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Saluzzo non è Rosarno?

Da Nord a sud Italia, geografia dello sfruttamento

Foto tratta da Terrelibere.org

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Accoglienza

Tutto è iniziato nel 2010 con l’occupazione di alcuni vagoni incidentati e di un ex magazzino alla stazione ferroviaria di Saluzzo e poi con insediamenti abusivi che crescevano man mano numericamente fino ad arrivare alla prima Guantanamò al Foro Boario nel 2013. Foro Boario è il nome con cui si indica l’area dove per anni si è tenuto il mercato del bestiame della città di Saluzzo, cittadina in provincia di Cuneo. Qui c’è stata l’inaugurazione della Fiera Nazionale della Meccanica Agricola “Vetrina d’eccellenza dell’agricoltura professionale piemontese e non solo”, 35 mila metri quadrati di spazi espositivi, 5 mila posti auto gratuiti, 515 stands, 170 espositori, un ristorante e la passerella della frisona. In tale occasione si è provato a dar voce ai migranti, a tutti gli effetti protagonisti della vita rurale del saluzzese, ma le autorità locali hanno preferito sgomberarli temporaneamente che a volte conoscere la verità disturba la digestione e anche la carne della mucca più pregiata perde sapore se accanto alla bestia ma in condizioni di stallo assai peggiori vive l’uomo. Oggi Foro Boario è appunto uno spazio utilizzato principalmente per fiere ed eventi. Nel viale adiacente al Foro si apre Guantanamò.

Ogni anno, durante la stagione della raccolta della frutta (da maggio a novembre) arrivano circa 600-700 persone, ragazzi e uomini, quasi tutti dall’Africa subsahariana, prevalentemente dal Mali ma anche da Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea, Gambia, Niger, Liberia, Togo, Senegal e Camerun. Le lingue parlate sono soprattutto il francese e il bambarà e la religione più professata è quella mussulmana.

Dal 2014 il Progetto Presidio, gestito dalla Caritas a livello nazionale, ha alleggerito le coscienze e colmato le mancanze delle istituzioni locali. Per tre anni (2014-2015-2016) il Campo Solidale, tendopoli con servizi e cucine gestito dalla Caritas e dall’associazione Papa Giovanni XXIII con la concessione del suolo pubblico del Comune, è stato allestito al Foro Boario. Dopo tre stagioni di utilizzo quasi tutte le strutture sono state distrutte ed è emersa la necessità di garantire condizioni di vita più dignitose ai lavoratori stagionali. (fonte Caritas, Saluzzo Migrante).

Quest’anno Caritas ha investito tempo e risorse nella strutturazione di un’accoglienza diffusa dignitosa in collaborazione (purtroppo solo presunta…) con Saluzzo e i comuni limitrofi. Al Foro Boario ad oggi, nonostante una nuova ordinanza emessa dal neo sindaco Calderoni che vieta il campeggio su tutto il territorio comunale, la situazione non è cambiata a livello di presenze ma sicuramente si sono aggravate le condizioni di vita perché rimangono solo i servizi essenziali in numero decisamente non sufficiente per i suoi abitanti: una decina di docce per circa 500 persone, qualche wc e l’allacciamento alla corrente elettrica. La comunità Cenacolo ha fornito (imposto?) una tensostruttura per riparare il campo dalla pioggia ma si è rivelata inefficace e non gradita dai braccianti che si sono visti ridurre ulteriormente il già angusto spazio e distruggere i ripari da loro precedentemente costruiti.

Facendo un passo indietro la Caritas ha fatto emergere il vuoto istituzionale però allo stesso tempo l’abbandono nella gestione del campo ha peggiorato la vita delle persone che lo abitano senza ridurne la presenza numerica.

Ora Guantanamò è nuovamente un accampamento a cielo aperto. La prima cosa che si nota sono le bici, gente che entra e che esce in sella alla propria bicicletta e, all’ingresso del campo, decine di bici in attesa di essere riparate dall’instancabile biciclettaio che sposta la sua officina mobile da Rosarno, dove l’ho conosciuto la prima volta a maggio di quest’anno a Saluzzo dove si trova ora. La mattina si alza all’alba e, dopo sette ore di lavoro nei campi, torna stanco ma pronto a mettersi al servizio dei compagni smontando, riparando e rimontando copertoni, freni, sellini.

Subito dopo l’officina, il mercato a terra coi prodotti di prima necessità e il vestiario; di fronte il punto di allacciamento alla corrente per ricaricare i telefoni e materiale per riparare elettrodomestici e ridare vita a ciò che chi non è pratico in elettronica già butterebbe via. A fine stagione poi tutto ciò che si è costruito o aggiustato insieme a scarpe e capi d’abbigliamento viene stipato in grandi contenitori e spedito via mare in Africa alle famiglie perché, anche se è difficile provvedere al proprio sostentamento quotidiano, qua nessuno smette neanche un momento di pensare a chi è lontano, alle promesse fatte prima di partire.

