Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

I braccianti di Saluzzo #2

di Ilaria Ippolito, Associazione Eikòn - settembre 2017

Photo credit: Federico Tisa

Nella stessa casa di S. c’è O., senegalese, ma di Dakar. Ciò che subito colpisce è la complicità che li lega sebbene appartengano a due mondi in conflitto da 35 anni.

Quando glielo faccio notare la risposta è semplice: “noi siamo come fratelli, non ci interessa cosa fanno i nostri politici”.

O. è altissimo, fisico atletico e viso disteso. Non mangia quello che cucinano gli altri ragazzi, cucina per sé, “cous cous alla marocchina buonissimo”, mi dice mentre mi porge il cucchiaio per assaggiarne un po’. Noto il suo italiano quasi perfetto e gli chiedo quando è arrivato in Italia: “sono genovese, ho anche la fidanzata e i genitori a Genova”. Mi racconta che i suoi genitori sono partiti molti anni fa e a 14 anni li ha raggiunti a Genova, lì ha studiato per diventare Fornitore. “Tornitore?” chiedo io. “No no, fornitore”, mi dice mostrandomi il tesserino dei Cantieri Navali per cui lavora.

Photo credit: Federico Tisa
Photo credit: Federico Tisa

È a Saluzzo per guadagnare altri soldi mentre è in pausa con i cantieri navali, “ma poi me ne vado, sto solo due mesi, torno dalla mia ragazza a Genova; sai, è italiana e conviviamo”. È il suo primo anno qui, non sa se tornerà anche il prossimo. O. ha 22 anni e un permesso di soggiorno per motivi di lavoro che riesce a rinnovare ogni due anni grazie al suo lavoro nei cantieri navali che “è molto pesante fisicamente, ma pagano bene”. O. rappresenta il percorso che molti suoi coetanei sperano di fare una volta arrivati in Europa.

Percorso che probabilmente non farà mai A., gambiano arrivato in Italia nel 2014. A. vive a Regalbuto per 2 anni, fa il falegname in attesa dell’audizione in Commissione Territoriale per la valutazione della sua richiesta di protezione. “Nessuno mi ha preparato per la Commissione”. Come moltissimi suoi connazionali riceve il diniego, fa ricorso in primo grado e poi in Corte d’Appello.

Photo credit: Federico Tisa
Photo credit: Federico Tisa

Da lì ha perso le tracce del suo avvocato, “Non mi risponde, sono preoccupato, non so cosa devo fare e tra poco il mio permesso scade”. Nel frattempo A. ha un contratto per la raccolta delle pesche, è il suo secondo anno a Saluzzo e in futuro non sa dove andrà ma “voglio fare il panettiere, era il mio lavoro in Africa, l’ho fatto per 7 anni”.

Nei primi 7 mesi del 2017 il tasso di dinieghi è stato del 52% e con l’entrata in vigore della Legge Minniti-Orlando si abolisce il diritto all’appello sebbene 7 persone su 10 si siano viste riconoscere una forma di protezione proprio in Corte d’Appello e anche se in Italia l’appello sia un grado di giudizio garantito anche a chi prende una multa.

Testo di Ilaria Ippolito
Foto di Federico Tisa