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Chi sta uccidendo i rifugiati?

Lucila Rodríguez-Alarcón, 18 gennaio 2017 - El País

Photo credit: One Bridge To Idomeni

In questi giorni, non è difficile imbattersi in uno dei tanti articoli e reportages sul tremendo effetto che l’ondata di freddo sta avendo sui rifugiati bloccati sulla frontiera orientale dell’Europa. È di qualche giorno fa anche la notizia delle stime ufficiali per il 2016 delle morti dei migranti nel Mediterraneo: 5.000 morti…quantomeno quelli conosciuti, perché la OIM precisa nel report che sicuramente il numero dei decessi è decisamente superiore.

La situazione dei rifugiati e dei migranti che cercano di entrare in Europa dalla frontiera orientale e meridionale è drammatica, ma non è certamente una novità. La guerra in Siria va avanti da ben cinque anni e le cifre dei morti e delle sofferenze non hanno smesso di crescere nel tempo, coincidendo con l’inasprimento del controllo e della chiusura della frontiera via terra, che convoglia irrimediabilmente il flusso dei migranti verso il mare. Le organizzazioni non governative e alcune delle agenzie ONU di tanto in tanto portano alla ribalta il tema, ognuna con il proprio approccio, ma comunque quasi sempre in forma assistenziale, chiedendo aiuto ai cittadini per assistere i rifugiati e gli altri migranti.

Sfortunatamente, i peggiori problemi dei rifugiati e dei migranti non sono né il freddo né il mare. L’Europa, sul tema delle migrazioni, manca di un approccio politico fondato su analisi informate e con in mente un futuro a medio e lungo termine. Di questi tempi – in cui tutto è liquido, come ha scritto Bauman – si ha l’impressione che la maggior parte degli attori sociali e politici in Europa siano come Minions: agiscono in modo disordinato, senza riflessione, assolutamente reattiva ma stranamente coordinata, trasformando l’incertezza in paura e usando quest’ultima per calpestare i diritti fondamentali che abbiamo giurato di proteggere dopo l’ultima grande crisi umanitaria dell’Europa, la Seconda Guerra Mondiale. Concretamente, sul tema dei rifugiati basterebbe che si applicassero le leggi internazionali per risolvere il problema. Più specificamente, la semplice applicazione della Convenzione di Ginevra di tutti i rifugiati di origine siriana, ad esempio.

Ebbene sì. la cosiddetta crisi della migrazione che stiamo soffrendo in Europa è dovuta, da un lato, al fatto che non applichiamo le leggi fondamentali che proteggono i diritti umani e, dall’altro, al fatto che ci stiamo rivelando incapaci di creare nuove leggi che rispondano all’evoluzione naturale dei movimenti migratori. Per risolvere entrambi i punti, manca la tanto ambita volontà politica. E questa volontà politica può essere solo il risultato di una volontà popolare. Però è ben difficile che i cittadini esigano dai propri leader politici che applichino le leggi, se gli viene fatto credere che quello che serve per aiutare i rifugiati sia mandare delle coperte.

La soluzione sembra ovvia: smettiamo di parlare di coperte e cominciamo a parlare di diritti. Tuttavia, in questi anni in cui abbiamo perso tempo, le posizioni guidate dalla paura hanno già costruito un’argomentazione basata sulla sicurezza, la lotta la terrorismo, il protezionismo, principalmente economico, e la xenofobia, argomentazione che giustifica la non applicazione delle leggi.

È ormai abituale questa frattura tra la narrazione della carità e la narrazione dei diritti.
Per anni si è cercato di lottare contro la povertà, senza grandi risultati a livello strutturale, tanto che dopo poco si è deciso di invocare il termine diseguaglianza. La lotta contro la diseguaglianza è molto più completa della lotta alla povertà e permette di includere termini come la giustizia sociale nella narrazione che impegna mezzi di comunicazione e, quindi, l’opinione pubblica, come ben ha dimostrato il risultato schiacciante dell’ultimo report di OXFAM. In altri termini, a prescindere da quello che sembrano pensare i media e le organizzazioni, l’opinione pubblica è in grado di capire ed empatizzare con la narrazione dei diritti.

In definitiva, ci troviamo di fronte ad una completa sfida narrativa, che esige molta chiaroveggenza, coraggio ed unione. Le organizzazioni che vogliono aiutare a risolvere la crisi dovranno cominciare col lasciare da parte i propri interessi particolari e arrivare ad un accordo che permetta loro di unire gli sforzi e indirizzarli verso un obiettivo unico. I mezzi di comunicazione dovranno inserire nei propri programmi l’applicazione dei diritti e concentrarsi principalmente a coprire questo tema. Se ciò verrà fatto in forma sistematica e generalizzata, i due gruppi potranno esercitare la pressione necessaria affinché gli elettori esigano che i politici cambino la situazione attuale.