Tutto attorno i cartoni per pregare e le tende per dormire. Tende Quechua per chi è riuscito ad acquistarle, per gli altri teli di plastica, pareti di cartone e tanta fantasia.

Per cucinare si accendono fuochi dentro barili di latta quando non si riesce ad acquistare con una colletta la bombola del gas e per sorvegliare i bagagli si fanno i turni tutta notte. Eppure, anche così, c’è chi preferisce fuggire da CAS improvvisati da privati aguzzini per sentirsi almeno libero di disporre della propria persona e per non perdere la dignità.

L’ex sindaco di Saluzzo e attuale consigliere regionale Paolo Allemano l’anno scorso ha promulgato una legge che avrebbe dovuto favorire l’accoglienza in azienda, dando incentivi più burocratici che economici a chi fosse stato disposto a ristrutturare vecchie cascine, fienili, stalle per accogliere temporaneamente i braccianti che, ricordiamo, sono persone e non bestiame….
Tale progetto di accoglienza diffusa avrebbe dovuto trasformare il campo di accoglienza del Foro Boario in un campo di servizio con pochi servizi essenziali quali acqua potabile e corrente elettrica.

Nonostante il provvedimento, la quantità delle persone accolte in azienda non è aumentata e ricalca quella degli anni scorsi: le stime parlano all’incirca di 80 presenze, 180 contando anche i comuni limitrofi che, a fronte di un migliaio di braccianti, è un numero decisamente irrisorio. Inoltre solo 3 o 4 comuni hanno accettato la proposta.

Agli imprenditori conviene avere manodopera a buon mercato e non spendere per ospitarli, quindi scelgono di selezionare la forza lavoro a seconda delle necessità del momento, senza stipulare contratti che durino l’intera stagione.

Ciò che potrebbe cambiare la situazione in modo maggiormente sostanziale sarebbe un provvedimento per garantire l’equità del salario, dal momento che ciò permetterebbe ai lavoratori migranti di affittarsi una casa e non dover dipendere dalla “bontà” o dall’interesse di istituzioni e imprenditori.

Come tutti gli anni, a inizio stagione arrivano molte più braccia di quelle richieste, a costituire un serbatoio di manodopera illimitato e sempre disponibile per gli imprenditori agricoli del circondario; su circa 800-900 migranti giunti a Saluzzo solo circa la metà di loro riesce a trovare lavoro nei campi. Gli altri si sono organizzati alla meglio per creare un sorta di microeconomia interna al campo, improvvisandosi cuochi, sarti, commercianti, biciclettai, parrucchieri, sfruttando le competenze acquisite in precedenza nei propri paesi d’origine.

Ciononostante la società bianca occidentale avanza, come sempre una pretesa educativa nei confronti di chi si ritiene incivile perché straniero e quindi si insegna in primo luogo il lucro sui beni di prima necessità. Ecco allora che compare la “Boutique du Monde”, il cui nome esotico nasconde un servizio di distribuzione di abiti, scarpe e cibo donati alla Caritas e da questa rivenduti al modico prezzo di un euro al pezzo.

La Caritas quest’anno non essendo più presente direttamente al campo, continua a fornire alcuni servizi presso la propria sede di Corso Piemonte: si occupa della registrazione, dell’assistenza medica con medici volontari e gestisce l’infopoint che dovrebbe teoricamente comprendere lo sportello legale ma che di fatto non fornisce assistenza legale, oltre alla naturale diffidenza dei braccianti migranti che si sentono controllati e che spesso rifiutano di rivolgersi a un infopoint, distaccato dal campo.

La Caritas, oltre alla sopracitata Boutique du Monde, ha attivato un servizio di prestito su cauzione (15 euro restituiti a fine stagione) delle biciclette, mezzi di trasporto fondamentali per raggiungere i luoghi di lavoro.
La Coldiretti, che rappresenta le imprese agricole della zona, ospita in alcuni containers a Saluzzo e Lagnasco, capitale della frutta nella provincia di Cuneo e sede delle imprese più grandi, circa 80-90 persone.

Alcuni tra i lavoratori stagionali di più lunga data negli anni hanno iniziato ad affittare case a Saluzzo e dintorni, stabilendosi lì anche oltre la stagione estiva di raccolta. Solo pochi però riescono a sostenere gli affitti decisamente cari rispetto alla qualità degli alloggi, vani fatiscenti sui quali i proprietari speculano quando disposti ad affittarli a persone con la pelle di colore diverso dal proprio. Questo accade sempre oggi, nel 2017…

Frequenti anche i controlli di carabinieri e municipale che, invece di intervenire contro la speculazione dei proprietari o la mancata sicurezza delle abitazioni, multa gli affittuari colpevoli in primo luogo di essere neri e in quanto tali potenziali criminali. Recente il caso di un bracciante con un multa pendente di 1.200 euro per avere ospitato alcuni connazionali senza previa comunicazione scritta all’autorità locale di pubblica sicurezza.

