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I fondi europei per il Sudan potrebbero peggiorare il destino dei rifugiati

Vivek Shah, Eurobserver - Sudan 10 aprile 2017

Photo Credit: United Nations Photo

Negli ultimi due anni, l’UE ha sviluppato legami sempre più stretti col Sudan, un Paese una volta globalmente ostracizzato per aver sostenuto attività terroristiche e abusi dei diritti umani. Ma i diritti umani stanno passando in secondo piano dal momento che l’UE si sta muovendo per fermare il flusso di rifugiati e migranti ai suoi confini.

L’amichevole partenariato tra l’UE e il Sudan è in parte finanziario: l’UE ha stanziato fino ad ora meno di 215 milioni di euro al Sudan per tenere a freno l’immigrazione – una cifra che è più alta di 38 milioni di euro rispetto a quanto annunciato nel luglio dello scorso anno. Il Sudan, nel frattempo, non ha fatto mistero di star impiegando delle già tristemente note milizie alleate del governo per arrestare più migranti alle sue frontiere.

Ciononostante, l’UE ha approvato a metà dicembre l’ultima porzione dei fondi destinati al Sudan, in totale 38 milioni di euro. Non solo, a gennaio 2017, il partenariato è stato confermato in un incontro tra un inviato dell’UE e un sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri sudanese.

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Mentre i funzionari dell’UE sostengono che il denaro sia strettamente destinato a sostenere gli sforzi umanitari nel Paese, gli osservatori del Sudan si chiedono come questi fondi possano essere veramente monitorati o se, in realtà, il Sudan stia devolvendo questi fondi alla milizia – cosa che starebbe ulteriormente esacerbando la crisi migratoria. Gli scettici sostengono anche che sostenere in ogni modo il governo sudanese, sia materialmente che in altre maniere, equivarrebbe a legittimarlo.

In aggiunta al supporto dell’UE, i singoli Stati Membri stanno sostenendo gli sforzi della lotta alla migrazione del Sudan. Una delegazione sudanese ha affermato di aver raggiunto in ottobre un’intesa comune con la polizia tedesca per combattere la migrazione irregolare e il traffico di esseri umani.

Oltre a provvedere all’addestramento e all’equipaggiamento della polizia sudanese, il governo tedesco ha stanziato circa 12 milioni di euro per i progetti volti a fermare i migranti africani, i quali usano il Sudan come una via di transito verso l’Europa.

La Germania non è il primo Paese europeo a raggiungere un accordo. In agosto, l’Italia ha firmato un accordo con il Sudan per contrastare l’immigrazione e, tre mesi dopo, si è aggiudicata il primato per aver rimpatriato un gruppo di sudanesi che tentavano di attraversare l’Italia per arrivare in Francia. 1

Le attività tedesche e italiane di contrasto all’immigrazione ricadono nel più ampio quadro di cooperazione tra Sudan e UE per limitare i flussi verso l’Europa, attraverso quello che è conosciuto come “Processo di Khartoum”. Dallo scoppio della crisi siriana nel 2011, l’Unione Europea ha dovuto affrontare un crescente numero di migranti che cercavano di entrare nel territorio, con 1.3 milioni di richiedenti asilo alla fine del 2015.

Per porre fine a questa tendenza, l’UE ha concordato di fermare i rifugiati e i migranti che tentano di entrare in Europa con il Sudan e altri Paesi che si trovano lungo le rotte migratorie. Il Processo di Khartoum, lanciato nel novembre 2015, ha cambiato profondamente la posizione dell’UE nei confronti del Sudan.

Ma la partnership europea con il Sudan non si è fermata al Processo di Khartoum: si è invece rafforzata al Summit de La Valletta nel novembre 2015 e con l’istituzione dell’Emergency Trust Fund for Africa, sviluppato per fronteggiare le crisi migratorie delle regioni del Sahel e del lago Chad, così come del Nord Africa e del Corno d’Africa.

Secondo una fonte interna all’UE, le risorse disposte per il fondo corrispondono a poco meno di 2 miliardi di euro, in cui non figurano i circa 173 milioni di euro stanziati per la gestione dell’immigrazione nel Sudan.

