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Taranto, marzo 2017. Contro la politica della paura, per un’accoglienza degna

Una nota della Campagna Welcome Taranto

Negli ultimi giorni diverse decine di persone hanno occupato un enorme stabile, da anni in stato di abbandono, in seguito alla diffusione della notizia secondo la quale sarebbero stati presto lì trasferiti alcune centinaia di richiedenti asilo. L’occupazione ha avuto un notevole seguito mediatico, e ha trovato risalto anche sulla stampa nazionale. È necessario – in ragione della rilevanza della vicenda e del dibattito pubblico che l’accompagna – provare a fare una passo in avanti, osservando le dinamiche che accompagnano questa occupazione in maniera non ideologica, ma attenta alle complesse dinamiche che attraversano i quartieri della città. Proponiamo, quindi, una breve analisi, che insiste su alcuni punti che, dal nostro punto di vista, sono qualificanti della vicenda.

– La nostra sensazione è che quanto accaduto sia un perfetto paradigma della condizione di difficoltà generalizzata, di precarizzazione e di impoverimento diffuso che avvolge la città. È qui che bisogna guardare, innanzi tutto, per provare a capire il contesto nel quale nasce l’occupazione. L’arrivo dei richiedenti asilo è un elemento detonatore di tensioni e conflittualità che nascono altrove, e che continueranno – in assenza di politiche adeguate – a covare sottotraccia, anche quando questa vicenda sarà in qualche modo risolta.

– C’è stata un’evidente strumentalizzazione da parte di esponenti politici di centrosinistra e di destra, che hanno agitato lo spauracchio del profugo in arrivo per provare a gestire fette di consenso personale, in vista delle prossime elezioni. Questa relazione tra politica e fasce di popolazione marginalizzata non è, ovviamente, una novità, ed è centrale nelle dinamiche politiche ed elettorali della città.

– Bisogna provare a stare alla larga da una certa enfasi sulla capacità di autorganizzazione dei ceti popolari impoveriti. È evidente come l’occupazione sia stata suggerita dalla politica, e ci sono testimonianze dirette in questo senso.

– E’ centrale anche il tema di altri poteri forti che attraversano e governano una parte importante di città. Pensiamo evidentemente alla criminalità organizzata, che sembra avere un ruolo in questa vicenda e che, più in generale, ha un peso importante nelle dinamiche di molti quartieri, e non lo scopriamo certo oggi.

– E’ necessario, allo stesso tempo, evitare di leggere la vicenda soltanto come un atto di prepotenza della malavita. La criminalità organizzata prolifera dove c’è marginalizzazione, impoverimento, crisi delle istituzioni pubbliche, culturali ed educative. È qui che vogliamo rivolgere lo sguardo: ci interessa comprendere le cause della marginalità, al fine di combatterla.

– Non esiste alcuna “predisposizione” al razzismo, alla marginalità e alla criminalità. Sono tutti prodotti sociali: è ai fattori di produzione della paura e dell’emarginazione che bisogna guardare per comprendere le dinamiche e provare ad intervenire politicamente.

– Il tema del razzismo è una parte di questa vicenda complessa e stratificata. Allo stesso tempo, non è la cifra complessiva di quanto accaduto. Ci siamo trovati difronte ad un razzismo strisciante, di quartiere e di strada, non sovrapponibile a quello delle destre organizzate. Con questo razzismo bisogna farci i conti, che ci piaccia o no. È una componente della società, e insiste in maniera ancora più accentuata nelle fasce impoverite di popolazione. Una politica antirazzista che sia potenzialmente efficace deve comprendere le ragione profonde che lo incoraggiano, e deve provare a combatterle. È un terreno che non va abbandonato, quello dei quartieri complicati. Sarebbe facile, seguendo lo stile di un certo antirazzismo da salotto, starsene con le mani in mano stigmatizzando e razzializzando i comportamenti contradditori e a volte irritanti che attraversano i quartieri marginalizzati. Al contrario, vicende di questo tipo sono, in ogni caso, fatti nostri: bisogna provare a starci dentro ed elaborare gli strumenti più efficaci per metterci le mani – senza paura di sporcarsele – per provare a venirne fuori, insieme.

– Esiste un tipo di accoglienza patogena. È l’accoglienza dei grandi numeri, delle concentrazioni elevate di richiedenti asilo. Non sorprende che stampa, abitanti e opinione pubblica abbiano ritenuto verosimile che in uno stabile fatiscente potessero essere ospitate centinaia di persone. Questo tipo di soluzione è un danno per i richiedenti asilo, che non sono messi nelle condizioni di poter attivare le proprie risorse, entrare in connessione con il territorio e iniziare percorsi di inclusione socio lavorativa. È un danno anche per i quartieri e per gli attori sociali e istituzionali: è una vera e propria ghettizzazione di massa, che alimenta razzismi e intolleranza e pone in forte difficoltà le persone accolte.

– Esiste, viceversa, uno stile di accoglienza virtuosa. È l’accoglienza dei piccoli numeri diffusi, potenzialmente in grado di configurare vere opportunità – per i richiedenti asilo e per il territorio circostante. Ci sono esperimenti consolidati in tal senso, da nord a sud. È responsabilità della politica – e degli enti gestori – sostenere l’opzione dell’accoglienza in piccoli numeri per favorire politiche di inclusione e contrastare le speculazioni.

– Il tema del diritto all’abitare è centrale in questa vicenda, e risuona nelle rivendicazioni degli occupanti, e anche nelle prospettive di molti migranti, soprattutto quando vivono illegalizzati dalle politiche pubbliche, quando è terminato il diritto all’accoglienza nei centri, e quando l’assenza di lavoro stabile rende difficile affittare una casa. È qui che probabilmente è più utile guardare al fine di elaborare un linguaggio e una pratica politica che miri a sovrapporre e intrecciare le rivendicazioni di tutt*.

– Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni comunali, il tema dell’immigrazione sarà costantemente presente nel dibattito pubblico. Non bisogna disertare il dibattito: in assenza di una presenza forte delle forze antirazziste, è facile immaginare che tale dibattito sarà un rincorrersi di barbarie e rappresentazione di fatti che non hanno niente a che fare con la realtà.
Viceversa, bisogna portare tutti a schierarsi, partendo da due temi centrali nel rapporto tra politiche migratorie e territorio: “Quale tipologia di accoglienza le pubbliche istituzioni a Taranto vogliono progettare?” “Che fare con l’hotspot, strumento di contrazione del diritto d’asilo e a volte anticamera della marginalità e della clandestinizzazione?“, consapevoli dei limiti – ma anche delle potenzialità – che gli enti locali possono e devono avere in tema di progettazione, indirizzo e gestione delle politiche migratorie.

– La comprensione del contesto sociale nel quale nasce l’occupazione di questi giorni e l’organizzazione del dibattito pubblico intorno ai cruciali temi dell’accoglienza degna e del diritto d’asilo sono elementi necessari ma non sufficienti. Ci interessa attraversare i conflitti che si sviluppano in città non soltanto per provare a comprendere, in maniera non ideologica o romantica, cosa agita i quartieri, ma anche e soprattutto per immaginare e costruire – insieme a tutte le forze politiche e sociali antirazziste della città – una campagna politica che tenga insieme le legittime rivendicazioni di tutt* quell* che vivono e si muovono in basso, tarantini e stranieri.

Campagna welcome Taranto

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