Gli estremisti di destra europei di Generazione identitaria sono arrivati nel mar libico davvero tardi. Il lavoro “sporco” lo ha fatto Minniti in collaborazione con la Guardia Costiera di Serraj. Adesso i giovani identitari europei scorazzano davanti alle coste libiche, scattandosi selfie tra una nave umanitaria ed un’altra, navi impegnate in attività di ricerca e salvataggio, che salvano vite umane, ma che si vorrebbero allontanare per salvare l’identità europea. Per la nave “nera” nessun codice di condotta, nessuna ispezione a bordo. L’operazione DEFEND EUROPE della nave C STAR va avanti con i motori al massimo, mentre le navi umanitarie vengono bloccate, sequestrate o rallentate, con tutti i mezzi.
Sembra che nessuno voglia davvero fermare una imbarcazione che è entrata nel Mediterraneo con lo scopo di bloccare i migranti in mare, in acque internazionali, e restituirli alla Guardia costiera libica, una attività paramilitare dagli esiti imprevedibili, che si vorrebbe perseguire come “vigilantes privati” del mare, nella colpevole inerzia degli stati costieri che dovrebbero arrestarli. Il nesso della missione provocatoria di Generazione identitaria e le indagini portate avanti per mesi dalla magistratura è sempre più evidente. La C Star imbarca persone coinvolte nelle stesse organizzazioni che gestiscono contractor, che hanno fatto partire l’inchiesta della magistratura trapanese contro la nave Iuventa dell’associazione tedesca Jugend Rettet. Alle spalle di queste organizzazioni, tutte riferibili all’estrema destra europea, una rete di complicità politiche e di sostegni finanziari che vanno ben oltre la stupidità dei personaggi utilizzati per gestire la comunicazione.
La missione della nave “nera C Star, seppure ritardata da controlli e resistenze diffuse, a Cipro e poi in Grecia ha dunque raggiunto il mar libico e dopo qualche giro propagandistico tra le navi delle ONG potrebbe puntare su Tripoli o su Tunisi per fare rifornimento. Vedremo quale sarà il comportamento delle competenti autorità statali, o nel caso della Libia, delle milizie con cui prenderanno contatti, come avevano anticipato. Stanno completando l’opera di criminalizzazione delle Ong avviata lo scorso anno da Frontex e della rete di ricerca (GEFIRA) delle destre europee, in combutta con i servizi segreti. Alla fine, la polizia e la magistratura italiana hanno solo completato un quadro accusatorio che era stato anticipato da giovani blogger ed attivisti di destra. Ed a mare i libici hanno aumentato le attività di ripresa (sequestro) di chi cerca di allontanarsi dalla costa. Anche ieri 800 persone sono state bloccate in mare e riportate nei lager dai quali erano fuggiti, pagando prezzi altissimi.
Soltanto chi vuole nascondere la condizione reale dei migranti intrappolati in Libia, tra i quali non è possibile distinguere “migranti economici” e potenziali richiedenti asilo, o soggetti vulnerabili come i minori o le donne sole, può parlare degli interventi della Guardia costiera libica come interventi di “recupero e salvataggio”. Certo le modalità di ingaggio della Guardia costiera libica, o dei battelli che ne assumono le insegne, sono piuttosto eterogenee. Si dimentica un episodio chiave nella guerra ai migranti ed alle ONG, avviata già lo scorso anno in sinergia tra il governo italiano ed il governo Serraj, con l’avallo del Commissario UE all’immigrazione Avramopoulos e del Consiglio dell’Unione Europea. Giusto attorno al 10 settembre del 2016, proprio in occasione dei soccorsi che la procura di Trapani contesta oggi agli operatori del gommone di servizio della Juventa, la Guardia costiera libica sequestrava due operatori della nave umanitaria Sea Eye. Altra data sulla quale ci sarà molto da indagare. Come si dice, a 360 gradi.
Da quel periodo in poi le attività di ricerca e soccorso delle navi umanitarie si sono svolte sempre più a distanza dalle acque territoriali libiche, e sta aumentando in misura esponenziale il numero dei morti e dei dispersi. Anche quando il mare sembra liscio come l’olio. Vittime in mare e vittime a terra.
