Nonostante sia una professione relativamente recente, quella dell’accoglienza ha già visto mutare nel tempo la modalità di approccio, di gestione delle micro-dinamiche, intese come azioni-reazioni tra le persone, e delle macro-dinamiche, cioè le relazioni tra enti e sovrastrutture.
Si possono individuare tre principali paradigmi:
– assistenzialistico/paternalistico,
– l’indipendenza,
– l’interdipendenza.
Molto conosciuto e molto studiato, con delle radici storiche molto forti, l’approccio assistenzialistico è stato riproposto in alcuni momenti dell’accoglienza in una versione più paternalistica, generando come ben sappiamo una spirale di dipendenza della persona dal sistema.
L’approccio attuale è quello dell’indipendenza, modello studiato e implementato all’interno delle reti che si occupano di accoglienza diffusa, questo modello si basa sull’accompagnamento della persona verso la capacità di muoversi in autonomia nel tempo e nello spazio, favorendo l’inclusione sociale secondo i canoni delle costruzioni mentali del suo sistema di riferimento.
Uno spunto di riflessione nasce dalla possibilità di superare i concetti precedenti di indipendenza e di inclusione tendendo verso l’approccio dell’interdipendenza, cioè un sistema nel quale persone indipendenti non solo sappiano e vogliano, ma debbano interagire tra loro, mosse dalla necessità volontaria di condivisione di saperi e conoscenze. In uno stadio evoluto del pensiero il bisogno si affranca dalla conseguenza conosciuta di azione istintiva e si unisce al concetto di volontarietà del gesto esprimendo così la consapevolezza della necessità di interconnettersi per vivere meglio. In questa prospettiva, il richiedente che abbia trovato la sua autonomia e si sia affrancato dalla mentalità dell’accoglienza, non dal progetto stesso ma dal velo assistenzialistico di cui sopra, diventa un attore di pari valore agli altri, riconosciuto come tale e generatore quindi di positività dal momento che può (deve) essere snodo della rete di condivisione.
Questa situazione evolutiva si basa sul concetto che tutti i nodi, tutti gli attori, attraverso il loro agito, siano contemporaneamente la forma statica e il cambiamento dinamico del sistema stesso, pertanto l’approccio dell’operatore deve assumere un carattere fortemente proattivo, relazionandosi con il richiedente non più in maniera spontanea ma bensì spintanea, assumendosi un ruolo centrato e preciso rispetto al progetto educativo.
Sarebbe dunque disfunzionale se l’operatore si approcciasse in maniera disorganizzata rispetto al percorso da effettuare, volendo usare una metafora si può paragonare l’operatore a una guida alpina che deve accompagnare la sua cordata verso la cima, lontana, a tratti invisibile, ma che lui conosce.
In questa metafora sarebbe fonte di malintesi e malumori far pensare che la guida possa sostituirsi agli alpinisti, e molto pericoloso far credere che possa portare gli zaini degli altri (dove lo zaino rappresenta il fardello emotivo). Lo sforzo è singolo ma trova sollievo nello sforzo collettivo.
In questo sistema l’operatore assume un ruolo fondamentale, a questo punto la guida, se resta in posizione di guida e non cambia il suo abito, può aiutare realmente:
– è colui che indica la via, non perché sia più bravo ma perché c’è già stato,
– sa evitare i pericoli o per lo meno li riduce al minimo perché conosce l’ambiente circostante,
– non può rimuovere le difficoltà ma deve accompagnare e sostenere.
L’interdipendenza di una cordata può essere il pensiero che accompagni l’operatore, riflettendo su come delle persone, nonostante siano esse indipendenti e capaci di muoversi in autonomia, decidano di condividere le proprie conoscenze e alleviarsi mutualmente i dolori.
Daniele Colombi
Cooperativa Sociale ProSer Valcamonica Onlus