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Migrare nell’era di Trump

Ruben Figueroa, Movimiento Migrante Mesoamericano - febbraio 2017

Photo credit: Ruben Figueroa

Will aspettava pazientemente che aprissero le porte dell’ostello a Palenque, Chiapas dove avrebbe passato la notte. Will era arrivato il giorno prima, senza un soldo, dopo molti giorni di cammino da un villaggio a Choluteca, Honduras, vicino al confine con il Nicaragua. Quindi ha continuato a guadagnarsi qualche moneta. Ha pulito un pannello solare ed è finito distrutto dalla stanchezza. Era il mese di gennaio, nei giorni precedenti all’ascesa di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti.

Durante l’attesa gli ho chiesto cosa significava per lui il muro che Donald Trump ha intenzione di continuare a costruire al confine con il Messico. Con un tono che mi è sembrato umile, ha risposto che quel muro era una recinzione di mattoni, ma, data la necessità, farà l’impossibile per arrivare prima che lo costruiscano, e se non ce la farà, cercherà di scavalcarlo.

La povertà è molto forte nel nostro paese, dove io sono nato la siccità ci ha colpito gravemente, non c’è modo di poter sopravvivere e mantenere la mia famiglia, per questo voglio emigrare

Per lui, le sue motivazioni sono molto forti. La sua famiglia è rimasta con questo dolore, un dolore che possono capire solo le famiglie che soffrono la migrazione. Ma vivono anche con la speranza di riuscire ad entrare prima che Trump finisca il suo muro.

Sono decine, sono migliaia

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Decine di zaini appesi sul cornicione di un rifugio per migranti in Oaxaca, Messico, in attesa di proseguire il viaggio verso gli Stati Uniti sulle spalle di alcuni migranti.

All’interno dell’ostello riposano decine di migranti e come Will sono in cerca di un’opportunità per entrare negli Stati Uniti senza documenti e senza permesso.

Dovranno affrontare i grandi pericoli che troveranno attraversando il Messico, un paese che negli ultimi anni è diventato la grande frontiera degli Stati Uniti. Senza dubbio la paura è grande, potranno essere fermati dalla migra mexicana o soprattutto, essere rapiti o uccisi da bande criminali organizzate che proliferano lungo tutto il percorso migratorio.

Sono le prime settimane dell’anno. Il flusso migratorio si alza come una schiuma dal confine meridionale del Messico, una frontiera controllata anch’essa dai tentacoli del governo degli Stati Uniti. A pochi chilometri da Palenque, dove siamo, è stato costruito un grande porto di frontiera che funge da filtro per la migrazione. Lì, nel 2014, venne dato il via al “Plan Frontera Sur“, che per molti non è servito a niente se non a formalizzare la persecuzione e la repressione nei confronti dei migranti.

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Plan Frontera Sur, il muro del Messico per i migranti centroamericani

Mentre a Washington si svolge la cerimonia di investitura, Abel e i suoi compagni sperano che passi presto il treno per continuare il loro viaggio. Non hanno altra scelta se non quella di continuare. Sono giovani come la maggior parte di coloro che emigrano, dicono, “senza paura“. Lo dicono perché la situazione è molto difficile nel loro paese. Le loro vite non sono al sicuro, ed in qualsiasi momento potrebbero essere uccisi dai “maras” (gang criminali n.d.R.).

Si stima che dal Messico transitino ogni anno circa 400 mila migranti, ma di recente un funzionario del governo messicano Luis Videgaray, ha sostenuto che la cifra potrebbe arrivare a 500 mila, vale a dire mezzo milione. Per la maggior parte provenienti dall’America centrale. Videgaray ha riconosciuto che è un problema che riguarda anche il governo degli Stati Uniti e che devono risolvere insieme, come avevano già fatto con Barack Obama.

Gli accordi

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“Vanno veloce come il vento, pregando il cielo perché niente li fermi”

Il problema è sotto gli occhi di tutti. Con Trump, il Messico velocizzerà il Plan Frontera Sur, che è arrivato a deportare più migranti rispetto agli Stati Uniti nel 2015 e nel 2016. Tutto porta a pensare che in questo 2017, continueranno gli accordi e le pratiche. Solo nel mese di gennaio 2017, sono stati deportati in Honduras 4.117 migranti, dei quali il Messico ha espulso oltre la metà, 2.358. I restanti 1.759 sono stati deportati dagli Stati Uniti.

Secondo fonti non ufficiali, i funzionari messicani si sono incontrati privatamente nella città di Tapachula e hanno sorvolato il confine con il Guatemala, con i funzionari del governo di Donald Trump. Finora, il governo messicano non ha ufficialmente informato se già si sia preso un accordo sulla questione.