Si nasconde quello che subiscono davvero i migranti nei centri di detenzione in Libia, e si sposta l’attenzione sulle ipotetiche collusioni tra scafisti e soccorritori, perché se si dovesse diffondere la consapevolezza delle torture e degli stupri sistematici inflitti all’interno di quei centri che l’Unione europea cerca anche di sostenere economicamente, verrebbe meno la legittimazione morale e giuridica degli accordi con la guardia costiera libica.
Non si potrà certo nascondere che tutti i migranti che riescono a fuggire dalla Libia fuggono, o sono fatti partire dai trafficanti, in condizioni di grave pericolo per la vita, tale da legittimare, se non imporre il riconoscimento dello stato di necessità per chi li soccorre in mare. Si vorrebbe invece evitare di condannare come respingimenti collettivi tutti i tentativi, mediati dalla Guardia costiera libica, o da organizzazioni private paramilitari come Generazione identitaria, di bloccare i migranti in mare per riconsegnarli agli stessi carcerieri dai quali sono fuggiti.
La Libia, per le istituzioni italiane, è un “paese sicuro” e per chi fugge, anche in alto mare, non ricorrerebbe una situazione di pericolo. Anzi, a seconda di chi interviene in acque internazionali, anche se a pochi metri di distanza e nelle stesse condizioni meteo, ci possono essere diverse valutazioni dello stato di necessità. Poco importa che i barconi si rovescino per il sovraccarico anche con mare calmissimo. Foto e video provano che la sicurezza delle persone sui barconi non dipende soltanto dalle condizioni del mare ma dalla tempestività e dalle modalità dell’intervento dei soccorritori e dalla presenza di barche appoggio degli scafisti, o ancora di mezzi della Guardia Costiera libica.
In occasione dei soccorsi operati il 18 giugno scorso ed adesso contestati ad ignoti operatori umanitari dell’organizzazione Jugend rettet, secondo la magistratura inquirente, lo stato di necessità ( e dunque l’esenzione da responsabilità penale) ricorreva per gli operatori a bordo della nave di Save the Children Vos Hesta, che operava accanto alle Juventa caricando direttamente migranti da un barcone di legno, perfettamente galleggiante ed abile alla navigazione, come da riprese video e foto. Ma a pochi metri di distanza l’intervento della Juventa su altri barconi in procinto di affondare per il sovraccarico non era caratterizzato da uno “stato di necessita” ne’ era coordinato dalla Guardia Costiera e dunque non ricorrevano gli estremi per applicare le cause di giustificazione previste degli articoli 51 e 54 del Codice penale.
Quando si dice che la legge e’ uguale per tutti. E dire che molti tribunali riconoscono la protezione umanitaria a chi fugge dalla Libia, anche se di diversa nazionalità, solo in virtù delle condizioni di vita sofferte in quel paese. E dunque riconoscono una situazione di emergenza e di rischio per la vita non solo in mare ma anche a terra, in territorio libico, prima dell’imbarco. Una giurisprudenza che contrasta in maniera stridente con gli accordi bilaterali stipulati da Minniti e dal governo italiano con il governo Serraj.
Vedremo se gli avvocati saranno capaci di tirare fuori dai cassetti dei comandi militari, ed interpretare in modo obiettivo, tracciati e registrazioni audio delle chiamate della Juventa con il comando centrale della Guardia Costiera. Altre contestazioni mosse all’operato dell’equipaggio della nave, così come sono state riferite ai media, appaiono del tutto prive di fondamento e denotano una scarsa esperienza del diritto del mare. In base al diritto internazionale, ad esempio, se si entra nello spazio marittimo di uno stato, si innalza una bandiera definita “di cortesia” di questo stesso stato. L’ingresso nelle acque territoriali per motivi di soccorso non è comunque sanzionabile. Ma su questi dati trasmessi erroneamente si sono imbastiti i processi di piazza ed i giornali hanno anticipato le sentenze di condanna.
I fatti contestati dalla procura di Trapani, che i giornali dovrebbero riferire per intero, escludono sconfinamenti in acque libiche. La Libia non ha mai dichiarato una zona contigua (da 12 a 24 miglia dalla costa) e dunque, negli episodi di soccorso del 18 giugno scorso, sia la Juventa che la Vos Hestia operavano in acque internazionali a 13 miglia dalla costa. Infine sembra che allo stesso evento di soccorso di giugno, contestato agli operatori delle Juventa, fosse presente, come avviene spesso, un mezzo della Guardia Costiera libica. Un barchino in plastica di cinque metri, con le insegne libiche, confuso tra i barchini dei trafficanti.
