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“We need doctors”. Ma a Belgrado prestare soccorso ai migranti è illegale

Un report a cura di Spazio Salute Popolare, Collettivo SPAM e Scuola di Italiano Liberalaparola (Padova)

Photo credit: Dario Fichera (Spazio Salute Popolare, Padova)

Il 24 febbraio un gruppo di 7 volontari appartenenti a “Spazio Salute Popolare”, scuola di italiano “Liberalaparola” e collettivo universitario “SPAM” di Padova, insieme ad un videomaker del Laboratorio LUME di Milano, sono partiti alla volta della Serbia per portare supporto ai migranti accampati all’interno dell’ex deposito della stazione centrale di Belgrado. Questa iniziativa è stata intrapresa all’interno della campagna #OverTheFortress promossa dal progetto Melting Pot, che ha visto nell’ultimo anno un susseguirsi di “staffette” provenienti da diverse città d’Italia con destinazione i Balcani – una delle principali rotte migratorie che ci sono state in tempi recenti dal Medio Oriente con direzione Europa.

Nelle due settimane precedenti la partenza sono stati attivati a Padova dei punti di raccolta di materiale sanitario e offerte, ottenendo una risposta superiore alle aspettative da parte della cittadinanza: al momento della partenza erano ben 5 gli scatoloni con farmaci, medicazioni e strumentazione varia (fonendoscopi, sfigmomanometri, lucciole e un otoscopio).

Photo credit: Ziggypic
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Una volta giunti al cospetto di quelle che vengono chiamate semplicemente “barracksl’impatto emotivo che si ha è violentissimo: strutture fatiscenti circondate da cumuli di immondizia, che con le loro banchine di carico e gli ampi piazzali, complice anche la costante fuoriuscita di fumo denso dai camini, riportano alla mente scene tetre di una storia recente che avremmo sperato esaurita da decenni – quantomeno nel continente europeo.

Un’ulteriore stretta allo stomaco si ha affacciandosi agli enormi capannoni, all’interno dei quali aleggia una nebbia data da fuochi di fortuna che i migranti usano per scaldarsi bruciando qualsiasi tipo di materiale a loro disposizione; la plastica purtroppo è di ampio utilizzo come combustibile in quanto sprigiona un quantitativo maggiore di calore rispetto alla legna, nonostante le maggiori esalazioni prodotte; cosa che già può rendere l’idea su quanto possa essere ristretto l’orizzonte di “futuro” di queste persone.

L’intera superficie, che ospita attualmente circa 700 persone di varia provenienza (la maggior parte da Pakistan, Afghanistan e Siria), è “servita” da 5 lavandini a cielo aperto e una decina di bagni chimici installati grazie a gruppi di volontari giunti da diversi paesi. Volontari che si sono auto-organizzati e costituiscono l’unica forma effettiva di supporto per queste persone, volutamente trascurate da parte del governo Serbo che mal tollera l’esistenza di questo campo profughi spontaneo nel cuore della capitale. In particolare operano in questa situazione l’associazione “Food for Idomeni” che fornisce un pasto a pranzo, gli spagnoli di “No Name Kitchen” che preparano un bicchiere di zuppa calda alla sera e gli inglesi “SoulWelders” che seguono la logistica e la distribuzione di legna “pulita” per fare il fuoco.

Photo credit: Ziggypic
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Un’altra cosa che balza subito all’occhio è la composizione delle persone che trovano riparo qui: si tratta esclusivamente di uomini con un’età compresa fra 12 e i 30 anni circa. I bambini, le donne e gli anziani infatti sono dovuti andare all’interno dei campi governativi, stremati dalle condizioni di vita estreme date dal clima rigido dell’inverno e da una situazione igienico-sanitaria che va ben oltre la precarietà. Gli stessi ragazzini hanno riferito la volontà di rimanere al di fuori di queste strutture governative per non dover rinunciare alla possibilità di muoversi e poter così quindi continuare a coltivare la speranza di varcare le mura dietro alle quali l’Europa si è trincerata.

Abbiamo tirato un respiro di sollievo vedendo ai margini di quest’area un ospedale da campo gestito da una ONG, salvo poi scoprire che a causa delle severe restrizioni del governo i tendoni sono semplicemente adibiti a magazzino logistico e dormitorio, per il trattamento di qualche caso di ipotermia e di scabbia. Nessun altro tipo di cura o assistenza.

A questo punto abbiamo deciso di separarci: gli attivisti dello Spazio Salute Popolare si sono organizzati per fornire assistenza sanitaria in loco mentre gli altri componenti si sono prodigati per aiutare nella costruzione di un punto docce, bonificando l’area designata in cui erano presenti cumuli di rifiuti di ogni sorta, scavando la canaletta per gli scarichi e procedendo ad una pulizia accurata della superficie.

Photo credit: Amalia Ruffolo (Scuola di Italiano Liberalaparola, Padova)
Photo credit: Amalia Ruffolo (Scuola di Italiano Liberalaparola, Padova)

Dopo un primo sopralluogo sono stati presi contatti con una dottoressa inglese e un’infermiera statunitense, giunte in precedenza quaggiù in modo spontaneo, e insieme a loro è stato allestito un punto medico – niente di più che una tenda con un tavolo e un paio di sedie in un punto del campo che non desse troppo nell’occhio – rimasto aperto tutto il pomeriggio e buona parte della sera e che ha visto un’affluenza costante, tanto che è stato necessario dare dei “ticket” con i turni alle persone in attesa.

