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Ibi: storia di una donna e di Castel Volturno, il comune più africano d’Europa

Da un’idea di Matteo Calore e Andrea Segre, un film documentario di Andrea Segre con le immagini di Ibitocho Sehounbiatou

Ibi, il documentario Andrea Segre presentato fuori concorso al 70° Festival di Locarno, è arrivato nelle sale italiane – e non solo – distribuito da ZaLab.

Ibitocho Sehounbiatou – per tutti Ibi – è la protagonista di questo film: una donna, una regista, una fotografa, un’immigrata irregolare, che ha fotografato e filmato la sua vita in Italia per 10 anni. Questo progetto, realizzato da Andrea Segre, nasce proprio dalle sue immagini, dalla sua creatività, dalla sua energia.

Ibi – Trailer ufficiale from ZaLab on Vimeo.

Un viaggio intenso e intimo tra migrazione e arte nel mondo difficile, vivo e colorato di un’artista visiva ancora sconosciuta, e che diventa il pretesto per raccontare la condizione della comunità di immigrati che vive a Castel Volturno, il comune più africano d’Europa, ma anche i circa 500.000 migranti, non solo africani, che oggi vivono in Italia senza documenti, integrati nella società italiana e impossibilitati a tornare a casa, ma non riconosciuti.

L’inaugurazione della mostra – composta da oltre 20 scatti realizzati da Ibitocho Sehounbiatou e disponibile assieme al film – si è tenuta il 21 ottobre alle ore 19.30 alla Reggia di Caserta in collaborazione con il Movimento Migranti e Rifugiati di Caserta e alla presenza di Carlo Chatrian, direttore artistico del Festival di Locarno, la prima di un’artista migrante africana ospitata in un luogo di alto valore artistico e culturale. Sarà possibile visitarla fino al 28 ottobre.

Ibi è prodotto da Francesco Bonsembiante per JOLEFILM con RAI CINEMA, con la collaborazione di ZaLab e con il sostegno di Open Society Foundations.

Per richiedere una proiezione o la mostra: [email protected]

Sinossi del film

Da un’idea di Matteo Calore e Andrea Segre, un film documentario di Andrea Segre con le immagini di Ibitocho Sehounbiatou

Ibi è nata in Benin nel 1960, ha avuto tre figli e nel 2000 in seguito a seri problemi economici ha scelto di affrontare un grande rischio per cercare di dare loro un futuro migliore.
Li ha lasciati con sua madre e ha accettato di trasportare della droga dalla Nigeria all’Italia.
Ma non ce l’ha fatta. 3 anni di carcere, a Napoli.

Una volta uscita Ibi rimane in Italia senza poter vedere i figli e la madre per oltre 15 anni. Così per far capire loro la sua nuova vita decide di iniziare a filmarsi.
Racconta sé stessa, la sua casa a Castel Volturno dove vive con un nuovo compagno, Salami, e l’Italia dove cerca di riavere dignità e speranza.
Dalle immagini che Ibi ha realizzato è nato questo film.

La Storia

Abbiamo conosciuto Ibi a Castel Volturno nel luglio 2014. Stava piantando dei peperoncini africani nel giardino della sua villetta.
Ibi è nata in Benin ed è vissuta in Costa D’Avorio fino al 2000.
Una donna alta, grande, piena di energia. Francofona e musulmana d’Africa, senza gli stereotipi estetici dell’islam, oggi spesso mediatizzato.
Ha avuto tre figli. Nel 2000 in seguito a seri problemi economici sceglie di affrontare un grande rischio per cercare di dare un futuro ai suoi figli: lascia i figli in Benin con sua madre e accetta di trasportare una grossa quantità di droga dalla Nigeria all’Italia.
La polizia di frontiera capisce che c’é qualcosa di strano nel suo viaggio, trova la droga e l’arresta. 3 anni di carcere. A Pozzuoli, Napoli.
3 anni durissimi per Ibi, distante dai figli e incapace di aiutarli in alcun modo. Incollata al suo destino di viaggiatrice illegale e colpevole.

Per buona condotta, alla scadenza del terzo anno, il giudice decide di concedere a Ibi gli arresti domiciliari, ma Ibi non ha alcun domicilio e viene quindi ospitata in una casa molto particolare: quella che i padri comboniani hanno dedicato a Miram Makeba a Castel Volturno, il comune più africano d’Europa dove Mama Africa è morta nel novembre 2008.
In quegli anni a Castel Volturno Ibi conosce Salami, un uomo nigeriano di cui si innamora e con cui decide di sposarsi e condividere le fatiche e i sacrifici di una vita nuova e difficile.

Tre sono le sue preoccupazioni maggiori: i suoi figli, il suo permesso di soggiorno e ricostruirsi una vita normale.
A tenerle unite sono una nuova grande passione: la fotografia.

Ibi inizia a fotografare prima e a riprendere poi tutta la sua vita e quella della sua nuova comunità, gli oltre diecimila africani che proprio in quegli anni ridisegnano la geografia umana del litorale Domizio, abitando le centinaia di villette- vacanza costruite spesso abusivamente negli anni ’80-’90 da napoletani e casertani e diventando mano d’opera dell’agricoltura e dell’edilizia, in molti casi intrecciata a interessi criminali dei potenti clan camorristici della zona.

