Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Abbiamo un problema con il fascismo e uno ancora più grosso con l’antifascismo

di Gianluca Taraborelli, giornalista e musicista del progetto "Stregoni"

Johnny Mox, Gianluca Taraborelli, con alcuni "Stregoni" (Foto Pasqualotto)

Da quasi due anni sono uno Stregone.
Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta o whatsapp e al posto dei miei contatti tradizionali trovo messaggi vocali in Pidgin, il broken english mescolato con i dialetti africani. Trovo canzoni, preghiere, fotografie e richieste di aiuto.
Che cosa facciamo con Stregoni.

Suoniamo con gli ospiti dei centri per migranti. Negli ultimi due anni siamo stati praticamente ovunque in Italia e poi abbiamo avuto la fortuna di intraprendere un viaggio che ci ha portato a Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo, Copenaghen e Malmö. Questo viaggio è diventato un film.

Da quando il progetto è partito abbiamo suonato con più di 3000 persone diverse, tutte richiedenti asilo provenienti da Mali, Nigeria, Etiopia, Gambia, Senegal, Siria, Niger, Iraq, Afghanistan, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Sudan, Eritrea, Libano, Pakistan, Palestina.

Che cosa abbiamo visto.

Il ritratto è quello di un’umanità straripante: una voglia travolgente e disperata di vivere e dare una svolta positiva alla propria vita, ma non prendiamoci in giro: i limiti sono enormi. Per come è gestita l’accoglienza le prospettive di integrazione sono scarsissime e sono pochi gli stessi migranti che riescono ad orientarsi e a cogliere la complessità del quadro politico europeo.

Mettere in piedi ogni volta una band diversa in una città diversa richiede molta follia e fatica, ma la verità è che senza la disponibilità, la generosità di tanti operatori dell’accoglienza sarebbe stato impossibile organizzare molti dei nostri live. Abbiamo avuto a che fare con centinaia di persone: dai mediatori culturali alle cooperative sociali, ai promoter dei club fino alle suore: una rete per certi versi sorprendente e dinamica.

Tutte queste persone hanno qualcosa in comune: trovandosi a contatto ogni giorno coi migranti, sono praticamente rimaste le uniche a non avere un approccio ideologico alla questione. Sembra paradossale doverlo spiegare: ogni giorno davanti ai loro occhi non vedono dei richiedenti asilo, non vedono dei fuori quota, vedono delle persone con nomi, storie e nazionalità diversa. Eppure come sappiamo alle prossime elezioni, questa fetta di società civile non avrà alcuna rappresentanza. Ma non sono i soli.

Dopo un’estate segnata dalla delegittimazione delle Ong, dagli accordi criminali con la Libia, e dopo quanto successo il 3 febbraio a Macerata, il tema immigrazione è al centro della campagna elettorale italiana: nei dibattiti televisivi si parla a slogan di come affrontare il fenomeno.

La tentata strage di Macerata ci ha mostrato chiaramente qualcosa che non può più essere nascosto o ridimensionato. Se molti hanno un problema con il fascismo, tutti quanti abbiamo un problema irrisolto con l’antifascismo.

L’esitazione, la ritrosia e il calcolo mostrato da politici e giornalisti nell’evitare ad ogni costo di definire quella di Traini una “tentata strage fascista” è sconcertante. Eppure dovremmo esserlo tutti, antifascisti. Invece in queste ore è venuto a cadere un altro argine democratico consentendo all’odio e alla mistificazione di guadagnare ulteriore terreno nella prateria lasciata vuota dalle forze democratiche secondo una strategia folle e incomprensibile .

Purtroppo non sono il solo ad avere l’impressione che lo scudo costituzionale sia già ampiamente deteriorato e che il tabù del fascismo verrà definitivamente spazzato via alla prossima tornata elettorale.

E l’antifascismo? Mentre i ragazzini si organizzano e fanno i turni per darsi il cambio ai gazebo di Casapound, l’antifascismo è spesso lasciato alle iniziative dei non più giovani iscritti all’Anpi o ai centri sociali.
Io stesso mai avrei pensato anni fa di dover dichiarare esplicitamente il mio antifascismo.
Il tema invece deve tornare immediatamente una questione prioritaria, condivisa. E no, non basta pubblicare i meme di “Punch a Nazi” per essere in pace con la coscienza.

I migranti non c’entrano.

Quando litighiamo sull’accoglienza, quando discutiamo di dignità, stiamo parlando prima di tutto a noi stessi, nel tentativo di capire cosa stiamo diventando.
I migranti sono divenuti il capro espiatorio perfetto. Diffondere dati, contro-narrazioni basate sul fact-checking non serve a nulla. E’ così che funziona la violenza: avvelena l’intero corpo sociale, lo morde al calcagno, poi entra in circolo e lo fa marcire interamente.
I richiedenti asilo sono identificati come responsabili della crisi generata dall’economia finanziaria, che non ha alcuna relazione con l’immigrazione, anzi molto spesso come sappiamo, ne è la prima causa.

Quindi guardiamoci in faccia: c’è un ventre molle, una fetta di società umiliata e impoverita accecata dalla rabbia e dal risentimento il cui consenso fluttua come una mina impazzita. Tanti anni di crisi hanno sfilacciato il tessuto sociale, intaccato il welfare ma soprattutto indebolito la coscienza delle persone. E internet, lo sappiamo, non aiuta.
La battaglia per un’accoglienza ferma ma degna, è una battaglia della ragione e della democrazia.

Se molliamo su questo, se chiudiamo le porte e tappiamo anche l’ultimo buco sarà l’intera diga a non reggere travolgendo ogni cosa.
E non serve uno stregone per fare una profezia del genere.