I migranti che abbiamo visitato erano prevalentemente dei giovani con un pregresso ottimo stato di salute e che presentavano disturbi e patologie legate al lungo viaggio, alla permanenza stessa nel campo ed ai tentativi (spesso infruttuosi) di attraversamento dei confini.

Nello specifico: le patologie più frequenti sono quelle infiammatorie a carico delle vie aeree (a causa delle esalazioni tossiche alle quali sono esposti di continuo); le polmoniti, anche e soprattutto a causa del gelo invernale; i dolori reumatici causati dalla permanenza in luoghi umidi (nelle barracks piove e nevica all’interno) e negli acquitrini presenti sui confini; le ferite (molto spesso infette, anche in maniera piuttosto grave) derivanti dalle percosse ricevute dalla polizia di frontiera e dai morsi dei cani che gli vengono sguinzagliati contro. Ci sono anche numerosi casi di disturbo post traumatico da stress a causa di tutto quello che hanno visto e vissuto lungo il loro esodo, e ci hanno riferito che i casi di suicidio (in genere per impiccagione) sono frequenti.

Verso fine serata la nostra presenza non è passata inosservata, tanto che si sono presentati dei funzionari del commissariato serbo per i rifugiati che ci hanno intimato di non perseguire nelle nostre attività, altrimenti avrebbero richiesto l’intervento della polizia. Condizioni difficili da accettare per noi viste le condizioni in cui sono costrette a vivere – se di vita si può parlare – queste persone, e considerando che come personale sanitario abbiamo deciso di sottostare a delle norme etiche che ci impongono di soccorrere chiunque sia in condizione di bisogno, a prescindere dal paese di provenienza o dal permesso di soggiorno.

Questa visita ha avuto delle ripercussioni però sul nostro modo di operare, volendo più che altro scongiurare il sequestro del materiale che abbiamo portato fin là, tanto che dal giorno successivo si è optato per evitare di utilizzare il punto medico – ormai segnalato – e di girare direttamente per i ricoveri con degli zaini attrezzati.

Photo credit: Ziggypic
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Domenica sera abbiamo partecipato anche noi alla prima assemblea generale dei volontari, presso il cafè della stazione, che ha avuto l’intento di stilare delle linee direttive nell’organizzazione del lavoro e convogliare le energie nella stessa direzione sincronizzando gli sforzi di tutti.

Alla fine dell’assemblea è stata fatta un’analisi del lavoro compiuto fino a quel momento e sono stati individuati dei responsabili per il coordinamento dei vari progetti (sulla base della disponibilità alla permanenza a medio o lungo termine) e sono stati fissati degli obiettivi per la settimana, in attesa di una nuova assemblea la domenica successiva.

Mentre scriviamo, i volontari stanno ultimando l’area docce/lavandini, fondamentale per il miglioramento delle condizioni igieniche dei migranti e si stanno valutando nuove metodiche di distribuzione della legna, per evitare che questa venga accaparrata tutta da piccoli gruppi e si creino litigi all’interno del campo. L’assemblea ha inoltre deciso che chi arriva autonomamente a Belgrado per aiutare al campo debba incontrare i responsabili alle ore 9:00 del mattino presso il Cafè della stazione, per poter essere smistato in base alle proprie competenze ed ai bisogni della giornata o della settimana.

Come Spazio Salute Popolare abbiamo intenzione di tornare nuovamente laggiù per proseguire l’azione di supporto data dal gruppo dei sanitari internazionali e di rimanere nel campo per un periodo più lungo, di almeno un paio di settimane.

Photo credit: Ziggypic
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Siamo rimasti in contatto con le realtà autorganizzate che operano in loco, e terremo monitorata la situazione, che è in continuo mutamento, visto che la volontà delle istituzioni è quella di sgomberare al più presto il campo per proseguire la costruzione del Belgrade Waterfront: un progetto immobiliare finanziato dalla “Eagle Hills” di Abu Dhabi, contestato persino dai residenti del bellissimo quartiere residenziale di Sava Mala, a ridosso del fiume Sava, poco prima della sua confluenza nel Danubio.

Ritornare alla nostra quotidianità è stato incredibilmente difficile, soprattutto considerando l’abisso che divide il nostro stile di vita dal loro – seppur molti vivessero, prima dei conflitti scoppiati nelle loro terre di origine, in condizioni totalmente sovrapponibili alle nostre. Sapere poi che tutto questo viene alimentato dall’indifferenza, quando non dall’odio, che trova terreno fertile nell’Europa dei nazionalismi e della tutela degli interessi propri fa ulteriormente male. La consapevolezza di aver portato un minimo di sollievo e di denunciare quello che sta succedendo non rimane che un palliativo, è necessaria che da queste scaturiscano indignazione ed iniziative condivise per rendere effettivi quelli che sono i principi stabiliti nella carta dei diritti fondamentali dell’Europa stessa: Dignità, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza, Giustizia.

Anche per questo saremo a Venezia il 19 Marzo in marcia fianco a fianco per l’umanità, per un Veneto che accoglie e per dare corpo e parola a chi non accetta un presente di odio e barbarie.

Photo credit: Ziggypic
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