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Il Sahara e le sue tombe invisibili di sabbia

Helena Maleno, Saltamos.net - 16 febbraio 2017

Foto: Archivo di Diagonal

I social network si sono trasformati nello strumento utilizzato dai migranti per avvisare dei pericoli delle rotte migratorie che attraversano il Sahara. Facebook si riempie di video e foto di cadaveri nel deserto e si trasforma in una piattaforma per il racconto, censurato in Europa, di una delle più grandi fosse comuni del mondo.

Attraverso queste comunicazioni le diverse comunità di migranti cercano di evitare le tragedie, giacché nel Sahara non esistono operazioni internazionali di soccorso né protezioni a delle possibili violazioni di diritti. In questo immenso deserto i migranti sono inermi davanti ai controlli migratori, fortemente militarizzati, dai trafficanti.

Tutto questo si mescola con l’instabilità della regione attraversata da conflitti bellici, come quello del Mali e della Libia, e la presenza di gruppi armati come Al Qaeda nel Magreb islamico o Boko Haram.

Secondo la OIM, 100mila migranti hanno attraversato il Sahara nel 2015, ma è impossibile fare una stima di quanti sono morti prima di arrivare al Mediterraneo. Anche se tra i racconti delle comunità migranti, il Sahara è il punto dove comincia l’inferno per le rotte migratorie, e dove molte persone hanno perso compagni di viaggio durante il tragitto.

“Le violenze sono inaudite nel deserto, ma sei alla loro mercé, non c’è scappatoia. Molte macchine si guastano perché vecchie e sovraccariche”.

Anche i trafficanti ti abbandonano, e se riprendi il cammino da solo le tormente di sabbia possono farti perdere la via. Quindi, in pieno deserto, con più di 45 gradi, il calore e la sete fanno il resto del lavoro”, dichiara Pat, camerunense, che ha visto morire 19 compagni quando furono abbandonati dai loro trafficanti.

Gao, in Mali, è un altro dei punti chiave per attraversare il deserto verso Tamarasset, prima destinazione in Algeria. “In ogni città devi pagare, non sai nemmeno a chi paghi, i trafficanti si uniscono ai terroristi e ai ribelli tuareg. Se dici che non hai soldi ti derubano o ti sequestrano per chiedere un riscatto alla tua famiglia”, spiega Keita, che lasciò il suo paese sapendo di una guerra a nord del Mali.

E’ quasi impossibile per i migranti distinguere i trafficanti dai ribelli tuareg e dai gruppi legati ad Al Qaeda nel Magreb islamico. Sanno solo che in queste rotte alternative è pieno di armi e di pericoli.

Spostarsi da una città all’altra nel passaggio dal Mali all’Algeria può costare dai 10mila ai 40mila franchi, variabili a seconda del rapporto domanda/offerta. Il viaggio si fa dentro un camion, ma anche così le persone sono ammassate, sedute l’una sopra l’altra. In un camion possono entrare massimo 20 persone, oltre la merce, che può essere di armi, droga, cibo degli aiuti umanitari internazionali che diventano parte del traffico illegale.

Le comunità di migranti dicono che la zona è molto pericolosa, soprattutto per le donne che vengono violentate in maniera sistematica, ma anche sequestrate per diventare schiave sessuali all’interno dei traffici. Le famiglie del Mali denunciano anche il reclutamento di adolescenti e bambini che passano per questa rotta, per usarli come bambini soldato.

Quando dici che non hai soldi cercano ovunque, anche nell’ano e alle donne nella vagina. Durante il viaggio in pieno deserto si possono subire imboscate da parte di ribelli o terroristi e questo suppone consegnare meno denaro”, dichiara Mamà Naoufel, guineana, incinta per un abuso sessuale nel deserto.
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Un’altra delle rotte per arrivare in Algeria comincia a Kano, città della Nigeria, dove la maggior parte dei migranti decidono di andare fino in Libia o continuare fino al Marocco.

Se la scelta è stata il Marocco si deve arrivare fino Arlit, in Nigeria, dove si organizzano i viaggi fino alla frontiera con l’Algeria. La tratta non è molto lunga ma l’uso di sentieri alternativi per scappare dai controlli fanno sì che i viaggi durino di più.

In questa città i migranti vivono in quelli che chiamano ghetti, e da lì, aspettano la notte per attraversare il deserto.
Da Arlit attraversiamo il deserto per arrivare a Tamarasset. La maggior parte dei trafficanti sono tuareg. E Mustapha, il tuareg con il quale viaggiavamo, ci ha mandato di notte a comprare delle taniche d’acqua, le donne dovevano comprare anche dei burka per coprirsi. Alle quattro del mattino ci hanno fatto uscire dal ghetto, ognuno con la sua tanica d’acqua. Ma, come succede molte volte, la macchina si ruppe, le ruote si bucarono, la sistemarono, ma a 30 km dalla città più vicina, in pieno deserto, ci abbandonarono dicendo che un’altra macchina sarebbe venuta a prenderci. Abbiamo iniziato a camminare e finalmente abbiamo incontrato una macchina che ci ha portato fino al ghetto di Tamarasset”.