Inoltre, la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, hanno annunciato nel luglio del 2016 misure per estendere il supporto finanziario dell’UE alle attività di gestione dell’immigrazione e dei confini anche ai Paesi partner come il Sudan. Secondo l’UE, i finanziamenti avverranno attraverso le agenzie per lo sviluppo dell’Unione Europea invece che direttamente dagli Stati Membri.

Nel maggio 2016, lo Spiegel e la televisione pubblica tedesca, ARD, con lo show “Report Mainz”, hanno ottenuto documenti pubblici che dimostravano che i progetti europei per ridurre il fenomeno migratorio nel Paese erano diretti alla protezione delle frontiere.

L’Europa vuole inviare videocamere, scanner e server per la registrazione dei rifugiati presso il regime sudanese, oltre che provvedere all’addestramento della polizia di frontiera e fornire assistenza nella costruzione di due campi di detenzione per migranti.

Il Ministero per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo tedesco ha confermato che i piani di costruzione dei due campi sono vincolanti, anche se i lavori non sono ancora stati avviati. Inoltre, sembra che l’UE stia pianificando di costruire due centri di accoglienza lungo la frontiera tra il Sudan e l’Eritrea a Gedaref e Kassala per fornire le forze di sicurezza sudanesi di veicoli ed equipaggiamento.

L’oppressione Sudanese e i soldi europei

Mukesh Kapila, un ex rappresentante delle Nazioni Unite per il Sudan, ha affermato che l’attuale versamento di fondi e sostegno europei nel Sudan sta “fornendo più risorse al regime per opprimere il suo stesso popolo”.

Il governo sudanese è presieduto dal presidente Omar Al-Bashir da 26 anni, sul quale pende un mandato della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra. Almeno 300.000 persone sono morte e più di tre milioni sono state sfollate, la maggior parte a causa di attacchi letali della milizia governativa Janjaweed.

Il fatto che l’Europa sia sempre più coinvolta con il Sudan nella lotta all’immigrazione, contribuirà a silenziare le già scarse accuse sugli abusi dei diritti umani perpetrati all’interno del Paese. “Negli ultimi anni c’è stato una graduale normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il Sudan, nonostante le accuse della Corte Penale Internazionale verso Bahir”, dice Kapila.

L’impegno dell’UE con Khartoum riflette una strategia più ampia della politica estera occidentale nell’intrattenere rapporti con regimi prima ostracizzati. Gli Stati Uniti hanno annunciato a gennaio che avrebbero alleggerito le sanzioni economiche dopo i recenti sforzi del Sudan nella lotta al terrorismo e nella riduzione delle operazioni militari nei conflitti locali e di confine.

Gli Stati Uniti sono stati i primi a imporre sanzioni al Sudan nel 1997 per problematiche legate al terrorismo, alle quali se ne sono aggiunte altre nel 2006 a causa della complicità del governo nelle violenze nella regione del Darfur.

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Il Sudan adesso viene visto dai Paesi dell’UE – in particolare Germania e Italia, ma anche Regno Unito – come uno Stato che ha bisogno di essere riportato indietro alla posizione in cui era cinque o dieci anni fa e non solo in tema di migrazione”, ha detto Magnus Taylor, analista del Corno d’Africa per l’International Crisis Group, un gruppo di interesse focalizzato sulle politiche di riduzione dei conflitti armati.

Questa “normalizzazione” delle relazioni e ciò che i diplomatici hanno chiamato “periodo di impegno”, ha detto Maddy Crowther, capo delle comunicazioni, ricerca e asilo a Waging Peace, un’organizzazione sui diritti umani che si batte contro il genocidio e la violazione dei diritti umani in Sudan.

Il risultato della “normalizzazione” delle relazioni si è tradotto in molte meno dichiarazioni sul Sudan da parte del Regno Unito, ha continuato Crowther. Non solo, il Regno Unito ha condotto diverse visite reciproche per discutere sui temi dell’anti-terrorismo, dell’intelligence e del commercio.

La celebre Squadra di Rapido Supporto sudanese

Il miglioramento delle relazioni tra UE e Sudan potrebbe anche significare un supporto europeo alla conosciuta milizia sudanese Janjaweed, trasformata nella Squadra di Rapido Supporto (Rapid Support Force – RSF) nel 2013. Così come i loro predecessori, i combattenti della RSF sono noti per le numerose violazioni dei diritti umani all’interno del Sudan. Anche se la funzione principale della RSF sarebbe quella di contrastare i movimenti ribelli nel Paese, la milizia è stata impiegata per reprimere duramente le dimostrazioni di massa a Khartoum nel settembre del 2013.

