Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La lezione di Milano: camminare domandando

Nuovi scenari e nuove opportunità per i movimenti antirazzisti

Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

La mobilitazione del 20 maggio a Milano può rappresentare uno spartiacque. Centomila donne e uomini hanno attraversato la città, manifestando contro le politiche di chiusura dei confini, per un’accoglienza degna e per i diritti di tutt*. Per un’intera giornata vecchi e nuovi media sono stati inondati dall’energia messa in circolo dai partecipanti al corteo. Immagini, suoni, voci e colori hanno raggiunto luoghi e persone lontane, ben oltre i confini del capoluogo lombardo. È qui situato il primo, grande merito, da attribuire alle donne e agli uomini che hanno dato vita alla manifestazione milanese: per lunghissimi istanti, il dibattito politico che accompagna la questione immigrazione è stato travolto da un immaginario apertamente solidale.

C’è un secondo merito, più specificatamente attribuibile a chi ha partecipato alle mobilitazioni promosse dalle rete Nessuna persona è illegale. Il rischio che la manifestazione finisse per raccontare in maniera edulcorata il rapporto tra migranti, politiche di gestione dei flussi e società è stato infatti scongiurato dai chiari elementi di analisi e proposta politica, ben rappresentati, ad esempio, dai cartelli No one is illegal e No Minniti Orlando. Al di là degli slogan, la battaglia per denunciare tutta l’attualità, la rilevanza e l’arbitrarietà dei dispositivi di produzione giuridica di persone illegali è cartina tornasole della strutturale politicità della gestione dei flussi migratori, oltre ogni rappresentazione neutra e oggettiva.

L’elevatissima partecipazione e la politicizzazione della manifestazione sono due segnali importanti, a partire dai quali può essere utile aprire un’ampia discussione pubblica, alla ricerca degli elementi di novità e dalle sfide poste dalla mobilitazione del 20 maggio.

Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)
Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

Le mille voci della città di sotto

Partiamo dal primo elemento, incontrovertibile: la partecipazione alla manifestazione, dal punto di vista dei numeri e della ricchezza dei temi, è stata assolutamente rilevante. Le immagini provenienti da Milano sembrano fuori contesto rispetto all’idea che in questi mesi e in questi anni ci siamo fatti del rapporto tra società italiana e immigrazione. Certo, razzismi e populismi rappresentano evidentemente una presenza reale, forte, strutturata, organizzata. Allo stesso tempo, esiste un mondo di sotto – attivist*, associazioni, movimenti, sportelli legali, centri sociali, donne e uomini solidali – che è più numeroso e più vivo di come la rappresentazione dominante di una società totalmente vampirizzata dall’egoismo e dalla paura lasci intendere.

Questo mondo di sotto è uscito dal cono d’ombra nel quale è ricacciato dalla rappresentazione mediatica del dibattito pubblico. Altre voci, altri sguardi, altri linguaggi e altri punti di vista hanno raggiunto un pubblico molto più vasto dell’ordinario. È bene non retrocedere da questa consapevolezza: la lezione di Milano, che parla anche a chi ha seguito la manifestazione da altri territori, ci consente, d’ora in avanti, di avvicinarci con un ritrovato ottimismo della volontà alle cruciali sfide politiche che ci attendono.

Non è il caso, evidentemente, di ritenere che i problemi con i quali facciamo quotidianamente i conti – razzismo, politiche securitarie, controllo della mobilità – siano facilmente superabili. Allo stesso tempo, il corteo di Milano ha messo in circolo un’energia positiva, che ci aiuta a combattere un certo sconfittismo che spesso accompagna le iniziative solidali e le mobilitazioni. È possibile prendere parola, in tante e tanti, ed è possibile farlo in maniera aperta, inclusiva e, allo stesso tempo, politicamente determinata.

La politica e l’immaginario

Il significato politico della manifestazione è situato ben oltre il rilevante dato numerico. Due temi su tutti, in particolare, costitutivi della piattaforma Nessuna persona è illegale, restituiscono l’immagine di una mobilitazione non pacificata. La forte presa di parola contro le recenti novità legislative introdotte dalla legge Minniti Orlando ha evitato che la manifestazione di Milano fosse ridotta ad un generico ed astratto appello all’accoglienza, lontano dalle cruciali contraddizioni del presente. Più in generale, l’idea di richiamare, nel nome stesso della proposta politica Nessuna persona è illegale, tutta la rilevanza e l’attualità dei dispositivi giuridici di produzione di persone in condizione di illegalità è un messaggio politico inequivocabile. È qui rintracciabile – nell’illegalizzazione generalizzata – la razionalità di fondo che governa le politiche migratorie. Un numero significativo di donne e uomini, a partire dalle prassi introdotte nell’ambito dell’approccio hotspot, è arbitrariamente escluso – in ragione della nazionalità di provenienza – dalla possibilità di presentare domanda di asilo. Gli effetti di questa produzione di illegalità su larga scala sono rintracciabili, ad esempio, nelle condizioni di lavoro e di vita delle persone escluse dalle procedure e destinati a vivere strutturalmente ai margini.

Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)
Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

In una fase politica nella quale gli hotspot, nonostante l’illegittimità delle politiche di differenziazione e trattenimento, denunciate a più voci da rilevanti organizzazioni nazionali ed internazionali, costituiscono ormai una presenza assodata e normalizzata, affermare con forza che Nessuna persona è illegale è un posizionamento netto nell’attuale dibattito politico, contro le politiche di differenziazione tra richiedenti asilo e cosiddetti migranti economici.

Più in generale, ancor prima della definizione delle proposte e dei valori in campo, è in corso una cruciale battaglia per politicizzare il dibattito sull’immigrazione. Prevale, nell’attuale dibattito pubblico, una rappresentazione neutra e oggettiva della politiche di gestione dell’immigrazione. Contro questa idea, è necessario riaffermare – ad ogni latitudine – che l’immigrazione non è soltanto una vicenda sociale, ma è un fatto strutturalmente politico, e l’esperimento milanese ci consegna, anche da questo punto di vista, risultati incoraggianti.

La società va attraversata

Il transito dei migranti ci invita ad immaginare i confini come dei dispositivi strutturalmente permeabili. Negli ultimi anni alcune precise scelte politiche di chiusura dei confini fisici, giuridici e sociali hanno drasticamente peggiorato la qualità della vita dei transitanti e ridotto le possibilità di passaggio verso gli altri paesi europei. Nonostante queste politiche, tant* donne e uomini continuano a sfidare il regime di controllo della mobilità e a violare i confini.

È un immaginario forte, politicamente situato, e può rappresentare un’efficace metafora per ridefinire il nostro rapporto con la società. Anche la società, infatti, come i confini, è strutturalmente permeabile. Nonostante i discorsi d’odio, i razzismi e i populisti, è necessario e possibile attraversare il dibattito pubblico, per organizzare la società intorno a valori radicalmente alternativi a quelli dominanti. Questo è, forse, l’insegnamento più grande che ci arriva dalla lezione di Milano. Se scegliamo di camminare domandando, fuori dagli steccati all’interno dei quali ci hanno e ci siamo confinati, è possibile incontrare e attraversare una società meno pacificata, normalizzata e appiattita di quanto riteniamo. Non è che un debutto.


Links utili:
Nessuna persona è illegale su Facebook

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.