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La vergogna libica: schiavismo o frontiere?

Julia O’Connell Davidson, Open Democracy - 12 dicembre 2017

Tripoli, Quartiere di Grigarage - Libia

Fin dagli anni ’90, l’Unione Europea (UE) ha perseguito una politica di “esternalizzazione” dei suoi controlli alle frontiere. In cambio di aiuti e supporto economico, chiede agli stati nordafricani di attivare misure per ridurre la migrazione irregolare. Due aspetti di questa politica sono ben noti ormai da parecchi anni. Il primo è che non funziona. Non è riuscita a fermare il flusso d’ingressi non autorizzati in Europa. Il secondo aspetto riguarda le conseguenze terribili, e spesso mortali, sui migranti e sui rifugiati.

Per anni, l’UE e i singoli Stati europei hanno istituito “partnership” con governi noti per le loro violazioni dei diritti umani dei migranti. Negli anni 2000, erano perfino disponibili a sostenere e foraggiare Gheddafi come partner nei loro sforzi per arrestare “l’immigrazione clandestina”. Oggi, per gli stessi scopi, sono ben lieti di stringere alleanza con uno stato libico ormai ampiamente considerato fallimentare o fallito. Questi accordi hanno reso uomini, donne e bambini esposti a crudeltà inimmaginabili per mano sia di criminali che di forze statali, durante il loro tentativo di raggiungere l’Europa. In aggiunta alle migliaia di annegati nelle acque del Mediterraneo, molte altre migliaia di persone sono state rinchiuse per mesi in centri di detenzione o prigioni private, in condizioni insostenibili, picchiate, frustate, stuprate, impiccate, affamate, costrette a lavori forzati, assassinate, o deportate e abbandonate nel deserto del Sahara senza acqua né cibo.

La sorte dei migranti ai quali dal 2005 in poi, in base agli accordi con l’UE, è stato impedito di passare dalla Libia, era spesso altrettanto terribile. Molti eritrei che in alternativa hanno deciso di chiedere asilo in Israele sono stati presi in ostaggio durante il viaggio e sottoposti a orribili violenze per costringere le loro famiglie a pagare ingenti riscatti. E il fenomeno non ha fatto altro che aumentare da quando Israele ha irrigidito i controlli di frontiera. Si stima che tra il 2009 e il 2014 circa 25.000-30.000 persone siano state torturate a scopo di estorsione nei campi situati in Egitto, nella penisola del Sinai, vicino al confine israeliano.

Il prezzo di restare

Gli sforzi per impedire le migrazioni comportano enormi costi umani. E anche il prezzo in termini economici è elevato. E’ ormai noto che, proprio perché creano una barriera fra la domanda di opportunità per emigrare e l’offerta di mezzi legali per farlo, le politiche migratorie restrittive generano mercati di servizi clandestini, compreso il contrabbando. Poiché questi mercati (chiamati anche “traffico di esseri umani”) sono fuorilegge e senza regole, spesso, anche se non sempre, sono caratterizzati da violenze, imbrogli e soprusi. Tuttavia, negli accordi sopra citati tra l’UE e gli Stati africani, si attribuisce valore economico alle azioni che bloccano i migranti piuttosto che a quelle che li aiutano a spostarsi.

Come ha riportato Migreurop nel 2005, gli stati che forniscono all’Europa questi servizi per bloccare i flussi migratori sanno perfettamente come aumentarne il valore. Per esempio, proprio consentendo le partenze dei migranti verso la Sicilia al momento giusto, nel 2004, “la Libia è stata in grado di negoziare lo sblocco dell’embargo sulle armi, la costruzione di numerosi campi profughi sul suo territorio e un impegno economico dell’UE per proteggere i suoi confini meridionali”. Allo stesso modo, divulgando le immagini impressionanti dei tanti migranti che tentavano disperatamente di attraversare le barriere di filo spinato attorno alle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, il Marocco è riuscito a far pressione e a ottenere un aumento degli aiuti europei.