A titolo informativo può essere utile e interessante sapere che, se si hanno amici extraeuropei, prima di invitarli a dormire a casa propria, bisogna avvisare le autorità che valuteranno il rischio della presenza di potenziali terroristi di cui voi non avevate avuto percezione. Per gli stranieri di serie A, tra i quali rientrano invece gli europei, nessun problema.

Comparando tutte le soluzione abitative si può dedurre dunque con certezza che il numero più ingente di presenze si registra al Foro Boario presso l’accampamento abusivo dove vivono tra le 500 e 600 persone.

Il Comitato Antirazzista Saluzzese, presente quotidianamente sul territorio, ha un visione critica e lucida sulla questione: il loro obiettivo è favorire l’auto-organizzazione dei migranti, stare al loro fianco e far loro prendere la parola sostenendo le loro richieste e le loro lotte. Si parla sempre di loro e su di loro ma non li si ascolta mai davvero, non si ascoltano i problemi, le storie, le loro esigenze, l’impossibilità di denunciare lo sfruttamento lavorativo a causa della condizione di estrema vulnerabilità in cui versano e la conseguente paura di perdere un contratto conquistato con fatica e lunghe attese.

Il Comitato ha messo quindi in piedi presso il Foro Boario un presidio che sia anzitutto luogo d’incontro, informazione e socializzazione, uno spazio in cui i migranti possano finalmente conoscere e rivendicare i propri diritti, costruire forme di auto-organizzazione, elaborare proposte e sentire di non essere soli, sapere che esiste anche un’altra Saluzzo, un’altra Italia fatta di cittadini consapevoli e solidali.

Foto tratta da Terrelibere.org
Foto tratta da Terrelibere.org

Lavoro e sfruttamento

In un contesto del genere il problema centrale resta il lavoro: Saluzzo, comune di 17.000 abitanti in provincia di Cuneo, è il secondo polo dell’ortofrutta in Italia dopo le campagne dell’Emilia Romagna. I migranti arrivano qui perché sanno che c’è bisogno di manodopera per raccogliere frutta, le pesche, le mele, le pere e i kiwi e con il loro lavoro contribuiscono ad arricchire la fiorente economia locale.

Nonostante, a differenza del Sud Italia, in Piemonte non sia ancora stato rilevato un sistema radicato di sfruttamento del lavoro basato sul caporalato, il rischio è elevato a causa proprio dell’eccesso di manodopera rispetto alla richiesta.
Tanto che questa primavera sono già stati accertati due episodi nelle Langhe, a 30 km da Saluzzo, dove alcuni braccianti bulgari erano stati rinchiusi dai caporali in casolari isolati per essere sfruttati al pari di schiavi. Purtroppo quand’anche si arriva alla scoperta e alla denuncia dei singoli caporali, risulta impossibile raggiungere le aziende e i grossi imprenditori che si avvalgono dei caporali da loro commissionati.
Se si dichiarasse il fabbisogno di manodopera e se ci fosse un ufficio di collocamento o quantomeno uno sportello lavoro ci sarebbe forse maggiore regolamentazione e tutela dei diritti.

La maggior parte dei braccianti migranti di Saluzzo ha un contratto ma esiste una grossa fetta di lavoro nero soprattutto a inizio e fine stagione, specie durante il picco di raccolta delle pesche e delle mele quando due braccia in più e due diritti in meno fanno decisamente comodo. Inoltre spesso capita che i contratti partano da giugno ma che i “padroni” chiedano ai lavoratori di iniziare già a maggio per i preparativi retribuendoli in nero per almeno due settimane.

Il contratto provinciale di lavoro agricolo è stato rinnovato da poco, essendo scaduto da oltre un anno e mezzo, ma il salario, che sulla carta prevede un aumento pari al 2,1% a partire dal 1/7/2017, nella realtà risulta invariato: il minimo sindacale dovrebbe essere di 6,25 euro all’ora che scattano a 7,20 euro su rinnovo del contratto per un massimo di 6 ore e 30 minuti lavorative al giorno per sei giorni alla settimana e per un totale di 39 ore settimanali di lavoro. In realtà però la paga non supera mai i 4,50 massimo 5 euro all’ora e gli straordinari quotidiani e domenicali non vengono retribuiti.