Nel gennaio del 2016, l’Osservatorio per i diritti umani Nuba Mountains ha condannato le pratiche violente della RSF contro i civili in Abassiya Tagali nel sud Kordofan. E nel giugno 2016, la RSF ha anche portato avanti una campagna di arresti e detenzioni nella capitale dello Stato del Nilo Azzurro, Ed Damazin, per due settimane consecutive a seguito di proteste popolari scatenate dalla loro presenza nella zona e dalle accuse di aver commesso atrocità nei confronti dei civili.

Tuttavia, la stessa squadra è anche stata ingaggiata per frenare l’immigrazione tramite i fondi europei. In gennaio, la RSH ha sventato un tentativo di trasportare un gruppo di migranti irregolari attraverso il deserto della Libia, secondo le informazioni di un funzionario del nord Darfur fornite al The Sudan Tribune, il quale ha anche aggiunto che i migranti catturati provenivano da Etiopia, Eritrea, Somalia e Yemen.

La RSF ha anche detto di aver consegnato più di 1.500 migranti irregolari al Ministero dell’Interno all’inizio di questo mese, affermando di averli catturati vicino alla frontiera con la Libia nello Stato del Nord. Il coinvolgimento della RSF nella lotta all’immigrazione è stato corroborato lo scorso agosto dallo stesso leader della RSF, Mohamed Hamdan “Hemeti”, il quale ha esplicitamente affermato che la sua squadra sta pattugliando la frontiera con la Libia per conto dell’UE.

Un ex poliziotto di stanza ad Al-Borgaig, nello Stato del Nord, ha confermato la presenza della milizia governativa e ha affermato che essa è coinvolta anche nel traffico di droga scoperto a metà luglio dello scorso anno. Il pattugliamento della frontiera da parte della famigerata milizia è iniziato solo dopo che l’UE ha annunciato il suo programma di contrasto all’immigrazione, ha detto Taylor dall’International Crisis Group.

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La RSF pubblica spesso aggiornamenti sulle sue operazioni alla frontiera nella sua pagina Facebook ufficiale. Hamdan ha anche mostrato una lista dei Paesi dai quali provenivano i migranti intercettati dalla squadra, in luglio la lista includeva “49 somali, 75 etiopi, 196 eritrei, 48 sudanesi e un siriano”. Mentre il numero di arresti potrebbe essere esagerato, la loro presenza e le attività lungo i confini sono indubbie, ha detto John Hursh, uno dei principali analisti politici del Sudan per Enough Project.

Inoltre, la legalità delle tattiche di contrasto all’immigrazione della RSF è stata messa in discussione. Nel maggio del 2016, è emerso che 900 eritrei siano stati radunati in Khartoum e, assieme ad altri 400 arrestati mentre erano in viaggio verso la Libia, deportati in Eritrea.

Secondo Meron Estefanos, un attivista eritreo-svedese specializzato in diritti dei rifugiati eritrei, “i rifugiati sono stati messi su dei furgoni e scaricati ai confini con l’Eritrea, dopo di che, la maggioranza non è mai più tornata a casa dalle proprie famiglie”. Human Right Watch (HRW) in una conferenza stampa ha affermato che essere deportati in Eritrea significava molto probabilmente tornare agli abusi e alle violenze.

Il caso dell’Eritrea

I rifugiati che fuggono dall’Eritrea fuggono per lo più dalla leva militare obbligatoria. Sebbene essa abbia ufficialmente una durata di due anni, viene spesso estesa a tempo indeterminato. Come ha spiegato Abdullah Tesfay (nome fittizio), un rifugiato eritreo che si trova a Khartoum, “il servizio militare è una sentenza a vita” per la quale il fallimento nel presentare prove che attestino il suo completamento limita la possibilità di vivere una vita normale. “Riportare quei migranti in Eritrea è da sconsiderati”, ha detto Hursh, aggiungendo che “Sicuramente vuol dire metterli in pericolo. Stai rimandando migranti e rifugiati in un Paese che ha l’ordine di sparare per uccidere coloro che attraversano i confini”.