“Gli sforzi per impedire le migrazioni comportano enormi costi umani.
E anche il prezzo in termini economici è elevato”.

Proprio come il contrabbando di esseri umani può essere considerato l’equivalente informale e non autorizzato dei (molto redditizi) servizi per i migranti, allo stesso modo la pratica di tenere le persone in ostaggio, emersa nel Sinai, in Libia e altrove, sembra proprio una versione alternativa e non ufficiale del business che trae profitto dal blocco dei migranti. E in effetti, là dove il vero e proprio traffico di profughi è diventato rischioso e costoso da organizzare, la tortura e il riscatto rimangono ancora dei modi per guadagnare sulla pelle di chi vuole migrare. E in questo nuovo mercato, i gruppi disponibili a trasportare e a ingannare i migranti sono anche in grado di imporre un prezzo per passarli ad altri gruppi, che li terranno prigionieri e li tortureranno fino al pagamento del riscatto.

Niente di nuovo

Queste gravissime violenze contro i migranti in Libia non sono una novità. Anzi, ciò che provoca particolare indignazione è anche la costante indifferenza del mondo riguardo il loro continuo e incessante ripetersi. Eppure, improvvisamente, un reportage della CNN su un’”asta di schiavi” pubblicato a metà novembre ha catturato l’attenzione dei principali media e della scena politica. E’ anche diventato virale sui social, dove la notizia della CNN è stata affiancata da altre immagini di violenze. In gran parte si tratta di foto scattate in Libia anni fa, oppure in altri paesi e in tempi diversi, ma hanno contribuito ad alimentare l’ondata d’indignazione verso il trattamento subito dai migranti in Libia.

I leader europei hanno subito espresso la loro reazione sdegnata. Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ha dichiarato che il servizio CNN rivela alcune delle “più vergognose violazioni dei diritti umani” che possono definirsi crimini contro l’umanità.

Il 30 novembre, si sono incontrati alti funzionari ONU, leader europei e rappresentanti dei governi di Ciad, Niger, Marocco, Congo e Libia, ed è stato concordato un piano di emergenza. Il piano comprende misure per fermare i trafficanti, congelare le loro risorse, e imporre risarcimenti e rimpatri di massa dalla Libia ai paesi d’origine, con il finanziamento dell’Unione Europea e il coordinamento dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. In altre parole: sempre la stessa storia.

“ Vogliono andare in Europa, non tornare nei loro paesi d’origine,
e la metafora della schiavitù distoglie l’attenzione da questo acuto e urgente desiderio”

Attenzione al termine “schiavitù”

La reazione europea alle relazioni che documentano le violazioni ai diritti dei migranti in Nord Africa si limita, da tempo, a una condanna dei contrabbandieri/trafficanti (i termini sono usati in modo equivalente), e ad un rinnovo degli sforzi per eliminare la migrazione clandestina. Le prove che documentano le richieste di riscatto ai danni dei migranti nel Sinai sono state usate per motivare il Piano di Khartoum del 2014, ideato per limitare i movimenti migratori dal Corno d’Africa. L’immagine della “schiavitù” è usata con frequenza per giustificare queste decisioni, come nel 2015, quando la falsa analogia tra i viaggi disperati dei migranti nel Mediterraneo e il commercio di schiavi attraverso l’Atlantico ha consentito ai leader UE di considerare l’uso della forza militare contro “le reti di trafficanti” lungo la costa nordafricana, come se il ricorso alla violenza fosse una necessità morale.

Due anni dopo, il fatto che la CNN abbia definito “schiavitù” gli abusi, lo sfruttamento e le violenze ai danni dei migranti fornisce ai governi europei un ottimo argomento a sostegno dei loro continui sforzi per bloccare ogni trasferimento non autorizzato e portare a forza grandi quantità di persone dove non vogliono andare. Eppure, lo stesso servizio della CNN include interviste da cui emerge quanto questi interventi non siano affatto ciò che le persone coinvolte desiderano. Vogliono andare in Europa, non tornare nei loro paesi d’origine, e la metafora degli schiavi distoglie l’attenzione da questo loro acuto e urgente desiderio.