Le buste paga vengono assegnate solo a fine stagione e risultano falsate rispetto al lavoro effettivamente svolto: è prassi riconoscere solo un terzo dei giorni lavorativi effettuati di modo che praticamente nessuno riesca a raggiungere i 102 giorni lavorativi in due anni previsti per ottenere l’indennità di disoccupazione, fondamentale per sopravvivere nei mesi invernali. Su una media di 70-80 giorni a stagione, ne sono loro riconosciuti non più di 20-30.

Frequenti sono inoltre gli infortuni sul lavoro dovuti all’assenza totale di messa in sicurezza, specie nell’utilizzo di macchine semoventi, il cui utilizzo dovrebbe essere consentito solo a chi possiede la qualifica di operaio, mentre invece è concesso anche a chi ha la qualifica di semplice bracciante perchè ciò permette di pagare meno un lavoro maggiormente specializzato. Solo nell’ultima settimana vi sono stati due casi di infortuni gravi e in entrambi i casi i braccianti feriti hanno avuto paura di esporre denuncia avendo la certezza che questo avrebbe comportato la perdita del lavoro.
La de-regolamentazione del mercato del lavoro agricolo e l’eccesso di offerta di manodopera rispetto alla richiesta vanno a vantaggio dei “padroni” e la mancata o inadatta accoglienza risulta essere conseguenza diretta della mancanza di una tutela dei diritti dei lavoratori.

Le aziende che meno rispettano i diritti dei braccianti sono sempre le stesse, le più grosse e conosciute, che sulla carta appaiono come piccole cooperative consorziate ma che in realtà sono colossi del mercato ortofrutticolo ma anche di altre risorse come l’acqua minerale. Tra lavoratori e piccoli produttori invece la relazione è più diretta e i contratti più corti quindi minori sono anche le possibilità di sfruttamento. Il Comitato Antirazzista Saluzzese insieme ai sindacati ha spesso fatto causa ai datori di lavoro, altre volte è bastato minacciarli di intraprendere un percorso legale tramite una lettera di avviso, per convincerli a risarcire i lavoratori pur di non spendere soldi rischiando di perdere la causa.

I ragazzi migranti che arrivano dal sud Italia dicono che le condizioni di lavoro sono migliori rispetto a Rosarno e a Foggia dove la paga è di 2,50 massimo 3 euro all’ora quando non si lavora a cottimo. Non ci si può però certo basare su tali livelli di schiavitù come modello di riferimento per sentirsi migliori. Nei giorni scorsi alcuni braccianti sono ripartiti per andare a raccogliere i pomodori a Foggia non trovando lavoro a Saluzzo. A fine stagione inizia poi il periodo della raccolta delle arance e dei mandarini a Rosarno così che a fine novembre ricomincia il pendolarismo da nord a sud.

Per quanto riguarda l’accoglienza invece chi ha provato entrambe le esperienze dichiara che al nord è peggio perché al sud ci sono più alloggi disponibili ad affitti più bassi e i campi sono autorganizzati e, nonostante le condizioni al limite dell’umana sopportazione, si respira un’aria di maggior libertà, mentre a Saluzzo il clima di controllo sociale è decisamente elevato e i ragazzi sono sotto continua sorveglianza delle forze dell’ordine.

Qua tutti i giorni mattina e sera polizia municipale e carabinieri passano a controllare e chiedono i documenti confermando il perbenismo di facciata tipico del nord Italia dove l’importante non è risolvere i problemi sociali ma allontanarli e nasconderli sotto il tappeto per mantenere l’ordine pubblico e dare l’impressione che la situazione sia sotto controllo. La situazione in realtà è ben visibile e chiara a tutti, sindaci, enti, imprenditori ma nessuno prende posizione per paura di dover rinunciare a un voto o a una fetta della rancida torta del potere.

O forse perché tutti sanno che senza il lavoro sottopagato e incessante dei migranti il settore più importante dell’economia locale rischierebbe il crollo e la frutta marcirebbe tristemente sulle piante. Ma si può vivere anche così, possiamo addentare la succosa pesca dopo aver lavato via dalla sua buccia l’impronta della mano di chi l’ha raccolta e continuare a raccontare ai nostri figli le favole a lieto fine. Speriamo che riescano comunque a dormire e a sognare un mondo più giusto…

Marta Peradotto, Carovane Migranti

Marta Peradotto, Carovane Migranti

Attivista di CarovaneMigranti, vive a Torino e insegna in una scuola primaria. Ha partecipato alla carovana #Overthefortress a Idomeni a marzo 2016 e ha visitato vari campi profughi governativi e spontanei ad Atene, Salonicco e sulle isole greche (Lesvos). In Italia ha avuto modo di conoscere e partecipare da indipendente ai presidi di Ventimiglia e Como.