Con i fondi europei devoluti al Sudan per fermare l’immigrazione a ogni costo, l’Europa sta incoraggiando una milizia che non solo sta facilitando il traffico di rifugiati, ma sta anche incentivandoli a farlo. Kapila, l’ex rappresentante delle Nazioni Unite per il Sudan, è d’accordo. “Questo li ha probabilmente resi più spavaldi e ha dato loro un’altra ragione per continuare con il respingimento degli eritrei.

I funzionari sudanesi sono stati più volte accusati di colludere con i trafficanti che rapiscono i rifugiati per ottenere un riscatto. Un resoconto di Human Rights Watch del 2014 ha confermato attraverso dei testimoni che gli ufficiali di polizia sudanesi hanno avuto un ruolo nella facilitazione del traffico di rifugiati nel Sudan dell’est, specialmente dei rifugiati eritrei.

Per la prima volta l’UE sta pubblicamente fornendo nuovi equipaggiamenti a polizia e altre istituzioni, anche se vi sono prove che gli ufficiali di sicurezza e di polizia sono coinvolti nel traffico di esseri umani”, ha detto il giornalista sudanese Salih Amaar.

Tuttavia, l’UE ha energicamente negato le accuse di collaborare con le autorità sudanesi. Secondo un portavoce dell’UE che ha chiesto di restare anonimo: “L’UE non fornisce nessun supporto finanziario diretto al governo sudanese, non appoggia la RSF e non ha con loro alcuna collaborazione ufficiale”. Il portavoce ha anche affermato che “nessun denaro è stato decentralizzato verso o canalizzato attraverso strutture del governo sudanese”.

Invece, secondo l’UE, l’assistenza al Sudan è accuratamente monitorata e gestita attraverso organizzazioni locali e agenzie internazionali sia a livello regionale che bilaterale, e non attraverso il governo sudanese. L’UE, tuttavia, deve ancora divulgare attraverso quali organizzazione locali o internazionale vengono stanziati i fondi.

Conoscendo il Sudan e il modo in cui funziona il regime, se il governo sudanese ha accettato qualsivoglia condizione proposta dall’UE su come il denaro dovesse essere usato e con quale partner, questo dev’essere sotto il controllo dell’organizzazione sudanese” ha detto Kapila. Secondo Kapila, il Sudan ha impedito per decenni a organizzazioni internazionali e locali di lavorare nel territorio a meno di non essere sotto suo rigido controllo.

Il giornalista sudanese, Nasrine Malik, spiega che la linea tra pubblico e privato è spesso confusa, per cui “il denaro non deve necessariamente viaggiare attraverso i canali ufficiali per raggiungere le tasche del governo”. Secondo l’osservatorio per la corruzione, Trasparency International, il Sudan è considerato uno dei Paesi più corrotti del mondo.

Non ci sono sistemi di monitoraggio trasparenti per tracciare i donatori dei fondi, dice Hursh, e il denaro stanziato per i migranti può essere facilmente sottratto dalla RSF. Lungi non esserne a conoscenza, l’UE potrebbe essere pienamente consapevole di dove i soldi vengano spesi in Sudan.

Le politiche elettorali europee trascurano chiaramente le problematiche umanitarie. Con Germania, Francia, Paesi Bassi e altri Stati Membri impegnati nelle elezioni quest’anno, la necessità di adottare soluzioni più dure in materia di immigrazione si è fatta più pressante. Per dimostrare di non avere più un approccio tenero con i migranti, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha deportato 25.000 migranti nel 2016 e altri 55.000 sono ritornati a casa volontariamente. La Germania una volta conosciuta per una più morbida considerazione dei migranti sta adesso considerando di bloccare gli aiuti allo sviluppo ai Paesi che rifiutano di rimpatriare i propri cittadini ai quali è stata rifiutata la richiesta di asilo.

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Gli investimenti europei nel Sudan puntano a trasformare il Paese da una via di transito per i migranti in un Paese di accoglienza. Mentre ciò accade, cala l’attenzione sui conflitti del Sudan in Darfur e nelle “due aree” del Nilo Blu e delle montagne Nuba. Questi conflitti fanno del Sudan la quinta fonte mondiale di migranti nel mondo. Nel frattempo, vi sono più di 3,2 milioni di persone sfollate all’interno del Sudan, inclusi 2,6 milioni in Darfur.

