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Becky Moses, 26 anni. Carbonizzata da un diniego

di Antonello Mangano, Terre libere - 31 gennaio 2018

San Ferdinando (RC) – “Fuoco, fuoco, fuoco”. Sono le due di notte del 27 gennaio. Chi si sveglia all’improvviso. Chi prova a uscire dal torpore del sonno. La plastica diventa incandescente. I riflessi delle fiamme illuminano la notte. Urla di donne. Chi scappa senza pensarci. Chi pensa a salvare i documenti. Chi prova a riempire lo zaino. Il fuoco propaga l’incendio. Duemila persone corrono più forte che possono. La pelle che brucia. Le fiamme altissime. Molte baracche sono già un mucchio di cenere.

Becky Moses non ce l’ha fatta a uscire di casa. È morta in modo orribile. Arsa viva, carbonizzata. Nella bara di zinco hanno messo pochi resti, portati via tra le lacrime delle connazionali e gli sguardi attoniti degli uomini. Adesso la sua casa è cenere, mozziconi di rami e un nastro rosso e bianco che la circonda.

Vita e morte di Becky Moses / Dal diniego al fuoco in pochi giorni

28/12/2015 – Sbarca in Italia
Dicembre 2017 – Riceve il diniego alla richiesta d’asilo
03/01/2018 – Termina l’accoglienza a Riace
Gennaio 2018 – Finisce nel giro della prostituzione nei pressi di Rosarno
11/ 01 / 2018 – Festeggia il ventiseiesimo compleanno
27 gennaio 2018 – Muore bruciata viva nel rogo della baraccopoli

Becky era a Riace fino a dicembre, poi è cessata l’accoglienza dopo il diniego alla richiesta d’asilo. Come facilmente prevedibile – per tutti ma non per la Commissione asilo – è finita nel ghetto di San Ferdinando-Rosarno. Pochi giorni per passare da un possibile percorso di inserimento al girone infernale della prostituzione.

Mimmo Lucano arriva, fuori di sé. Chiede i resti, vuole seppellirla a Riace. Ci mostrano documenti e carte d’identità. È arrabbiato perché nell’inchiesta giudiziaria che lo coinvolge gli contestano un prolungamento dell’accoglienza. Esattamente ciò che avrebbe salvato la vita a Becky. “L’accoglienza degli esseri umani non ha scadenza”, dice.

Al mattino ci sono ancora mucchietti fumanti. La plastica liquefatta, finalmente fredda, ricorda le composizioni di Burri.

Una delle baracche dopo l’incendio

Tanta gente instabile gira attonita tra moncherini carbonizzati, respirando cenere e pulviscolo tossico: persone sconvolte, altre silenziose, qualcuno ubriaco. Un ghanese, racconta che tutto è nato nella zona nigeriana, per una lite. Clienti e prostitute, un accendino. Parole confuse che provano a ricostruire la genesi dell’incendio.

Videosorvegliare

La baraccopoli nasce nella zona industriale di San Ferdinando, a pochi passi da Rosarno. Ogni anno – nel picco della raccolta delle arance – ospita fino a 2000 presenze. Già ad agosto la Protezione civile aveva messo su una tendopoli recintata e video sorvegliata. Ma solo per 500 persone. E intorno, come sempre accaduto, si è espansa una bidonville di carta e plastica. Che può andare a fuoco con nulla.

La tenda d’emergenza costruita dalla Protezione civile

Chiediamo al prefetto Di Bari, giunto da Reggio, dei costi della nuova tendopoli. “Avvenire” ha parlato di 300mila euro, un preventivo riservato ne annunciava 600mila. Carlo Tansi, dirigente della Protezione civile regionale, risponde che l’acquisto delle tende è costato 180mila euro. E la gestione? Si possono stimare 20mila euro al mese, ma è davvero un calcolo approssimativo.

Quanto costa la tendopoli? C’è chi parla di 300mila euro, chi di 200mila

T., volontaria all’ingresso nella nuova tendopoli è molto arrabbiata. “Non ci pagano da settembre, siamo giù a gennaio”. Avrebbero diritto a un rimborso spese da circa 600 euro. Ma con turni di sette ore al giorno (mattina, pomeriggio, notte). “Non è un lavoro per una donna stare la notte qui da sola. E non sono neanche pagata”.

Anche chi non sa l’italiano conosce almeno due parole: problema e casino

In entrata c’è un sistema coreano di rilevamento delle impronte, collegato a un computer che mostra il volto del migrante registrato. Le impronte sono collegate con i dati della Questura. E poi telecamere ovunque e pannelli con nove schermi. Fuori la fila di quelli che aspettano di entrare. In emergenza, tanto per cambiare, le istituzioni hanno montato un tendone, messo in fila le brandine, creato lunghissime file e smistato alla nuova tendopoli tutti quelli che non entravano qui. Ore di attesa per complicatissime operazioni. Tutti parlano di emergenza. Come fosse un terremoto e non la raccolta dei mandarini.

La prima notte dopo l’incendio, si dorme in questo tendone

Arriva Ciccio Ventrice della Caritas di Drosi, una piccola frazione nei pressi di Rizziconi. “Il nostro è un modello di accoglienza diffusa per centinaia di persone, l’affitto è 50 euro a persona garantiti dalla Caritas, le case sono sempre piene, la gente lavora e finora non abbiamo avuto nessun problema”. È un’idea di mediazione abitativa che va avanti da otto anni.

