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La crisi migratoria libica è molto più che un problema di sicurezza

Charlotte Bailey, Irin (Analysis) - 11 settembre 2017

Photo credit: Tom Westcott/IRIN

Alla fine del mese scorso, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha annunciato quella che al momento è considerata una buona notizia: niente morti nel Mediterraneo da 20 giorni. Questa informazione ha seguito la notizia, poi smentita, secondo cui l’Italia avrebbe pagato milizie locali per impedire alle persone di lasciare le coste libiche.

Ma il rischio di annegamento non è affatto l’unico pericolo che affrontano i migranti che tentano la via del Mediterraneo verso l’Europa. I migranti sono soggetti a detenzioni arbitrarie, arresti, molestie, lavori forzati, schiavitù e sfruttamento sessuale.

E anche se il numero di morti per annegamento sta scendendo, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) riporta che c’è stato un incremento della tratta di esseri umani rispetto al traffico sulla via del Mediterraneo centrale. La tratta si contraddistingue per la coercizione e l’estorsione che continuano dopo l’arrivo a destinazione.

Questa situazione è causata in parte dal fatto che meno Siriani (e meno migranti in generale) stanno affrontando il viaggio, quindi coloro che controllano la rotta stanno cercando altri modi per tenere alti i profitti. Le donne dell’Africa Sub-sahariana sembrano pagare un prezzo terribile per questo cambiamento, dato che in molte si trovano costrette ad entrare nel mercato del sesso.

Le associazioni per la difesa dei diritti umani, gli organismi umanitari e i governi sono ovviamente preoccupati, ma alcuni difensori dei diritti umani sentono che le politiche anti-tratta dell’Unione Europea e degli altri paesi hanno soprattutto lo scopo di fermare la migrazione nella sua interezza.

La guerra ai trafficanti è stata qualcosa a cui hanno fatto ricorso più volte i politici, quando si sono trovati con le spalle al muro” riferisce a IRIN Mark Micallef, un ricercatore che si occupa del problema della tratta di esseri umani presso la Global Initiative Against Transnational and Organized Crime.

Lottare contro la tratta o lottare contro la migrazione?

L’Operazione Sophia dell’UE, che ha l’obiettivo di interrompere il business del traffico di migranti e della tratta di persone, in parte affondando le imbarcazioni stesse, è stata accusata di confondere la lotta contro la tratta e il traffico di migranti con il blocco totale delle migrazioni.

Provare a fermare la schiavitù distruggendo le imbarcazioni nel mezzo del Mediterraneo non è d’aiuto per le persone, in realtà” commenta Claire Seaward, manager delle campagne umanitarie per Oxfam. “Come stiamo constatando, i migranti usano semplicemente altre imbarcazioni. Nel passato usavano grandi barche di legno, mentre adesso salgono su dei gommoni.”

Tim Eaton, un ricercatore membro del programma Medio Oriente e Nord Africa alla Chatham House, crede che uno dei difetti maggiori di Operazione Sophia sia guardare alla migrazione e ai migranti attraverso una lente ad una sola dimensione, quando in realtà c’è molto di più: vanno considerate la situazione economica e la speranza dei migranti. “A livello di politiche e modelli di risposta, il problema si presenta quando si guarda a questa questione solamente come un problema di sicurezza,” ha dichiarato Eaton a IRIN.

Mettere in sicurezza i confini e introdurre sanzioni contro i criminali, inclusi i trafficanti, può essere utile sotto alcuni aspetti, ma non fermerà l’arrivo dei migranti né tiene conto dei pericoli che affrontano mentre sono in Libia.

Opzioni limitate

Ma non sembrano esserci molte vie alternative, soprattutto considerando che molte parti della Libia sono così pericolose da rendere impraticabile l’arrivo di volontari sul territorio.

Le ONG possono aiutare nell’assistenza alle vittime che si sospetta abbiano subito abusi e nel formare funzionari per l’applicazione delle leggi e operatori d’emergenza. Annemarie Loof, manager delle operazioni presso Medici senza Frontiere, afferma che l’associazione dà ai migranti in Libia “un numero di telefono da chiamare ovunque dall’Europa. Parliamo con loro della tratta di persone e dell’industria del sesso. Lo segnaliamo alle autorità italiane.”

Izabella Cooper, la portavoce di Frontex, l’agenzia per la protezione dei confini marittimi dell’UE, afferma che il personale è stato formato nel riconoscere i segni della tratta di persone sulle navi impiegate nell’Operazione Triton, la missione navale che sostiene le operazioni di salvataggio italiane. “In molti casi queste ragazze non sanno che sono vittime di tratta,” rivela Cooper a IRIN. “Molte di queste ragazze non hanno idea di ciò a cui vanno incontro.”