Nel cuore di questa trasformazione, Ibi fotografa e filma.

Lo fa per costruirsi un’altra vita, guadagnando per documentare matrimoni, battesimi, feste religiose (cattoliche, evangeliche, musulmane, senza alcuna distinzione).
Lo fa per aiutare e sostenere il Movimento dei Migranti e dei Rifugiati a cui aderisce assieme a Salami con entusiasmo trascinante, non solo per ottenere il suo permesso di soggiorno, ma anche perché crede fermamente nella necessità di lottare tutti insieme contro le ingiustizie che vincolano le vite della maggioranza dei migranti a Castel Volturno, in Italia, in Europa.
Ma filma soprattutto per raccontare la sua vita ai suoi figli e a sua madre, lontani e irraggiungibili: senza permesso di soggiorno Ibi non può raggiungerli e non vuole che loro partano come ha fatto lei.

La Questura di Caserta ritarda la convocazione di Ibi in commissione per il diritto d’asilo. Quando finalmente verrà ascoltata in Commissione nonostante un curriculum di impegno civile di tutto rispetto la Presidente non se la sente di decidere favorevolmente per quella donna, perché i suoi precedenti sono troppo pesanti e nessuno ha il coraggio politico di superarli.

Ibi subisce un contraccolpo, si sente umiliata – dice – ma non si ferma!
Continua a lottare e soprattutto a raccontare.
Per oltre 7 anni Ibi racconta il suo mondo.

Se chiedevi a Ibi perché si sentisse punto di riferimento del Movimento lei ti rispondeva che era perché aveva imparato che “Impossibile non esiste” e lei coltivava obiettivi che prima le parevano “impossibili” ma di cui ora sentiva l’odore, come tornare ad abbracciare la madre.

Partecipa a decine di manifestazioni, filma ore e ore di immagini, scatta centinaia di foto e continua a costruire il suo mondo virtuale, imparando con Photoshop a rappresentarsi insieme con i suoi figli in grandi poster coloratissimi dove lei appare sorridente affianco a loro e alla vecchia madre. Resisti mamma, non andartene, tra poco mi danno il permesso di soggiorno e ti raggiungo. Non andartene prima.

Ad aprile 2015 arriva la buona notizia che Ibi aspettava. La commissione ha deciso nuovamente di convocarla e a breve avrà un appuntamento. È felicissima.
Ma il destino è beffardo e tragico.
A fine aprile Ibi inizia a stare male. Debolezza, stanchezza, giramenti di testa. L’8 maggio, in piena notte, le manca il respiro, trema, suda freddo. Viene ricoverata, ma non ce la fa: la notte del 19 maggio 2015 Ibi muore. Tra le braccia di suo marito, ma senza essere mai riuscita ad avere il diritto di vivere in Italia e di tornare a casa.

Oggi Salami vive ancora a Castel Volturno, nella stessa casa dove ha vissuto con Ibi per oltre 7 anni. L’assenza di Ibi si sente in ogni angolo e momento della vita in quella casa.
Salami lavora come meccanico nel cortile e spesso rimane solo con i suoi ricordi. Continua a partecipare al Movimento dei Migranti, ma ogni lotta è anche simbolo del suo dolore.

Note di regia

Nel film sono presenti molte immagini realizzate da Ibi che abbiamo montato in una direzione guidata non solo dalla comprensione di ciò che a Ibi è successo (o meglio succede, nel tempo presente delle sue riprese), ma anche dal fascino che la posizione etica ed estetica di Ibi raccontano.
Vogliamo che lo spettatore possa seguire l’io pre-narrante di Ibi, rimanendo con lei e non vivendola come oggetto, terza persona che testimonia una condizione di ingiustizia e sofferenza. Ibi ha sofferto, ma ha soprattutto raccontato, lottato e sorriso. È con lei che lo spettatore potrà stare, senza guardarla da fuori.
Anche se lei non c’è più.

L’assenza di Ibi è quello che le nostre immagini invece raccontano.
La quotidianità di Salami nella casa rimasta vuota. Il mondo di Castel Volturno intorno a quella casa, dove lei filmava e viveva. Il silenzio di preghiere e dolori. Ricordi che non vogliono essere narrazione didascalica, ma momenti in cui l’assenza di Ibi prende corpo.

Ibi non c’è più, non ce l’ha fatta a vedere esaudite le sue preghiere, a rivedere i suoi figli e sua madre, ad avere riconosciuto il suo diritto alla redenzione e al poter viaggiare. La sua scomparsa rende drammatici i suoi racconti, ma non ne toglie valore. La sua posizione “è” ancora, grazie a ciò che ha lasciato, grazie all’amore di Salami e a ciò che ha
cercato di far capire ai suoi cari, a se stessa e al mondo.

Ibi non c’è più, ma il mondo con cui Ibi ha dovuto lottare e voluto vivere, con cui Ibi ha dovuto scontrarsi e voluto incontrarsi, quel mondo c’è ancora e deve avere il coraggio di fermarsi a capire ciò che Ibi ha saputo insegnare.

Andrea Segre
http://andreasegre.blogspot.it/