Tutto ciò non fa altro che reiterare quel punto di vista che etichetta “loro” come molto diversi da “noi”. Se capitasse a cittadini europei di subire rapimenti e richieste di riscatto durante i loro viaggi, questo sarebbe definito un crimine, forse un atto di banditismo, certamente non l’equivalente odierno della tratta degli schiavi. Il rapimento a scopo di riscatto praticato contro i naviganti lungo il Corno d’Africa si chiama pirateria, non schiavismo. In entrambi i casi, la restrizione alla libertà di movimento delle potenziali vittime non sarebbe certamente presa in considerazione come la giusta soluzione. E’ solo perché i migranti vittime di violenze in Libia sono soprattutto africani neri che viene evocata la “schiavitù”. E se indubbiamente questo termine aggiunge peso e portata storica allo scandalo dei maltrattamenti, è pur vero che contribuisce a mascherare il rifiuto dei bianchi europei di fronte al loro desiderio di muoversi liberamente nel mondo. Per quale motivo dei giovani come quelli ripresi accalcati e ammucchiati nelle aste e nei centri di detenzione in Libia non dovrebbero viaggiare fino in Europa, se questa è la loro scelta? Se i leader europei sono così preoccupati che possano finire nelle mani di “mercanti di schiavi”, perché semplicemente non rilasciano dei visti che permettano loro di prendere un aereo e arrivare direttamente in Europa in tutta sicurezza? Il fatto che questo non avvenga conferma che le vite degli africani, proprio come molte altre vite nel Sud del mondo, non sono importanti.

Dopo la pubblicazione dell’articolo della CNN, in molte capitali europee un’ondata di proteste davanti alle ambasciate libiche ha contestato questa svalutazione delle vite africane. A differenza delle manifestazioni mosse da sentimenti anti-schiavitù, comuni in tante città come Londra, Parigi e Madrid, queste proteste sono state convocate da diverse organizzazioni che raccolgono cittadini africani e persone di discendenza africana. Bersagli della loro indignazione erano tanto l’Unione Europea quanto la Libia.

A Madrid, lo slogan del corteo era “Stop alla vendita dei nostri fratelli e sorelle neri”, ma si denunciavano anche le politiche europee in tema di migrazione. “E’ l’Europa che ci uccide”, gridava un dimostrante. A Londra, i manifestanti scandivano “Noi siamo umani”, e “I padroni europei fermino il piano di Khartoum”, oltre a “Non siamo in vendita”.

Speriamo che la metafora degli schiavi non sovrasti e soffochi questo messaggio diretto all’Europa. E speriamo che, alla fine, l’indignazione e lo sdegno suscitati dal servizio della CNN possano innescare un vasto movimento popolare per l’abolizione del sistema di dominio che oggi sta alla base di queste situazioni. Non lo schiavismo, ma le frontiere.

Note sull’autrice
Julia O’Connell Davidson è docente di ricerca sociale alla Scuola di Sociologia, Politica e Studi Internazionali presso l’Università di Bristol. Da tempo si occupa di ricerche sui temi del lavoro e dell’economia. Ha pubblicato studi sull’occupazione e le relazioni industriali nelle società di servizi pubblici privatizzate, oltre a ricerche sulla prostituzione e sul turismo sessuale. E’ autrice del recente saggio “La moderna schiavitù: I confini della libertà”, pubblicato da Palgrave (2015). Sono uscite molti suoi scritti su prostituzione, “Traffico di esseri umani” e “Moderna schiavitù”. Tra le sue opere: “Prostituzione, Potere e Libertà” (1998, Polity) e “I bambini nel commercio mondiale del sesso” (2005, Polity).