Ma la realtà è che molti migranti non sono vittime di tratta, almeno non tecnicamente. Lasciano le loro case per scelta, guidati da fattori diversi tra cui la povertà e la guerra, e sono adesso bloccati nei centri di detenzione della Libia, intrappolati in quello che MSF chiama, in una lettera aperta pubblicata il 7 settembre, “un’ impresa fiorente di rapimenti, torture e estorsioni.”
Andre Heller Perache, capo dei programmi MSF nel Regno Unito, descrive l’abuso nei centri di detenzione come “al confine tra il traffico di migranti e la tratta di persone“, “un assurdo sistema di sfruttamento.

Per dare ai migranti un’opportunità di scappare dagli abusi, l’IOM offre il rimpatrio volontario: l’anno scorso sono state mandate a casa 2.775 persone dalla Libia e l’obiettivo è di rimpatriarne 10.000 nel 2017.

Loof di MSF crede che il rimpatrio volontario possa essere un’opzione valida per chi è intrappolato nei centri di detenzione invasi dalla criminalità del paese, ma sottolinea questo: “Io sono innanzitutto contro la detenzione arbitraria.”

L’IOM svolge sessioni di formazione all’interno di alcuni centri di detenzione, con lo scopo di presentare al personale i principi dei diritti umani. Maysa Khalil, uno dei membri del programma, ha riferito a IRIN che, dopo la formazione, ha visto dei miglioramenti nella sanità e nell’igiene dei centri di detenzione. Tuttavia, ha ammesso che i migranti non riferiscono di subire abusi mentre sono ancora intrappolati nei centri, quindi è difficile misurare con accuratezza l’impatto del programma. In più, l’IOM non ha accesso ai centri di detenzione gestiti dai diversi gruppi armati libici.

Secondo Sherine El Taraboulsi, ricercatore dell’Humanitarian Policy Group presso l’Overseas Development Institute, la troppa fiducia nei programmi formativi come questi potrebbe essere malriposta, in un momento in cui i migranti hanno un bisogno disperato di aiuto immediato. Per cambiare approccio rispetto ai diritti umani, afferma che “ci vorrà del tempo, forse dieci anni“.

Eaton di Chatham House è d’accordo. “[I programmi di formazione] sono certamente validi,” commenta. “Ma ci sono gruppi armati che stanno guadagnando notevoli profitti a dispetto di essi. Dire semplicemente che devono rispettare i diritti umani non cambierà la mentalità delle persone. Perciò è questa la sfida.

Economia

Eaton sostiene che spesso ciò che non si considera nella discussione sulla tratta e i traffici di migranti è l’aspetto economico. “Le persone hanno ancora bisogno di sopravvivere,” afferma, e di ciò bisognerebbe tenere conto nelle decisioni.

Nel sud della Libia devastata dalla guerra, il movimento di esseri umani e l’estorsione che ne consegue, spesso anche dopo aver attraversato i confini del paese, è diventato un grande business.

Un rapporto recente dell’International Crisis Group sottolinea che i governi europei hanno spostato l’attenzione verso lo sviluppo economico del sud nel tentativo di controllare la tratta di persone.
Un funzionario UE, che è a conoscenza di un progetto di sviluppo italiano nel sud della Libia, ha riferito a un ricercatore dell’ICG: “Se si vogliono allontanare le persone dal business della tratta di esseri umani è necessario cooperare con loro, e per fare questo li si deve comprare.”

Tuttavia il mercato di esseri umani genera profitti talmente alti e sostiene così tante persone che è improbabile che coloro che vi sono coinvolti vogliano smettere, anche qualora ricevessero occupazioni alternative.

Le agenzie umanitarie e le organizzazioni per lo sviluppo sono diffidenti riguardo ai metodi di controllo delle migrazioni e della tratta attraverso l’aiuto economico. Per esempio Claire Seaward di Oxfam mette in dubbio le motivazioni dell’Europa. “L’UE è impaziente di lavorare per fornire mezzi di sostentamento per fermare le migrazioni. Riguardo a questo siamo piuttosto critici. [L’UE dovrebbe considerare] lo sviluppo [per lo sviluppo in sé] e non preoccuparsi soltanto di fermare le migrazioni.

Per molte organizzazioni di soccorso, il modo migliore di procedere sarebbe aprire più canali legali di migrazione, compresi i visti umanitari.

Le misure anti-tratta sono inutili“, sostiene Arezo Malakooti, un ricercatore indipendente e autore di diverse relazioni per l’IOM. “Il modo per combattere queste storie orribili di tratta è la creazione di una via d’accesso legale per la migrazione, qualsiasi altra strategia manca l’obiettivo.”