzismo è una novità?

Bisogna espellere i clandestini! L’immigrazione alimenta il terrorismo, dobbiamo difenderci! Basta accogliere i finti richiedenti asilo! Stop all’invasione! Prima gli italiani! Aiutiamoli a casa loro! I profughi sono privilegiati nell’accesso al mercato del lavoro e al welfare! Il 2016 ci consegna un linguaggio pubblico, politico e mediatico, all’interno del quale sono definitivamente sdoganati frasi, atteggiamenti, posizioni e proposte apertamente razziste. Questa crescente violenza lessicale e ideologica ha alimentato numerosi episodi di violenza materiale, individuale e di gruppo.

Le argomentazioni di tipo politico, giuridico, statistico, economico, storico e sociale non riescono ad arginare lo sviluppo di stereotipi, accuse e insulti nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. L’idea di contrapporre la verità dei fatti alla mistificazione razzista non è stata finora un’operazione di successo. Le accuse che vengono agitate nei confronti degli immigrati sono, evidentemente, degli imbrogli lessicali e delle calunnie. Ma la razionalità e la logica non hanno rappresentato, finora, strumenti utili ad arginare l’intolleranza.

Molto spesso questa narrazione razzista finisce per essere catalogata sotto le voci populismo e demagogia. In sostanza, per l’approccio dominante all’interno delle forze antirazziste, la dilagante e trasversale narrazione dei migranti come pericolo per la società rappresenterebbe uno spauracchio, agitato strumentalmente dalle varie forze politiche per finalità di consenso elettorale. Un’analisi di questo tipo si è rivelata largamente insufficiente: non riesce a cogliere quali sono le radici profonde che legano i discorsi razzisti alla storia nazionale.

Scartavetrare

Se l’obiettivo è combattere il razzismo, è necessario dotarsi della prospettiva più utile per comprendere, in maniera adeguata, il fenomeno. Indignarsi per la violenza lessicale e ideologica alla quale i migranti sono esposti non basta: non è stato finora un argine efficace, e non lo sarà in futuro.

Come nascono gli stereotipi che attraversano e organizzano il dibattito pubblico sull’immigrazione? Rappresentano un fenomeno episodico, contingente, legato alle esigenze di propaganda politica, o si fondano su elementi strutturanti della società, della politica e della storia del nostro paese? Esiste un razzismo dal basso?

Può, forse, essere utile immaginare il dibattito pubblico, e la società nel quale si configura, come un pezzo di legno dalle forme irregolari, dal quale sorgono schegge, spine, escrescenze. Queste fastidiose irregolarità rappresentano la parte finale e visibile di un fenomeno più complesso, più articolato, saldamente ancorato alla parte sottostante.

La violenza lessicale razzista, con i suoi discorsi d’odio, può essere letta proprio in questi termini: è una spina che emerge dalla società, ed è saldamente ancorata ad essa. Abbiamo ogni giorno davanti un razzismo di superficie, facilmente riconoscibile e raccontabile. Scartavetrando le schegge, asportando le spine, livellando le escrescenze è possibile individuare le radici profonde dalle quali prende forma: una sorta di razzismo di profondità.

Una storia italiana

Nello sviluppare un approccio all’antirazzismo che non si limiti all’indignazione nei confronti della propaganda xenofoba, ma che indaghi la genesi e il contesto culturale che la rende possibile, può essere utile allargare la prospettiva temporale. Il razzismo non è una novità degli ultimi anni: al contrario, l’origine dei discorsi e della pratiche razziste coincide, per lo meno, con l’unità d’Italia. È sufficiente sfogliare le pagine della storia nazionale, dal 1861 in poi, per cogliere come il razzismo sia stato, fin dall’origine, un elemento strutturale del discorso pubblico e dell’organizzazione della società nel nostro paese.

Il razzismo antimeridionale è un elemento qualificante della storia d’Italia fin dalla sua unità. Le tragiche avventure coloniali rappresentano un ingombrante passato con il quale non si è mai fatto i conti. Nel secondo dopoguerra prima gli immigrati di origine meridionali trasferiti al nord per lavorare in fabbrica e poi, nei decenni passati, i migranti di origine albanese e rumena arrivati in Italia sono stati accolti da un clima di diffusa criminalizzazione e di dilaganti stereotipi razzisti. Oggi il popolo dei barconi, e in particolar modo gli islamici e i clandestini, subiscono questo tipo di narrazione razzista ampiamente sperimentata nel corso della storia d’Italia.

Il sintomo e la cura

Siamo davanti, dunque, ad un elemento strutturale della società. Non soltanto una mistificazione ideologica: il razzismo verbale e discorsivo ha conseguenze dirette, concrete, sulla qualità della vita, sulle condizioni di lavoro per le donne e gli uomini che subiscono i discorsi d’odio. Basti pensare ai confini invisibili che governano il mercato del lavoro: quanti immigrati hanno la possibilità di svolgere professioni altamente qualificate? Quanti hanno accesso a percorsi di formazione universitaria? Esiste una crescente etnicizzazione delle professioni: è il prodotto del razzismo strutturale che attraversa la società. Il razzismo organizza le città, confina i migranti in specifici spazio urbani e extraurbani. Organizza i rapporti di lavoro, rende possibili forme di sfruttamento anche assolute, dal lavoro a cottimo in agricoltura sotto caporale in giù.

Ecco un possibile progetto politico per il 2017: dotarsi, come attiviste e attivisti antirazzisti, degli strumenti collettivi per indagare a fondo la portata del fenomeno razzismo contemporaneo, studiandone l’origine e verificare dove sono posizionate le sue radici. Per capire come combatterlo in maniera efficace, all’altezza delle rilevanti sfide che attraversano la società. Scartavetrando la violenza verbale – e materiale – che attualmente infesta il dibattito pubblico è possibile comprenderne qual è la cultura nazionale all’interno della quale prende forma.

Cosa resta da fare dopo aver scartavetrato il razzismo? Dopo aver individuato le profonde radici delle spine razziste che emergono dalla società, sarà necessario scavare in profondità per eliminarle. Un compito non da poco, evidentemente. Ma è l’unico approccio possibile per evitare l’eterno ritorno di un passato con il quale non abbiamo mai fatto fino in fondo i conti. Per sconfiggere, finalmente, il fantasma della razza.

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.