Per i migranti centroamericani il muro sarebbe un ostacolo in più dei tanti che devono affrontare in Messico, dove si combatte una caccia senza sosta contro di loro, in particolare da parte di agenti delle migrazioni supportati da poliziotti armati con fucili. Non importa se sia notte inoltrata e tra le montagne, vengono comunque detenuti con insulti, percosse e molestie da parte delle autorità di polizia, e la situazione con Donald Trump al potere, certo non si fermerà. I suoi discorsi bellicosi fanno presagire che anzi potrebbe aumentare.

La sua politica, come si è visto, è razzista e xenofoba. Sia nei confronti di coloro che già vivono negli Stati Uniti, sia per coloro che vogliono andarci. Pochi giorni dopo il suo insediamento, Trump ha firmato un ordine esecutivo che ordinava di continuare la costruzione del muro e accelerava la deportazione di migliaia di persone per il semplice fatto di essere migranti, quindi secondo lui criminali.

Contemporaneamente ha anche ordinato di impedire l’ingresso di rifugiati, visitatori o residenti provenienti da 7 paesi a maggioranza musulmana. Alcuni cittadini di questi Stati sono stati immediatamente arrestati negli aeroporti o rimandati in patria. Migliaia di persone hanno protestato contro questo provvedimento in città e in alcuni aeroporti, soprattutto a JFK di New York.

La paura di essere deportati

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I loro occhi fissi verso nord, gli occhi pieni di paura, gli occhi pieni di speranza

Tony è nato negli Stati Uniti come sua sorella Alexandra, i suoi genitori sono emigrati 18 anni fa da Tabasco. Uno stato “Petrolero” a sud del Messico, ma con grande disuguaglianze sociali, povertà e disoccupazione. Attraversarono il confine con Daniel che aveva 5 anni, ed oggi è un Dreamer sotto la protezione della DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals). La madre Arely racconta che Tony e Alexandra hanno trascorso la giornata delle elezioni incollati al televisore. Quando hanno capito che Donald Trump aveva vinto le elezioni, si sono avvicinati alla madre, l’hanno abbracciata e con un perfetto spagnolo le hanno detto “Non ti preoccupare mamma, staremo bene in Messico, se non ci vogliono in questo paese, ce ne andremo.”

Barack Obama ha deportato quasi tre milioni di migranti, separato migliaia di famiglie. Con Trump le cose andranno ancora peggio, dice Arely. Abbiamo paura di andare a lavorare un giorno e non tornare più, che ci deportino in Messico, anche se so che è il nostro paese, sarà molto difficile sopravvivere, inevitabilmente soffriremo.

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La doppia morale dei politici messicani si è fatta concreta. I senatori, governatori, anche organismi come il CNDH (Comisión Nacional de los Derechos Humanos) – di coloro che ci hanno a cuore perché cercano nuove forme pubbliche – avevano detto che avrebbero intrapreso una vigorosa difesa dei diritti e della dignità dei cittadini messicani negli Stati Uniti, prima delle minacce di Trump. Con i riflettori puntati, molti si sono stracciati le vesti come il governatore del Chiapas, Manuel Velasco, che richiama tutti all’unità. Ha detto che è tempo di costruire ponti e non muri, dimenticando forse che lo stato che lui governa è al primo posto per detenzioni e deportazioni dei migranti centroamericani.

A differenza di alcune città degli Stati Uniti, i cui sindaci hanno annunciato di difendere i migranti e continuare la politica delle città rifugio, nonostante la minaccia del presidente Trump di togliere loro i fondi federali. Quante città rifugio per i migranti esistono in Messico?

La migrazione, come dicono quelli che percorono e studiano la rotta migratoria, non si fermerà. Si tratta di un insegnamento della storia stessa, perché le persone fuggono e fuggiranno sempre dai loro paesi per la corruzione, la violenza e la povertà. Mentre i paesi potenti non freneranno il loro interventismo e dispotismo, anche le persone continueranno a migrare da sud a nord in cerca di quello che per secoli gli è stato rubato.

Continueranno ad emigrare, ma è una realtà che più ci saranno muri, più ci saranno morti.

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“Il Messico è considerato uno dei più importanti corridoi di migrazione nel mondo, in migliaia attraverano il paese, ma è anche considerata la via più pericolosa e mortale per coloro che scelgono o sono costretti a migrare”

No wall, No al muro, No al Plan Frontera Sur

Chi scrive: Ruben Figueroa attivista e difensore dei diritti umani
Coordinatore del Sud – Sud Est del Movimiento Migrante Mesoamericano
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