Come si è verificato in tante altre occasioni, quando sono stati fatti partire dalle coste libiche più di venti gommoni o barconi contemporaneamente. Questa presenza della Guardia costiera libica sulla scena “del crimine”, riconosciuta anche dai magistrati trapanesi, mette sotto una diversa luce il traino del barcone da parte di un gommone di servizio della Juventa, sempre che non si tratti di un fotomontaggio, in un giorno nel quale venivano fatti partire contemporaneamente tanti barconi. Dovrebbe essere noto a tutti il livello di compromissione con i trafficanti della guardia costiera libica, che in realtà risponde a milizie diverse, di tribù e città diverse. Esistono video nei quali si conferma la collusione tra i trafficanti e la Guardia costiera libica. Ed ai video si aggiungono testimonianze assai circostanziate. Quando interviene la Guardia costiera libica ci sono sempre morti e dispersi, magari sotto gli occhi degli operatori umanitari. Per questa ragione sarebbe illegale il comportamento della Guardia costiera italiana che bloccasse le attività delle ONG in acque internazionale, per “ripristinare” la cd. zona SAR libica e riconsegnare alle motovedette di Tripoli migranti che avrebbero dovuto essere soccorsi e portati in Europa. Purtroppo si tratta di casi che si potrebbero verificare proprio in questi giorni.
Per queste ragioni, da parte del governo italiano, non si dovrebbe affidare alla Guardia costiera di Serraj parti sempre più ampie di quella che, solo sulla carta, è la zona SAR libica, nella quale però sino ad oggi sono state soltanto le ONG e la Guardia costiera a garantire un efficace intervento di salvataggio, come il 10 settembre 2016 fino a quel fatidico 18 giugno 2017 nel quale, in piena campagna di stampa contro le ONG, proprio la Juventa si sarebbe messa a collaborare con i trafficanti, proprio sotto gli occhi della Guardia costiera libica, e degli agenti “sotto copertura” a bordo della nave Vos Hesta di Save The Children.
Qualcuno diceva da tempo che arrivavano troppi migranti (vivi) in Italia. Che c’erano i “taxi del mare”. Che questi taxi erano le navi delle organizzazioni umanitarie, anche quelle “buone” che hanno firmato il codice di condotta imposto da Minniti. Si, certo, gli operatori della Juventa inveivano contro il Comando centrale della Guardia costiera italiana, magari espressioni di poco gusto, magari dopo un rifiuto di assistenza in mare, e dopo la indicazione di un porto lontano da raggiungere o un ritardo nei trasbordi, ma certo espressioni inidonee a fondare una qualsiasi responsabilità penale.
Il reato di agevolazione non e’ un reato di opinione… e neppure concorso esterno in associazione mafiosa. Per i tribunali del popolo che giudicano sulla base delle testimonianze di agenti infiltrati dai servizi però sembra molto più grave. E si giustifica in questo modo il linciaggio mediatico (per ora). Vanno bene gli accordi con la Guardia costiera libica che non garantisce la vita dei migranti. Si nascondono le stragi. Prevale ovunque la percezione selettiva: si vede solo quello che si vuole (far) vedere. Le elezioni si avvicinano.
Da una parte le ONG “buone” che accusano (e che hanno firmato il codice di condotta proposto dai vertici del ministero dell’interno ed avallato dall’Unione Europea, seppure in assenza di basi legali), dall’altra parte le ONG “disobbedienti” che antepongono la salvaguardia della vita umana in mare alla difesa dei confini ed alla distruzione dei battelli degli scafisti (compito che non dovrebbe spettare certo a chi salva vite umane in condizioni di sovraccarico proprio per il ritiro dei mezzi di Frontex e di EUNAVfor MED che quel compito di distruzione dei barconi usati dagli scafisti dovevano svolgere come oggetto principale della loro missione).
Sarebbe toccato proprio alle navi di Eunavfor med e di Frontex, come alle navi della Marina militare, distruggere i gommoni ed i barconi dei trafficanti, non certo alle navi umanitarie che dovevano soccorrere anche dieci gommoni alla volta e che non potevano certo impegnarsi in conflitti a fuoco con i trafficanti. Sul fallimento della missione militare EUNAVfor MED che avrebbe dovuto distruggere le imbarcazioni dopo i soccorsi esistono studi assai documentati che offrono una conferma inoppugnabile. Un fallimento che, malgrado i corsi di addestramento a bordo delle navi europee, ha reso sempre più difficile distinguere in mare le imbarcazioni degli scafisti da quelle della Guardia costiera libica che spesso si è comportata con le stesse finalità predatorie degli scafisti.
