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Era un bambino come Aylan, ma la sua morte non ci ha fatto così male

Helena Maleno, Desalambre (El Pais) - 30 gennaio 2017

Photo credit: Angelo Aprile, campo di Idomeni (aprile 2016)

63 persone hanno passato la notte di lunedì su zattere di plastica nello stretto di Gibilterra. La notte precedente, fra sabato e domenica, sono state 137 le persone a rischiare la vita nel Mare di Alborán. Fra l’11 e il 12 gennaio, 14 persone su un barcone partito da Tangeri sono scomparse e alcuni corpi senza vita sono giunti fino alle coste di Cadice.

Alle frontiere ci piacciono le cifre, fanno comodo e ci permettono di fare stime. Così, parlando di vittime, 14 sono poche e se sono meno di 100 persone a rischiare la vita in mare non hanno diritto nemmeno a un piccolo spazio nei media. Servono numeri più consistenti per soffrire delle loro morti.

Tuttavia, 100 persone alle Barriere di separazione di Ceuta e Melilla sembrano un’invasione, una valanga, perché per criminalizzare i migranti ci basta poco.
Così, i mass media, i politici e i cittadini leggono le cifre a proprio piacimento per continuare a pensare che la difesa del territorio giustifichi violenza e morte.
A volte la coscienza ci pone davanti a delle domande, anche solo per un momento, quando i corpi delle vittime appaiono disgraziatamente sulle nostre coste.

Venerdì è stato ritrovato sulle spiagge di Barbate un bambino come Aylan, anche se non era esattamente come lui: non ha provocato la stessa ondata di solidarietà. Il razzismo è, infatti, radicato in gran parte della nostra società e un bambino bianco, vestito come un qualsiasi bambino spagnolo, in fuga da una guerra conosciuta, non è uguale a un bambino nero.

Nel nostro immaginario si ha l’idea che “i neri, soprattutto gli africani, muoiono rapidamente e sono abituati al dolore”. Inoltre, nelle nostre coscienze si è formata la malsana idea che non siamo responsabili delle morti alle nostre frontiere.
E mentre le cifre sono troppo basse per causare dolore o perché la società spagnola si indigni, le famiglie delle vittime della frontiera a sud della Spagna raccolgono le storie delle morti e delle scomparse.

Nella maggior parte dei casi, in mancanza di informazioni ufficiali, lo fanno con metodi rudimentali, ma basati sulla solidarietà: per mezzo dei social network cercano le ultime persone che hanno parlato con i loro cari, provano a inviare a distanza qualcuno che identifichi le vittime, lottano per rendere visibili queste violenze invisibili. Conservare la memoria di chi non c’è più, sapere dove stanno i loro corpi e dar loro degna sepoltura è solo il primo passo verso il superamento del dolore causato.

Ricordo Prince, Queen, Víctor, Keita, Mohammed, Jennifer e molti altri nomi di bambini e bambine che basterebbero a riempire molte pagine. Sono morti in mare o sulla terraferma. Alcuni hanno perso la vita tra le braccia delle madri. Ho avuto l’immensa gioia di conoscerne molti e l’immensa tristezza di essere l’ultima persona che ha ascoltato il loro pianto prima dei naufragi nei quali hanno incontrato la morte.

Resta da stabilire in questi giorni se l’angelo arrivato a Barbate è Samuel, scomparso insieme alla madre lo scorso 11 gennaio, mentre viaggiava su un barcone nello stretto. Se è lui non resta che desiderare che sia sepolto dai suoi genitori, se non lo è, bisogna continuare a cercare lungo questa strada scoscesa che ci porta al superamento del dolore e della violenza.

Un percorso lungo il cammino della giustizia, dal quale molti spagnoli e loro rappresentanti politici sembrano essersi allontanati. Perché al giorno d’oggi è più interessante guardare muri più lontani e farsi paladini di democrazia e diritti umani su Twitter: per gli spagnoli è terribile il dolore che Trump causa ai cittadini del Messico e altri paesi dell’America centrale che cercano solo un futuro migliore.

Purtroppo, e per quanto cerchiamo di scaricare le nostre responsabilità, le politiche razziste non sono iniziate con Trump, esistevano già con Obama e con il PSOE, nonostante mostrassero il lato migliore del sistema. Queste politiche continueranno ad esistere con Trump, come continuano ad esistere con il PP e le sue espulsioni indiscriminate.

Continueranno ad esistere, questa notte, le zattere cariche di persone che lottano per la vita nei nostri mari.