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Annullato per mancata traduzione il decreto del Questore sull’irricevibilità dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari

Tribunale di Udine, ordinanza del 16 novembre 2017

La vicenda oggetto del presente esame attiene all’annullamento di un Decreto del Questore della Provincia di Udine, con il quale veniva decretata a danno di un cittadino di origine Georgiana “l’irricevibilità dell’istanza di rilascio (conversione) del permesso di soggiorno per motivi familiari” e si ordinava “di lasciare il territorio nazionale entro il termine di otto giorni” dalla notifica dello stesso.

In punto di fatto: il cittadino di origine georgiana aveva fatto regolare ingresso in territorio italiano al fine di ricongiungersi con il proprio nucleo familiare, composto dalla moglie, regolarmente soggiornante in territorio italiano, con la quale aveva precedentemente contratto matrimonio presso la sede dell’ambasciata della Georgia.

Il ricorrente avanzava quindi regolare istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, a norma dell’art. 30 comma 1, lett. c, D.lvo n. 286/98 e s.m.i.

Con Decreto notificato nel mese di luglio 2017, la Questura della Provincia di Udine statuiva l’irricevibilità dell’istanza di rilascio (conversione) del permesso di soggiorno per motivi familiari ed ordinava al cittadino di origine georgiana di lasciare il territorio nazionale entro il termine di otto giorni dalla notifica dello stesso.

Il Decreto era fondato sulle seguenti motivazioni:
1) il ricorrente avrebbe omesso di presentare la dichiarazione di presenza, di cui all’art. 1 c. 2, L. n. 68/2007;
2) l’istanza risulterebbe carente del certificato di matrimonio, tradotto legalizzato ed apostillato, della documentazione attestante la disponibilità di un alloggio familiare idoneo e la disponibilità di un reddito sufficiente al mantenimento.

L’ingiustizia dell’impugnato Decreto è stata rilevata sotto diversi profili.

In via preliminare, è stato eccepito il manifesto vizio di mancata traduzione del Decreto nella lingua effettivamente conosciuta dallo straniero, e la conseguente violazione di legge in relazione all’art. 3 comma 3 del D.P.R. 394/99 e del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Il decreto di espulsione regolarmente notificato, infatti, non era stato tradotto nella lingua conosciuta dallo straniero e neppure in una delle lingue veicolari, con la conseguenza che il ricorrente non era stato messo nelle condizioni per comprendere le conseguenze derivanti dal provvedimento impugnato.

L’art. 3 comma 2 e 3 D.P.R. 394/99, in relazione al Decreto di espulsione ed al Decreto del Questore, stabilisce che la traduzione del provvedimento venga effettuata nella lingua conosciuta dallo straniero, indicando la ratio di tale scelta legislativa nella necessità di assicurare l’effettiva comprensione del contenuto dell’atto e rendere, perciò, possibile l’esercizio del diritto di difesa di cui all’art 24 Cost.

Conformemente a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con le Sent. nn. 198 e 227 del 2000 – nel senso che la mancata traduzione nella lingua propria dell’interessato, o in lingua a lui nota, lede il diritto di difesa, salvo il caso in cui sia dovuta ad impossibilità preventivamente giustificata – dalla violazione dell’obbligo di traduzione discende, per ciò solo, la nullità insanabile del decreto di espulsione.
La mancata traduzione ha determinato, quindi, l’impossibilità per lo straniero di comprendere il significato e la portata del provvedimento impugnato e di poter esperire una compiuta difesa.

Premessa, quindi, la sussistenza di un vizio di portata tale da travolgere la legittimità dell’intera Decisione, venivano in ogni caso sollevati ulteriori profili di illegittimità.

Si costituivano in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Udine i quali, in punto di mancata traduzione del provvedimento, eccepivano che sebbene non risultasse nel corpo del provvedimento opposto “la asserita moglie del ricorrente era presente a tutte le operazioni e ha compreso e tradotto il contenuto dell’atto al marito“. Ritenuti assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso, il Giudice di Prime cure ha dichiarato la nullità del provvedimento, sulla base del rilevato vizio di mancata traduzione.

Nello specifico, dopo aver riportato la lettera dell’art. 13 c. 7 d.lgs. 286/98, il quale statuisce: “Il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell’articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola“, ed il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – che ha sancito che la violazione della detta disposizione di legge determina la nullità non sanabile del provvedimento, che non può neanche dirsi esclusa per raggiungimento dello scopo, non applicandosi al requisito di validità del decreto il principio di sanatoria, proprio del diritto processuale civile (cfr. Cass. 22607/2015) – il Tribunale ha eccepito che non solo nel Decreto opposto non si dava atto di avvenute traduzioni, nemmeno orali, a mezzo di interprete, ma “la circostanza indicata nella comparsa di costituzione circa la presenza della “moglie” dell’odierno opponente che avrebbe tradotto l’atto non fa che confermare che il ricorrente necessitava di una traduzione, nel mentre la traduzione fatta dalla “moglie” dell’opponente, anch’essa straniera, non dà alcuna certezza circa la fedele traduzione e, quindi, il rispetto del diritto di difesa“.

A fronte delle evidenze normative e dei motivi di ricorso, il Tribunale di Udine, in accoglimento del disposto ricorso, ha dichiarato nullo per mancanza di traduzione il Decreto del Questore della Provincia di Udine, condannando i resistenti al pagamento delle spese di lite.

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Tribunale di Udine, ordinanza del 16 novembre 2017