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Lettera dei richiedenti asilo di Modena’s refugees alla cittadinanza: «Vi spieghiamo la nostra lotta per i diritti di tutti»

I richiedenti asilo del collettivo Modena’s refugees, che raccoglie centinaia e centinaia di richiedenti asilo ospitati nella provincia modenese all’interno del progetto Mare Nostrum, hanno inviato una lettera alla Gazzetta di Modena per rivolgersi a tutti i cittadini di Modena e provincia.

“Desideriamo condividere con tutta la cittadinanza la situazione in cui ci troviamo e il significato della lotta non violenta che stiamo combattendo per i nostri diritti – affermano i rifugiati -.
Come sapete, il 15 marzo scorso in 300 siamo scesi in piazza e abbiamo manifestato davanti alla Prefettura per alcuni problemi dell’accoglienza in questa provincia. Dopo la manifestazione alcuni dirigenti delle cooperative hanno detto che noi eravamo stati manovrati dall’esterno: non è vero. Certo, ci sono stati tanti amici italiani che ci hanno aiutati nell’organizzazione, ma la manifestazione è stata ideata e gestita interamente da noi. Per piacere, smettetela di trattarci come se non fossimo consapevoli dei nostri diritti e non fossimo capaci di lottare per difenderli. Siamo persone umane come voi, siamo fuggiti dalla povertà e dalla guerra e siamo venuti qui per cercare di costruire un mondo migliore insieme a voi.
Siccome dopo la manifestazione ci sono stati appunto alcuni fraintendimenti, vorremmo chiarire i punti principali dei nostri diritti violati per i quali combattiamo.

Innanzitutto c’è il diritto alla residenza e al rilascio della carta d’identità. È un diritto tutelato dalla legge in modo chiarissimo già da due anni, da quando è entrato in vigore il D. Lgs 142/2015: ce lo hanno confermato UNHCR, ASGI e ANUSCA, con i quali siamo in contatto. La residenza e la carta d’identità sono un diritto fondamentale e il presupposto indispensabile per qualsiasi processo di integrazione. Mentre a Bologna, a Reggio Emilia, a Ferrara e in tante altre città questa legge è stata regolarmente rispettata, in tutta la provincia di Modena in questi anni nessuno dei richiedenti asilo accolti nel progetto Mare Nostrum ha potuto esercitare questo diritto a causa di un accordo illegittimo posto in essere tra Comuni e cooperative che gestiscono l’accoglienza su appalto della Prefettura.
Quando noi chiedevamo agli operatori, infatti, gli operatori ci rispondevano che in questa provincia non è possibile per noi avere la carta d’identità, ma questo non è vero, perché la legge italiana vale anche a Modena, e quando noi ci recavamo autonomamente all’anagrafe o negli uffici comunali, gli ufficiali d’anagrafe chiamavano le cooperative, che dicevano loro di non procedere. Questo è un fatto molto grave.
Per fortuna dopo che due nostri compagni hanno fatto una diffida insieme all’ASGI e hanno così avuto la residenza e la carta d’identità, sembra che la situazione abbia cominciato a sbloccarsi. Ma il danno è stato fatto ed è grave: se anche la residenza arriverà, per molti di noi arriverà due o tre anni dopo rispetto a quando sarebbe dovuta arrivare, e la residenza negata comporta difficoltà a trovare lavoro e ad esercitare altri diritti.

Poi c’è il problema dei permessi di soggiorno, che vengono rinnovati dalla Questura con ritardi lunghissimi, per cui noi ci troviamo per tanti mesi senza permesso di soggiorno valido e con la tessera sanitaria scaduta, quindi non riusciamo neanche a godere del diritto alla continuità assistenziale, e nei lunghi periodi che passiamo con la tessera sanitaria scaduta riusciamo ad avere accesso solo alle cure emergenziali del pronto soccorso.

L’altro grosso problema è quello del sistema di accoglienza in generale: stiamo per anni nei progetti delle cooperative, gravando sui costi dello Stato, aspettando di fare l’audizione in Commissione e di ricevere la risposta; poi, quando riceviamo la protezione internazionale o umanitaria, veniamo buttati via di colpo e ci ritroviamo sulla strada.
Ci teniamo a dirvi che la nostra lotta non è in concorrenza con le altre lotte di persone povere e sfruttate: diciamo no alla guerra tra poveri. Anzi, noi dobbiamo metterci insieme, con tutte le persone povere e sfruttate, e lottare insieme per i diritti di tutti.
Ad esempio, quando noi ci lamentiamo perché veniamo fatti lavorare gratis, ci riferiamo al volontariato coatto: posto che noi siamo disponibilissimi a svolgere servizi di volontariato vero, tuttavia dobbiamo riconoscere che molte volte ci vengono fatte svolgere, spacciandole per volontariato, attività che corrisponderebbero a posti di lavoro, ma invece che creare quei posti di lavoro, si fanno svolgere quelle attività a noi senza pagarci.
Lo ha denunciato in modo chiaro anche la ricercatrice Marta Fana in un articolo pubblicato sulla rivista Internazionale l’estate scorsa: “L’ipotesi del volontariato dei richiedenti asilo apre una contraddizione di fondo: se è possibile fare volontariato significa che quei posti di lavoro potrebbero esistere, tuttavia non si è disposti a retribuirli. Non solo nel privato, ma anche nel pubblico. Il quadro che si delinea è quello per cui il ruolo e il peso del lavoro all’interno della società va via via sfumando non perché “così vanno le cose, così devono andare”, ma per una sequenza ben precisa di interventi politici che non riguardano più solo i migranti ma anche i cittadini italiani. […] Anche se oggi si parla di migranti, non è difficile riconoscere il rischio di una definitiva istituzionalizzazione del volontariato come obbligo al lavoro senza alcun diritto al salario. […] Esempi tra tutti sono il volontariato gratuito nelle amministrazioni locali per i destinatari di assistenza al reddito, oppure le condizionalità – tutt’ora ipotetiche – previste per l’assegno di ricollocazione: questi sono elementi chiave delle nuove politiche del lavoro”.

A volte ci sentiamo dire dagli operatori che dobbiamo fare questi lavori di volontariato, perché la commissione ne terrà conto per darci la protezione umanitaria. Ma la protezione internazionale e quella umanitaria dovrebbero essere date sulla base delle situazioni dalle quali stiamo scappando, non sulla base della nostra disponibilità a fare lavori gratis.

Noi chiediamo che le attività che ci vengono fatte svolgere spacciandole per volontariato siano invece costituite in posti di lavoro degno, non solo e non tanto per noi, ma per tutti, cittadini italiani e stranieri.

Nei giorni scorsi a Napoli è successa una tragedia. Ibrahim Manneh aveva 24 anni, era nato in Costa d’Avorio, era cresciuto in Gambia e da anni viveva a Napoli. Ibrahim è morto nella notte tra il 9 e il 10 Luglio di malasanità e di razzismo. I suoi amici, i suoi familiari, i suoi compagni, non sanno ancora come sia stato possibile morire così. Eppure, ciò che ha ucciso Ibrahim non è frutto del caso: il semplice racconto delle sue ultime 24 ore di vita è esemplare dello stato attuale di questo Paese, del clima di odio e di indifferenza all’interno del quale vogliono gettarci, di un sistema ingiusto e spietato dove i diritti più elementari vengono negati.

La nostra lotta infatti non è in concorrenza con quella delle altre persone povere e sfruttate: noi lottiamo per i diritti e la dignità di tutti. Vi chiediamo di ascoltarci e di aiutarci a promuovere la dignità di tutti.”