Nel 2016 vennero trovati 34 corpi su questa tratta vicino alla città di Assamaka. Le autorità pensano che siano stati abbandonati dai trafficanti e che una tormenta di sabbia impedì loro di ritrovare il cammino. Tra i cadaveri furono trovati 20 bambini che erano morti di sete.

La rotta del deserto più battuta oggi è quella che attraversa il Niger per arrivare alla Libia. L’instabilità di paesi come Mali, Algeria e Nigeria ha fatto sì che ci sia stato un aumento di persone su questa rotta, anche se condiziona le promesse di un viaggio rapido verso l’Italia.

Da Agadez, in Niger, i migranti negoziano la tratta che li porterà a nord-est. Uno dei punti di passaggio è Dirkou, dove nei dintorni sono stati trovati più di 80 cadaveri negli ultimi due anni. I corpi di 30 persone furono trovati vicino ad un veicolo che si era rotto, nessuno fece nulla per aiutarli e salvargli la vita.

Il Niger è uno dei paesi più poveri del mondo, e pensare a delle operazioni di soccorso per cercare migranti è quasi un sogno.

Alcune persone hanno attraversato il deserto due volte, ed è quello che nell’ultimo anno e mezzo, i migranti che si trovavano in Marocco e in Algeria hanno tentato di nuovo la fortuna per arrivare fino a Tripoli con l’opportunità di attraversare l’Italia.

Passare dalla Libia è molto più economico e facile anche se più pericoloso. E’ impossibile spiegare a parole la sofferenza. La vita non ha valore. Ho visto violentare donne in branco e poi essere sgozzate. Ma quando non puoi tornare indietro è vivere o morire”, spiega Osas, nigeriano che è rimasto tre anni in Marocco prima di attraversare la Libia fino l’Italia.

La comunità nigeriana calcola che più di 10 mila persone sono partite nel 2016 dal Marocco per tentare la fortuna nella rotta libica. Molti di quelli che hanno preso questa decisione dicono che è più facile arrivare in Italia e che i prezzi del viaggio sono molto più bassi.

In Libia, i trafficanti, in realtà, fanno parte delle autorità libiche e dei ribelli, abbassano i prezzi ma spostano masse di migranti come se fosse bestiame”, dichiara Pasteur P., leader comunitario nigeriano.

Il cammino fa sì che le persone che si trovano in Marocco attraversino per la frontiera di Oujda, fino Oran e Algeri e da lì fino a Ghardaia, sempre in Algeria. E’ in questa città che si organizzano molti di questi viaggi, si può anche pagare il prezzo del tragitto con l’imbarcazione inclusa.

Arrivi a Ghardaia e ti prendono 500 euro promettendoti che all’arrivo a Tripoli, in meno di un mese attraverserai il Mediterraneo. Ti senti felice, ma la tratta fino alla frontiera libica è orribile, e la Libia è peggio dell’inferno. Se potessi disegnare l’inferno sarebbe quello che ho visto in questo paese”, descrive Mohammed, maliano, che perse suo fratello di 14 anni in un naufragio cercando di arrivare in Italia.

“I luoghi dove sopravvivono i migranti, ammassati e sequestrati, vengono chiamati “madrigueras” (tane)”

In Libia non ci sono nemmeno i ghetti, come in altre città della rotta migratoria. I luoghi dove sopravvivono i migranti, ammassati e sequestrati, vengono chiamati “madrigueras” (tane), perché la maggior parte di questi rifugi si trovano nel sottosuolo e anche perché è una forma per identificare dei migranti come animali.

In un video delle forze speciali libiche diffuso su Facebook si vede come entrano in una di queste tane, e uno dei militari dice: “Guarda qua: c’è prostituzione, droga, immigrazione illegale.. guarda quanta gente! Ci sono persone che lavorano con questo, si arricchiscono senza che gli importi del nostro paese e senza pensare che queste persone qua possono commettere crimini, prostituirsi e vendere droga”.

Così, le comunità di migranti che stanno in Libia sopravvivono tra la criminalizzazione e l’essersi trasformati in una delle mercanzie più redditizie del paese.

I capi dei trafficanti sono i ribelli e il governo. Non c’è differenza tra le tane e il carcere libico del governo. I sequestri sono di routine, anche per uscire da un carcere del governo la famiglia deve pagare. Quelli che non possono pagare muoiono o vengono usati come merce per il traffico di organi”, spiega Fabrice, camerunense, il cui amico sta da un anno in un centro di detenzione libico perché la sua famiglia non può pagare i carcerieri.

Famiglie camerunensi o nigeriane dichiarano di aver pagato tra i 500 e i 1000 euro per la libertà dei propri figli, a volte sequestrati dai trafficanti o altre volte rinchiusi nei centri di detenzione per migranti.

Sono i familiari che cercano i loro parenti scomparsi nel deserto, e che formano parte della rete d’emergenza che si diffonde nei social network.

Uso Facebook per diffondere immagini di sequestri e morti nel deserto, anche dei naufragi. Moriamo come animali e almeno questo è un modo, non per scoraggiare, ma per poter prendere precauzioni e proteggerci, visto che nessuno ci protegge”, afferma Yannick, camerunense, ora in una “madriguera” a Tripoli.