Queste cifre difficilmente diminuiranno. Mentre Bashir afferma che il conflitto è finito, i combattimenti e gli sfollamenti forzati continuano in alcune aree del Darfur centrale, nell’area di Jebel Marra. Secondo alcuni testimoni oculari e notiziari, nei primi giorni del 2017, degli uomini armati hanno ucciso nove civili e ferito altre 69 persone in una città del Darfur centrale, Nertiti, Jebel Marra, nonostante il cessate il fuoco.

Adnan Bishara, un migrante del Darfur adesso nel Regno Unito, ha affermato che gli abitanti del Darfur cercano disperatamente di fuggire dal Sudan, pur con tutti i rischi che il viaggio comporta. Durante il suo viaggio in Europa afferma “Ho visto tutto… una volta ho visto dieci persone morire di fronte a me perché non c’era acqua sulla barca”.

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero dei cittadini sudanesi che hanno attraversato la rotta del Mediterraneo centrale verso l’Italia (6%) ha superato quelli provenienti dalla Siria (5%). Inoltre, come già confermato dalle statistiche sull’immigrazione del 2015 del Ministero degli Affari Interni inglese, il terzo Paese di provenienza per numero di richieste di asilo è il Sudan.

A seguito di una nuova ondata di maltrattamenti perpetrati dalle autorità sudanesi ai danni di migranti e rifugiati, alcuni eurodeputati hanno sollevato dei dubbi circa la cooperazione dell’UE con il Sudan in materia d’immigrazione. Durante l’ultimo fine settimana di febbraio di quest’anno, 65 richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Etiopia ed Eritrea, sono stati frustati, multati, incarcerati e deportati da Khartoum, dopo aver partecipato ad una manifestazione pacifica per protestare contro l’aumento delle tasse nella procedura di ottenimento del passaporto.

L’eurodeputata Barbara Lochbihler, vicepresidente del Parlamento Europeo nella sottocommissione sui diritti umani, ha manifestato le sue preoccupazioni sulle connessioni dell’UE con un governo che commette violazioni dei diritti umani, affermando che “se i progetti come Better Migration Management (Miglioramento della Gestione della Migrazione, ndt) comportano il rischio per l’UE di diventare complice di abusi dei diritti umani, cosa che credo sia vera, dovremmo abbandonarli immediatamente”.

Anche i parlamentari britannici, in accordo con il gruppo transpartitico sul Sudan e il Sud Sudan, hanno pubblicato un resoconto il 21 febbraio di quest’anno che critica duramente il Processo di Khartoum. Il report ha sottolineato che la reputazione dell’UE come campione promotore di diritti umani era in pericolo di “essere sacrificata sull’altare dell’immigrazione”.

Alcuni componenti interni al governo sudanese hanno cominciato a interrogarsi sull’interesse dell’UE nel fermare l’immigrazione sudanese. Secondo Ismail Omar Tairab, un membro della Commissione Nazionale Sudanese per la lotta al traffico di esseri umani, l’Europa ha posto tutta la sua attenzione sulla sicurezza, tralasciando l’importanza di aiutare i migranti all’interno dei confini nazionali.

L’UE vuole trasformare il Sudan in una enorme prigione per migranti, ed è per questo che tutti gli accordi che hanno stipulato sono con la polizia”, ha affermato Omar in un’intervista con il sito di informazione Al-Yagyeer. I fondi, ha continuato Omar nella stessa intervista, non sono diretti alla protezione dei migranti, solo alla loro vigilanza.

Un migrante del Darfur che adesso risiede in Ghana, Ibrahim Ismail, crede che il governo sudanese stia usando il denaro che proviene dall’UE per continuare a finanziare i conflitti interni contro la sua stessa popolazione. “Il governo del Sudan usa qualsiasi mezzo per raggiungere i suoi scopi e obiettivi, quindi credo fortemente che questo sia vero”.


Vivek Shah è un reporter per Nuba Reports, che produce film e notizie dal fronte nelle zone di conflitto del Sudan. Iniziata nel 2011 da persone che vivono sulle montagne Nuba del Sudan, questa iniziativa giornalistica ha messo assieme reporters sudanesi e internazionali e registi al fine di rendere pubbliche informazioni altrimenti difficilmente reperibili.

  1. http://www.meltingpot.org/Rimpatriati-in-Sudan-presentano-ricorso-contro-l-Italia.html ndr