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4.1 miglia

Daphne Matziaraki, The New York Times

Questo breve documentario è stato nominato per il 2017 Academy Award.

Quando lo scorso autunno sono tornato a casa in Grecia per fare un film sulla crisi dei rifugiati, ho trovato una situazione che non avrei mai pensato possibile. Il mare turchese che circonda la bellissima isola di Lesbo, solo 4.1 miglia dalla costa turca, è in questi giorni un corridoio mortale, soffocato da adulti terrorizzati e bambini piccoli in balia di fragili e pericolose imbarcazioni. Non avevo mai visto prima persone in fuga dalla guerra, e tanto meno le avevano viste gli abitanti dell’isola. Non potevo credere che queste famiglie non venissero aiutate a scappare senza rischi da qualunque cosa li abbia portati a fuggire. La scena era ossessionante.

Nonostante le difficoltà che il popolo greco ha dovuto sopportare a causa della crisi finanziaria, il mio Paese è stato per lungo tempo un luogo pacifico, sicuro e tranquillo dove vivere. Tuttavia, adesso la Grecia sta affrontando una nuova crisi, con la minaccia di ribaltare anni di stabilità, mentre lottiamo per assorbire migliaia di migranti disperati che si riversano nei nostri confini tutti i giorni. Un picco di circa 5.000 persone entrate in Grecia l’anno scorso, la maggior parte in fuga dal Medio Oriente.

La guardia costiera greca, specialmente mentre mi trovavo lì, era completamente impreparata per affrontare il flusso costante di salvataggi necessari per salvare i rifugiati dall’annegare mentre cercano di arrivare in Europa dalla Turchia. Mentre ero lì a filmare, Lesbo contava circa 40 agenti della guardia costiera locale, i quali, prima della crisi dei rifugiati, trascorrevano il loro tempo conducendo ricognizioni di routine ai confini. Molti di loro non avevano alcuna formazione sulla rianimazione cardiopolmonare. Le loro imbarcazioni non erano dotate di telecamere termiche o di alcuna attrezzatura utile a far fronte a emergenze straordinarie.

Improvvisamente, è stata data all’equipaggio la responsabilità di evitare che il pezzetto di acqua sotto il loro controllo diventasse una fossa comune. Ogni giorno migliaia di rifugiati attraversano il mare su piccoli, pericolosi gommoni gonfiabili. La maggior parte di loro non ha mai visto il mare, compreso colui che viene designato alla guida dell’imbarcazione. Spesso il motore si blocca, e i passeggeri rimangono arenati per ore, galleggiando leggeri su un mare freddo e imprevedibile. Oppure il fondo del gommone semplicemente si strappa, gettando tutti i passeggeri in acqua. Gli agenti della guardia costiera mi hanno rivelato di sentirsi completamente abbandonati, come se il mondo li avesse lasciati soli a gestire una crisi umanitaria senza precedenti o a lasciare che migliaia anneghino in mare aperto.

Ho seguito un capitano di guardia costiera per tre settimane, mentre tirava fuori dall’oceano famiglia dopo famiglia, bambino dopo bambino, salvando loro la vita. Tutto ciò che è presente in questo film è stato ripreso in un singolo giorno, il 28 ottobre 2015. Quello stesso giorno ho assistito ad altri due salvataggi che però non sono stati inclusi nel montaggio.

L’emergenza è lontana dall’essere rientrata. Molti dei rifugiati vengono dalla Siria, dove la Russia sta intensificando i bombardamenti uccidendo migliaia di civili e devastando le città siriane, mentre gli Stati Uniti pianificano una risposta. Secondo la guardia costiera greca, migliaia di famiglie con bambini sono in fila lungo le coste turche per intraprendere la pericolosa traversata che li condurrà in Grecia.

Nel fare questo film, sono rimasto bloccato nella sottile linea che ci separa: i momenti nei quali i nostri percorsi si incontrano fugacemente, e guardiamo l’altro per a prima volta e a volte per l‘ultima. Questo film mostra quel momento cruciale tra la vita e la morte, dove indipendentemente dal credo politico, dalle paure o dalla preparazione, alcune persone si spingono oltre loro stesse per salvare uno sconosciuto.

E solleva domande sulla nostra responsabilità collettiva, le scelte che tutti facciamo per noi stessi e per gli altri. Non tutti affrontiamo la crisi dei rifugiati con la stessa immediatezza del capitano della guardia costiera qui ritratto. Ma come il nostro mondo diventa più interconnesso, e più violento, noi tutti siamo posti di fronte ad una scelta: agiremo come lui, salvando la vita ad uno sconosciuto? O gireremo la testa?


Daphne Matziaraki è una regista documentarista greca, che vive e lavora a San Francisco, nella zona Bay.

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