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Dopo la Jungle

In Francia aumenta la criminalizzazione dei migranti anche minorenni e le intimidazioni nei confronti delle organizzazioni solidali

11 aprile: incendio al campo a Grande-Synthe, Dunkerque. Foto tratta da http://care4calais.org/

A Calais il tempo si è fermato. In piena campagna presidenziale, il monopolio della parola sulla situazione dei migranti e dei rifugiati in Francia è tenuto da Marine Le Pen, candidata del Front National (FN). La campagna politica “Zero migranti” imperversa: si parla di frontiere, di espulsioni e di respingimenti mentre volontari e associazioni procurano clandestinamente cibo e cure nei boschi di rovi della periferia o nella zona industriale delle dune di Calais.

Le innumerevoli denunce espresse dalle strutture di solidarietà che prestano servizi vitali ai migranti arrivati di recente in Francia o tornati dai CAO (centri di accoglienza e di orientamento) dove erano stati portati, oppure di quelli che non sono mai partiti da Calais, restano inascoltate. Per il governo francese in carica i migranti sono invisibili, la questione è risolta.
Centinaia di persone, minorenni inclusi, vivono al freddo in decine di squat molto ‘discreti’ che vengono usati per dormire qualche ora e poi ripartire all’alba senza lasciare tracce. A questi posti inospitali si aggiungono i luoghi, angoli, spazi ‘effimeri’ dove i migranti possono stendere un sacco a pelo per poco tempo perché le pattuglie della Police disperdono ogni gruppo visibile. Lo scorso gennaio, più di 2.000 persone sono state trovate nascoste nei camion diretti verso l’Eurotunnel o verso i porti di Calais e di Dunkerque. La Prefettura ha chiuso le aree di parcheggio sull’autostrada da febbraio.

Ci si ritrova nella stessa, se non peggiore situazione vissuta dopo la chiusura di Sangatte, gestita dalla Croce Rossa, decisa da Sarkozy nel 2002. Al tempo, i migranti si erano nascosti nei blockhaus, ripari di difesa militare della seconda guerra mondiale, poi murati. Rimaneva solo la boscaglia delle dune, come oggi.
Bernanrd Cazeneuve, al tempo ministro dell’Interno, ha smantellato la bidonville di Calais ma non ha pensato né al dopo né alle conseguenze umane della sua decisione. L’assenza di politiche migratorie nel rispetto dei diritti e della dignità umana, come il vuoto che questa scellerata e criminale scelta ha causato, sono colmati dall’emergenza e dalla presenza poliziesca il cui compito, meglio dire missione, è quello di impedire ogni forma di accampamento e di dare la caccia a chiunque abbia l’aspetto di un esule.
I migranti vengono fermati anche se sono richiedenti asilo in attesa di documenti, spesso gli unici ‘papiers’, come per esempio un atto di nascita, vengono confiscati, gli effetti personali gettati via. Polizia e CRS vanno in giro a malmenare e a svegliare con “Good morning” e un getto di spray lacrimogeno gli accampati che scovano durante la notte, oppure si piazzano davanti alle docce del Secours catholique e scelgono in modo aleatorio chi portare in commissariato.

Le associazioni si organizzano per distribuire almeno un pasto al giorno, poi portano pane e prodotti conservabili nella boscaglia. Circa 200 abitanti di Calais ospitano i migranti a turno. La sindaca di Calais, Natacha Bouchart (Les Républicains) ha vietato l’installazione di docce ed emesso il divieto di distribuire pasti, attivisti delle associazioni sono finiti in Tribunale, ma Refugee Community Kitchen, l’Auberge des migrants, Médecins du monde, Care4Calais, Salam, Utopia 56, continuano a distribuire il cibo e cure mentre i poliziotti fanno foto alle targhe delle auto e dei furgoni dei cittadini che aiutano i migranti.
Il blocco umanitario e la negazione dell’accesso alla distribuzione di cibo non si era verificato né dopo Sangatte e neanche prima dell’apertura del centro Jules-Ferry nel 2015.
Allo stesso tempo i servizi di igiene pubblica hanno imposto alle cucine collettive di mettersi a norma entro maggio, ma ci vorrebbe un investimento di 120mila euro che non esiste nella casse dei volontari.
La pressione sulle organizzazioni di aiuto e di solidarietà ai migranti che da almeno quindici anni si occupano di accoglienza è sempre più forte, l’intimidazione ha raggiunto dei livelli inaccettabili mettendo in causa persino le associazioni che si occupano dei minorenni non accompagnati. Ragazzini di 8, 10 anni e adolescenti vivono nella paura, viene negato l’accesso al cibo, subiscono violenze e minacce, aggressioni e lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine, corrono pericoli enormi nel tentativo di passare in Inghilterra.
Le loro testimonianze, quando raccolte, sono rivoltanti : “Sai quanti paesi ho attraversato? Nessuno mi ha mai dato uno schiaffo, un colpo, una spinta. In Francia ho preso di tutto“, dice Rafi, afgano dodicenne.