Intanto le navi militari appena arrivate dall’Italia rimangono asserragliate in porto, a Tripoli, dopo che Haftar ha minacciato di bombardarle per avere violato la sovranità libica, e sembra dello stesso avviso, anche se con diverso linguaggio, il nuovo mediatore delle Nazioni Unite, nominato dopo le fallimentari esperienze di Bernardino Leon e di Kobler. Tanto per ricordare come meritano coloro che hanno contribuito in modo determinante ad aggravare la crisi libica. Ma anche l’Italia ha contribuito alla destabilizzazione della Libia incentrando il suo intervento sul blocco delle partenze e sulla chiusura delle frontiere meridionali con il Niger, il Ciad ed il Mali. Un compito sul quale l’Italia si è impegnata in prima linea malgrado la fallimentare esperienza del Processo di Khartoum.
Sarebbe interessante sapere se ci sono legami tra le organizzazioni dei trafficanti e le milizie armate che garantiscono la sicurezza degli impianti ENI, perchè in Libia chi controlla il territorio controlla o subappalta tutte le attivitò dakle quali si può ricavare danaro. L’Italia è sempre stata in prima linea in Libia con la diplomazia degli affari ( ENI e Finmeccanica). Anche se poi il presidente francese Macron ha cercato di bruciare tutti sul tempo, riuscendo a stabilire un asse privilegiato con il Generale Haftar a Tobruk. Per effetto di questa accesa concorrenza, che è economica e militare, tra i diversi paesi europei, in Libia la guerra sembra ormai inevitabile, a meno che prima non si verifichi la destituzione di Serraj.
Diminuiscono le navi umanitarie. Anche la Vos Hestia di Save the Children è stata “bruciata” dallo scandalo mediatico scaturito dal sequestro della Juventa di Jugend Rettet, e per adesso se ne rimane in porto ad Augusta. Forse deve rimpiazzare qualcuno dei contractors imbarcati a bordo. Dunque meno due navi umanitarie nelle acque internazionali del mar libico. Anzi meno quattro. Perché il ministro Minniti dirotta su porti più lontani, se non a Lampedusa, le navi delle Ong ribelli, mentre ha inviato una missione militare in Libia per bloccare le partenze, in sinergia con la Guardia costiera di Serraj. L’obiettivo è ripristinare la zona SAR libica, una zona che non è mai esistita, che corrisponde al punto della rotta del Mediterraneo centrale nel quale hanno perso la vita migliaia di persone.
Per ridare poteri ai libici occorre costringere la Guardia costiera italiana ad impartire istruzioni alle ONG per lasciare intervenire i guardacoste di Tripoli. La centrale operativa della Guardia costiera a Roma (IMRCC) è di fatto commissariata dal ministero dell’interno, ed obbedisce agli ordini di Minniti. Lo stesso ministro impedisce ai team di MSF che prestano assistenza alle vittime di tortura, di raggiungere le aree di sbarco. Come ha già imposto al team di MSF che da Trapani era giunto al porto di Catania. E secondo alcuni giornali, poi smentiti dall’organizzazione, altre indagini sarebbero state aperte su MSF che continua a rifiutare la firma del codice di condotta, a differenza di altre ONG che, vista la mala parata, si sono affrettate a comunicare la loro adesione ”a sorpresa” (Proactiva Open Arms e Sea Eye).
Non sono a rischio soltanto la vita dei migranti, o la pace nel Mediterraneo. Sono a rischio i valori fondanti di uno stato democratico, la solidarietà sociale, il principio di legalità, la separazione dei poteri, l’uguaglianza dei cittadini ( e dei non cittadini) davanti alla legge, il diritto di asilo, ed il diritto alla salute, i diritti dei minori e delle giovani donne rigettate in Libia con respingimenti collettivi quando sono già arrivati in acque internazionali. E’ in gioco la democrazia, in Italia ed in Europa. Per questo, anche se l’ondata mediatica riceve consensi maggioritari, occorre organizzarsi per una lunga battaglia di resistenza, anche a livello internazionale, una battaglia dall’esito niente affatto scontato, ma da combattere giorno per giorno, senza divisioni o protagonismi.
“Restiamo umani”, come diceva Vittorio Arrigoni.