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Iure sanguinis – Riconoscimento della cittadinanza italiana a un discendente in linea femminile di avo italiano

Tribunale di Roma, sentenza n. 14791 del 20 luglio 2017

Proprio in questo periodo nel quale si è riacceso il dibattito sul iure sanguinis e sul iure soli, una interessante pronuncia del Tribunale Civile di Roma analizza l’aspetto discriminatorio nei confronti delle donne contenuto nella legge 13 giugno 1912, n. 555 art. 10, comma 3, che prevedeva l’automatica perdita della cittadinanza italiana per la donna che contraeva matrimonio con cittadino straniero. Prefigurando di fatto la figura della donna come giuridicamente inferiore all’uomo.
Tuttavia, tale causa di perdita della cittadinanza, per tutte le donne italiane, ha perduto i suoi effetti dal 1º gennaio 1948, data dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, com’è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza. Si è considerato, dunque, che la moglie non potesse essere privata della sua cittadinanza italiana, se non esiste una manifestazione in tal senso della sua parte, e non per il mero fatto di avere contratto matrimonio con un uomo nato in un Paese, che consente ope legis l’acquisto della cittadinanza a favore di chi contrasse matrimonio con lui. Questo principio fu confermato con la pronuncia n. 87 della Corte Costituzionale del 16 aprile 1975, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3º della l. 13 giugno 1912 n. 555, nella parte in cui prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente alla volontà della donna che si sposa con uno straniero il quale possiede una cittadinanza che, per effetto del matrimonio, a lei si comunichi“. (Dr. Horacio Guillén ).

Ulteriori interventi legislativi hanno stabilito (legge 21 aprile 1983 n. 123 e succ.) che è cittadino italiano il figlio di padre e/o di madre italiana. Restava il dubbio se la dichiarazione di incostituzionalità riguardava anche i nati prima del 1° gennaio 1948.
La sentenza qui riportata tratta proprio di questa specificità ed il giudice nel motivarla evidenzia:
Non appare nemmeno ostativa la circostanza secondo cui i fatti riguardanti la perdita di cittadinanza italiana della ascendente per coniugio con straniero, e la conseguente impossibilità di trasmetterla ai figli, sono avvenuti prima del 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione. In proposito va richiamato quanto affermato dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4466/2009 secondo la quale per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta ex art. 10 della legge n. 555 del 1912, per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948, in quanto l’illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita non volontaria dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli art. 3 e 29 Cost.“,
ed ancora:
D’altronde, sul piano logico, ancor prima che su quello giuridico, ai sensi dell’art. 136 Cost. e della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, la cessazione degli effetti della legge illegittima perché discriminatoria, non può non incidere immediatamente e in via “automatica” sulle situazioni pendenti o ancora giustiziabili, come il diritto alla cittadinanza, potendo in ogni tempo, dalla data in cui la legge è divenuta inapplicabile, essere riconosciuto l’imprescrittibile diritto alla mancata perdita o all’acquisto dello stato di cittadino degli ascendenti dell’attrice e quindi il diritto di questa alla dichiarazione del proprio stato, come discendenti di donna che, dal 1 gennaio 1948, deve ritenersi cittadina italiana”.
Seppur ci sia una propensione da parte delle corti di applicare la retroattività come fatto dal Tribunale di Roma, non si possono dimenticare i casi in cui questo riconoscimento fu negato come quello della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 27 novembre 1998 n. 12061 (Il caso Hosri), che negò la possibilità di riconoscere la cittadinanza italiana al figlio di cittadina, nato nel 1942, motivando la decisione che la madre alla data della nascita del figlio non aveva ancora recuperato la cittadinanza italiana e comunque sia la retroattività sarebbe partita dal 1° gennaio 1948.
In seguito poi la Corte di Cassazione analizzando un caso simile (22 novembre 2000) ribaltò il precedenze giudizio riconoscendo la cittadinanza italiana ad un minore figlio di italiana sposata con uno straniero e nato in Libia nel 1944.

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Tribunale di Roma, sentenza n. 14791 del 20 luglio 20177