Una baracca – connection house. La stessa struttura si ritrova in tutti i ghetti

Tutti dicono: bisogna fare come a Drosi. Ma poi non fanno nulla. Secondo gli attivisti dell’Usb locale ci sono 35mila case vuote nella Piana. Intanto i sindacalisti preparano una manifestazione per il giorno dopo: corteo dalla tendopoli al Municipio di San Ferdinando.

Il Prefetto ci dice che l’accoglienza diffusa non parte per questioni di mentalità. Ma del progetto si parla nei protocolli di intesa, nei memorandum, in tutte le buone intenzioni.

Gabbie di carta

Un ragazzo nigeriano racconta di una ferita alla gamba dovuta alle torture in Libia. Ha avuto un negatif a Milano, cerca un avvocato per il ricorso. “Black”, ghanese, invece faceva il camionista. Parla bene inglese. E ragiona altrettanto bene. “Che vantaggio ha lo Stato? Con documenti e contratto pagherei le tasse. Fatemi sviluppare il mio talento”.

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La parola negatif risuona ovunque. I problemi dei documenti diventano mentali. C’è un ragazzo del Gambia fuori di testa, gira con cuffie fucsia che finiscono incastrate nei raggi delle ruote della bicicletta. Anche lui ha problemi seri con i documenti. Dice che dopo l’incendio non riesce a trovare il fratello, ma rischia un incidente con la bici andando in giro in queste condizioni.

I resti della baraccopoli

Del resto la burocrazia italiana è davvero kafkiana. Un senegalese mostra una comunicazione del commissariato di Monza con data 06/2016 e convocazione 02/2018. Quasi due anni dopo.

Con un documento pagherei le tasse. Fatemi sviluppare il mio talento

Mohamed, del Burkina Faso, racconta un’altra storia di documenti: c’è un avvocato, tale Carlo di Sassari (conosce solo il nome), da cui non ha notizie. Molti non sanno se qualcuno ha fatto ricorso per loro, se ci sono avanzamenti del procedimento, a quale indirizzo hanno mandato le comunicazioni. Perché ovviamente lo Stato vuole un indirizzo fisico a cui mandare gli incartamenti.

I resti di Becky vengono portati via

In tutta Italia, come sciacalli, intorno ai diniegati ruotano avvocati che promettono documenti e intascano quanto più possono. Alcuni sono già leggendari. Si parla di uno che a Roma manda collaboratori a caccia di migranti-clienti, per esempio al McDonald di Termini.

Poi c’è la questione della lingua. Tanti non parlano italiano, nonostante anni trascorsi nei centri di accoglienza. Per la verità, anche chi non sa l’italiano conosce almeno due parole: problema e casino.

Becky Moses

Il bilancio, finalmente, è definitivo: un uomo ferito, un’altra donna con ustioni gravi trasferita a Catania. Due anni fa era toccato a Sara, nigeriana anche lei. Durante la notte la plastica della baracca si era sciolta sulla pelle della schiena. Secondo il team di Medu dopo l’ospedale era finita a Boreano, in Basilicata. Capita di frequente che le donne siano spostate tra varie località.

Arrivano le tv, arrivano le autorità. Secondo il commissario straordinario per la zona di San Ferdinando, occorre avviare tirocini per valorizzare le competenze dei migranti.

La polizia sorveglia discretamente

Gli chiedo il senso della politica dei dinieghi, ammette che c’è un effetto imbuto ma è la legge; che è una questione complessa, con molte sfaccettature; che bisogna considerare l’aspetto culturale. Non è convinto delle multe alle imprese, ma sostiene che occorre affrontare lo sfruttamento lavorativo.

Invece tanti dimenticano che si tratta di lavoratori. La Cgil parla di vertenze e segnalazioni per contributi non pagati. Adesso è notte. La temperatura percepita è più bassa per l’umidità, più o meno tre gradi.

Volontari della Protezione Civile e Medici per i Diritti Umani rimangono fino a notte fonda, si assicurano che ognuno abbia una sistemazione. Mamadou Dia, mediatore culturale di Medu, è davvero scosso. Fino a tre anni fa, questa era la sua vita. Punta l’indice sullo sfruttamento.

Domenica a messa

È domenica mattina. Il giorno dopo. Risuonano da un microfono, gracchianti, i canti della messa dentro la chiesa pentescostale, un cubo di carta e plastica miracolosamente scampato alle fiamme. Il pastore esce con completo nero e camicia rosa.

Questore e autorità della provincia di Reggio Calabria
All’ingresso, c’è un consistente schieramento di polizia, carabinieri e finanza.

Pranziamo da S., nel cuore della parte di ghetto rimasta indenne. Tiep di pesce: verza, carote, merluzzo, broken rice; tè verde finale. Il ristorante è anche in questo caso un cubo di carta, dove ogni centimetro quadrato è organizzato alla perfezione. Non filtra luce, ma il sorriso della cuoca separa la normalità di un pasto condiviso da tutto quello che c’è fuori. Per qualche minuto siamo soltanto esseri umani che condividono un piatto di riso.

Dura poco. Ritorniamo alla realtà, alle riflessioni amare. I resti inceneriti di Becky Moses sono l’ultimo pezzo della storia dell’agricoltura italiana. Che non è fatta solo di eccellenze, premi e storie di successo. È fatta soprattutto delle lacrime di compagni increduli, di lutti che rimangono in strette cerchie, di gente che prova a ricominciare. Nonostante tutto, nonostante istituzioni ottuse e aziende che ingrassano sulla schiavitù.

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